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L’ue e noi

Il Green Deal europeo inizia con l’impegno di ognuno di noi

Una rivoluzione, che si fonda su una forte sensibilità verso l’ambiente: da qui discendono molti e costosi adempimenti economici, sociali e fiscali per tutti, ma in particolare per le aziende. Tutti devono svolgere il loro ruolo.

Antonello Pezzini* inizia una collaborazione da Bruxelles con Bergamonews.

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare precedentemente, ci troviamo davanti a una duplice transizione: ecologica e digitale, che sta influenzando i modelli di produzione, gli aspetti dell’economia, i comportamenti delle persone e i processi industriali.

Questa veloce transizione impone l’utilizzo di nuove tecnologie, una diversa e più mirata formazione professionale, alle quali dovranno corrispondere investimenti e processi di innovazione. Emergono e acquistano spazio nuovi prodotti, servizi più accurati, mercati più ampi e modelli più articolati e complessi di business.

Il Green Deal europeo, voluto dalla Commissione e dal Parlamento europeo, ha tutte le potenzialità per caratterizzare il futuro della società europea e per renderla resiliente agli avvenimenti esterni, sia economici, sia sanitari. Si tratta, in sostanza, di inserire il principio della sostenibilità al centro dello sviluppo, e non è cosa facile, perché questo processo richiede un cambiamento di mentalità, quindi la cultura diventa il centro di questa rivoluzione.

Il Green Deal ci porta ad affrontare i temi legati al clima e all’ambiente. A causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, circa 1 milione, degli otto milioni di specie, che riteniamo esistano sulla terra, è in rischio di estinzione.

Per ottenere risultati concreti, la Commissione, appoggiata dal Parlamento europeo, e dal Comitato Economico e Sociale Europeo, ha proposto i seguenti obiettivi:
Nel 2050 devono cessare le emissioni di gas a effetto serra.

Nel 2050 la crescita economica deve essere dissociata dall’uso delle risorse. Maggiore crescita economica, con minori risorse.
Tutte le politiche, europee e nazionali, devono essere rivolte a proteggere il capitale naturale dell’UE.

Una transizione di questa portata prevede dei cambiamenti sostanziali, diventa quindi fondamentale il coinvolgimento di tutta la società.

Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, la politica, sostenuta dalle forze sociali (i sindacati) e dalla sensibilità della società civile, deve essere in grado di creare un ampio e puntuale quadro di riferimento, che abbracci i molteplici aspetti nei quali si articola lo sviluppo economico.

Elaborare una serie di politiche profondamente trasformative

Una rivoluzione culturale ha l’obbligo di ripensare le politiche per l’approvvigionamento di energia pulita in tutti i settori: industria, produzione e consumo, grandi infrastrutture, trasporti, prodotti alimentari, agricoltura, edilizia. Nel 1951 la risposta alla necessità di energia primaria, per la rinascita dell’Europa dopo la tragedia della guerra mondiale, fu la creazione della CECA. Per la prima volta, gli stati che avevano sacrificato la vita di milioni di persone, decisero di offrire ai sopravvissuti una migliore qualità della vita, mettendo in comune le risorse energetiche – il carbone – e gli strumenti per la ricostruzione – l’acciaio -.

Oggi, a settant’anni da quel primo Accordo, che aprì la strada alla Comunità europea, nasce questo significativo Accordo verde, che evita la distruzione del pianeta, voluta dalla cupidigia dell’uomo. La politica è chiamata ad affrontare i problemi legati agli impegni fiscali. Cambiano le fonti energetiche primarie. Dai combustibili fossile, fonte di inquinamento atmosferico e causa dei cambiamenti climatici, l’attenzione si sposta sulle fonti rinnovabili. Non solo, ma anche le materie prime, subiranno una diversa tassazione, perché ci rendiamo conto che lo sviluppo costante dei beni e la loro migliore qualità, portano i prodotti, che noi estraiamo della terra, verso un loro esaurimento. Le forme di tassazione sono destinate, progressivamente, a spostarsi dal lavoro alle materie prime.

