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Intesa Sanpaolo conquista Ubi: un’operazione di ‘‘distruzione creativa’’

Vi proponiamo l'articolo pubblicato oggi sul quotidiano Huffington Post Italia, a firma di Emilio Barucci, professore di finanza matematica al Politecnico di Milano. Si parla dell'acquisizione di UBI Banca da parte di Intesa Sanpaolo

Vi proponiamo l’articolo pubblicato oggi sul quotidiano Huffington Post Italia, a firma di Emilio Barucci, professore di finanza matematica al Politecnico di Milano. Si parla dell’acquisizione di UBI Banca da parte di Intesa Sanpaolo: tecnicamente si tratta di una ‘‘offerta pubblica di acquisto e di scambio’’ di azioni Intesa contro azioni UBI – più un corrispettivo cash – che ha raggiunto l’adesione del 71% del capitale di UBI.

L’acquisizione di UBI banca da parte di Intesa Sanpaolo è andata a buon fine.  Tecnicamente si tratta di una ‘‘offerta pubblica di acquisto e di scambio’’ di azioni Intesa contro azioni UBI – più un corrispettivo cash – che ha raggiunto l’adesione del 71% del capitale di UBI.

Una quota che permetterà ad Intesa di consolidare il suo primato nel mercato domestico divenendo la terza/quarta banca dell’area euro in termini di capitalizzazione e la settima in termini di ricavi. Un gigante bancario come non si è mai visto nella storia finanziaria italiana.

L’operazione segna un passaggio importante nel mondo della finanza italiana. In primo luogo è stata una mossa ostile di Intesa nei confronti di UBI, fatto raro per il mercato italiano. Una mossa completamente inaspettata. È inoltre un’operazione di mercato, non siamo di fronte a un’operazione di sistema o di salvataggio come era accaduto in passato sempre con Intesa su Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Semplicemente Intesa ha fatto i suoi conti e ha valutato che c’era l’opportunità di estrarre del valore da UBI.

L’operazione segna anche un passaggio nel sistema di potere finanziario italiano: un certo mondo finanziario lombardo (non solo milanese, ma anche bergamasco e bresciano) legato alla tradizione finanziaria cattolica parlerà d’ora in avanti con una sola voce e sarà sempre meno espressione del territorio.

Intesa ha fornito rassicurazioni circa la valorizzazione dei territori ma è difficile pensare che sia così: è infatti complicato coniugare le esigenze degli industriali e della curia di una provincia lombarda con la necessità di competere su mercati internazionali. Difficile dire se sia un bene o un male.

L’operazione ci mostra che le grandi banche si muovono sempre di più secondo una logica di mercato e ubbidiscono alle sue leggi senza chiedere il permesso ad altri centri di potere. Il potere di indirizzo dei governi e delle autorità di vigilanza è oramai assai limitato: in questo episodio è stata Intesa a chiedere un parere preventivo a BCE e non il viceversa.

Il processo di concentrazione bancaria in Italia ha portato alla formazione di due colossi (Intesa e Unicredit) che sono liberi dai condizionamenti della politica. Non a caso Intesa – come del resto le altre grandi banche compresa UBI – hanno sempre fatto orecchie da mercante riguardo alle sirene della politica circa il salvataggio di Monte dei Paschi.

L’operazione è dunque una buona notizia per chi ritiene che il mercato (soprattutto quello finanziario) debba essere autonomo dalla politica.

I condizionamenti della politica si vedono piuttosto nel fatto che Intesa ha optato per la seconda volta nel giro di due anni per rafforzare la sua presenza in Italia. Il tempo delle fusioni tra banche europee sembra essere al tramonto. Probabilmente è l’eredità della crisi dell’euro che ha portato le banche a regionalizzarsi cercando la protezione degli Stati nei periodi di crisi: le banche sono grandi, potenti, agiscono in modo indipendente ma sono ben pronte a cercare la protezione degli Stati nei momenti di crisi, in quelle occasioni conviene essere di un Paese piuttosto che un apolide.

Probabilmente occorre aspettare un rafforzamento del processo di integrazione europea prima che si torni a parlare di fusioni tra banche di diversi paesi.

Nel merito dell’operazione, i benefici non sono per tutti. La prima banca italiana ha deciso di comprarsi la terza banca con l’obiettivo di consolidare la sua posizione. Per fare questo è pronta a smembrarla cedendo sportelli e asset per soddisfare i vincoli antitrust. L’operazione può essere definita una ‘‘distruzione creativa’’ secondo la definizione dell’economista Schumpeter: si distrugge una realtà consolidata per rafforzarne/crearne un’altra.

I benefici per Intesa ci sono, per il cittadino italiano meno. I benefici riguardano il fatto che in un periodo di bassi tassi di interesse la crescita dimensionale è in qualche misura una strada obbligata per rispondere alla riduzione dei margini di interesse e di intermediazione (il margine del banchiere si sta riducendo) e alla sfida del Fintech che sta entrando prepotentemente nell’offerta dei servizi finanziari che prima erano esclusiva delle banche. La concorrenza e gli investimenti richiesti per competere sono elevati e avere le spalle larghe aiuta.

Le ricadute per il cittadino potrebbero essere più negative che positive. Non tanto per un tema di concorrenza, che esiste in misura molto limitata, quanto per l’occasione mancata di costruire attorno a UBI – la banca più solida tra i tre possibili candidati a un processo di aggregazione (UBI, Banco Popolare-BPM, MPS) – una terza banca davvero di dimensione nazionale.

UBI ha sfogliato troppo la margherita e questo l’ha resa preda. Questa è la vera pecca di tutta l’operazione. Il rafforzamento della prima banca italiana passa per la distruzione di una banca solida. Una distruzione che coinvolge competenze, cultura, una scuola di fare banca come nel caso di UBI.

La seconda ricaduta negativa è che essendo sparito il candidato più forte dei tre si pone il problema di come costruire il terzo polo bancario. MPS non può essere che preda, Banco-BPM rimane l’unico candidato. Il rischio è che convoli a nozze con Unicredit con un’operazione fotocopia di quella di Intesa. Se così fosse non rimarrebbero molte carte da giocare e il sistema finanziario Italiano si troverebbe davvero più debole.

Nell’immediato il problema si pone per il Ministero dell’Economia e delle Finanze che deve trovare entro il prossimo anno un partner per MPS. Impresa davvero difficile.

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