Mobilitare l’industria per un’economia pulita e circolare

Tra il 1970 e il 2017 l’estrazione di materiali, a livello mondiale, si è triplicata. La terra non è più in grado di rispondere, con i soli interessi, alle nostre esigenze. Ogni anno noi chiediamo alla terra di cederci parte del suo capitale, togliendolo irrimediabilmente alle generazioni future. Per dare una risposta di responsabilità a queste generazioni, la parte migliore dell’Europa ha ritenuto che si dovesse dar vita a questa nuova rivoluzione, che investirà tutti i settori della politica e della società.

La trasformazione non sarà immediata
, occorrono, mediamente, 25 anni per trasformare un settore industriale. Per questo è necessario agire immediatamente, soprattutto nei settori produttivi. Il 50% delle emissioni a effetto serra proviene dai processi di: estrazione, trasformazione di materiali, uso di combustibili e dai processi alimentari. E questi materiali, in genere, non vengono più utilizzati. Solo il 12% dei materiali utilizzati proviene dal riciclaggio. Una maggiore tassazione delle materie prime, può consentire di realizzare la nuova strategia produttiva, incentrata sulla riduzione delle materie prime, sul loro riutilizzo, e sul riciclaggio.

Da questa realtà nasce l’esigenza e la cultura dell’economia circolare. Nel processo di coerenza tra obiettivi e strumenti necessari per realizzarli, la Commissione europea ha varato un Piano per l’Economia circolare, prendendo in considerazione, per il momento, i settori ad alta intensità di risorse: il tessile; l’edilizia; l’elettronica le materie plastiche. Per questi settori sono previste nuove direttive. Per la plastica, in particolare, la Commissione metterà a punto requisiti per garantire che, entro il 2030, tutti gli imballaggi presenti sul mercato dell’UE siano riutilizzabili o riciclabili in modo economicamente sostenibile; inoltre è in vigore un quadro normativo per le plastiche biodegradabili e a base biologica, oltre a misure sulla plastica monouso.

Il secondo Piano d’azione per l’economia circolare:” Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare, per un’Europa più pulita e più competitiva “ uscito nel mese di marzo di quest’anno, comprende misure fiscali (riduzione dell’IVA) e misure legislative, volte a incoraggiare le imprese a consentire ai consumatori di scegliere prodotti riutilizzabili, durevoli e riparabili. Tra queste misure emerge la necessità di un “diritto alla riparazione” oltre al divieto dell’obsolescenza programmata dei dispositivi, in particolare di quelli elettronici.

Un’attenzione particolare va rivolta ai consumatori, perché compiano scelte informate e possano svolgere un ruolo attivo nella transizione ecologica.

Nuovi modelli imprenditoriali, basati sul noleggio e la condivisione di beni e di servizi, potranno svolgere un ruolo fondamentale, nella misura in cui siano realmente sostenibili, economicamente accessibili e agiscano sempre all’interno del Pilastro dei diritti sociali, che sono il fondamento del Trattato che unisce i Paesi dell’Unione.

Tra i compiti che saranno oggetto di attenzione vi è la necessità di rafforzare la responsabilità estesa del produttore, che dovrà, sempre più, farsi carico della raccolta dei rifiuti di oggetti già utilizzati, come già avviene per le pile esauste e che si applica già alle reti da pesca, abbandonate in mare e depositate, tramite compenso, in appositi contenitori nei porti. La Commissione ha già proposto la prima “legge per il clima” europea, per stabilire, in modo chiaro, le condizioni di una transizione equa ed efficace, e per assicurare la prevedibilità agli investitori.

In questo modo l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 sarà sancito per legge.

La legge per il clima garantirà inoltre che tutte le politiche dell’UE contribuiscano all’obiettivo della neutralità climatica, e che tutti i settori si assumano le relative responsabilità.

Eliminare la concorrenza ambientale mondiale

All’interno del complesso e ampio progetto del Green Deal trovano applicazione, per l’industria e per il commercio, nuovi adempimenti, decisamente necessari per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzare la produzione: fissare il prezzo del carbonio emesso in tutti gli aspetti dell’economia; un nuovo meccanismo di adeguamento del costo del carbonio nei prodotti che arrivano alle frontiere dell’Europa, cioè che il prezzo delle importazioni tenga conto del tenore di carbonio inserito nei prodotti.

Attraverso questi due nuovi provvedimenti, le aziende europee saranno tenute a calcolare il Carbon Footprint (impronta di carbonio) dei lorto prodotti e servizi; e i prodotti provenienti da industrie extraeuropee saranno tenuti a rispettare i criteri ambientali utilizzati nell’Unione europea, per non pagare forti penali sulla loro impronta di carbonio.

“Dal produttore al consumatore”: progettare un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente

Il consumo di prodotti e servizi genera direttamente e indirettamente pressioni, quali il cambiamento di uso del suolo, le emissioni e il rilascio nell’ambiente di sostanze chimiche tossiche, che a loro volta generano una serie di impatti ambientali, tra cui l‘impoverimento e l’inquinamento delle falde acquifere, il degrado del suolo e la perdita di biodiversità. In Europa, questa “impronta ecologica” dei consumi è elevata; è anzi una delle più elevate di tutto il mondo: i dati indicano che, se il consumo di ogni abitante del globo fosse equivalente a quello di un europeo medio, per sostenere l’economia mondiale sarebbero necessari quasi tre pianeti come la Terra.

Se esportare l’impronta ecologica dell’UE tramite il commercio non si può considerare una via facile, occorre d’altra parte riconoscere che il commercio con l’UE svolge un ruolo importante per lo sviluppo socio-economico di molti paesi, in particolare dei paesi meno sviluppati. In effetti, l’UE promuove attivamente il commercio come strumento per favorire la sostenibilità, sia a livello globale che all’interno dei paesi partner commerciali.

Nel 2018 l’UE ha importato in totale 3,3 milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari biologici, il 57 % dei quali sotto forma di materie prime e il 35 % come altri prodotti di base, per soddisfare la crescente domanda di prodotti biologici all’interno dell’Unione, che nel 2016 ammontava a 30,7 miliardi di EUR (vendita al dettaglio, Commissione europea Organic imports in the EU, importazioni biologiche nell’UE, A first analysis-Year 2018).

Occorre quindi integrare attentamente nel commercio i principi di equità, circolarità e consumo più sostenibile, in modo da creare opportunità sia per l’Unione europea che per i suoi partner commerciali.

Alla luce di questa rivoluzione, che si fonda su una forte sensibilità verso l’ambiente, discendono molti e costosi adempimenti economici, sociali e fiscali per tutti, ma in particolare per le aziende. Tutti devono svolgere il loro ruolo. La politica deve, quanto prima, spostare la fiscalità dal lavoro all’ambiente e ridurre la la pressione burocratica, spesso inutile e costosa, per dare alle aziende la possibilità di dare il loro fondamentale contributo alla rivoluzione verde, necessaria pere dare un mondo vivibile alle nuove generazioni.

*Antonello Pezzini nasce in provincia di Novara nel 1941. Si laurea in filosofia e consegue due master, ha un trascorso da preside di liceo, da consigliere comunale della Dc a Bergamo, da presidenza della locale Associazione Artigiani a membro del CDA dell’Istituto Tagliacarne. Sviluppa uno spirito imprenditoriale nel settore dell’ abbigliamento e ha insegnato economia all’Università degli Studi di Bergamo. La passione per l’energia sostenibile è più recente, ma in breve ne diventa un esperto in campo europeo: oltre alla carica al Cese, è membro del CDA di un’azienda che si occupa di innovazione tecnologica e collabora con società di consulenza energetica.  Dal 1994 è membro del Comitato Economico e Sociale Europeo in rappresentanza di Confindustria.

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