La primavera, a Nembro, è arrivata alla fine di una giornata d’inverno, il più lungo e freddo della sua storia. Nonostante l’ondata di maltempo che si è accanita sul paese simbolo dell’epidemia, da qualche tempo i bimbi sono tornati a correre in bici o dietro un pallone nella piazza del municipio, tra l’acqua zampillante delle fontane. Ai tavolini dei bar si ode a malapena il chiaccherio delle persone (due al massimo per ogni tavolo) nuovamente alle prese con il rito del cappuccio e brioche. Quel che si respira, seppur a piccolissime dosi, è un’aria di ritrovata normalità: composta, silenziosa, nella straniante consapevolezza che nulla sarà uguale a prima.
“Stiamo vivendo con prudenza la riconquista della socialità – commenta il sindaco Claudio Cancelli, con l’aria stanca di chi in questi mesi ha portato il peso di mille fardelli -. Prima era difficile a livello emotivo, adesso a livello organizzativo e di gestione delle risorse”. Del resto l’emergenza ha messo a nudo molte situazioni di fragilità, come testimoniano le 300 domande per i buoni spesa alimentari presentate da altrettante famiglie, alcune alle prese con la riduzione o la perdita del lavoro. Altro capitolo riguarda il bilancio comunale: fino a poche settimane fa l’amministrazione, solo per la parte corrente, stimava un possibile squilibrio tra i 450 e i 750 mila euro.
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Camminando per le silenziose vie del paese è difficile – quasi impossibile – imbattersi in una casa che non abbia esposto alla porta o al balcone qualche messaggio di speranza: dall’ “andrà tutto bene” con i cuori e gli arcobaleni disegnati a mano a quel “Nember mola mia” diventato un invito a resistere. Osservandoli, le lancette dell’orologio tornano indietro ai giorni più bui dell’epidemia. Quando il confine tra la vita e la morte sembrava essersi assottigliato, fin quasi a scomparire. Basta un numero: 176. I morti dal 23 febbraio al 16 maggio.
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![Nembro riparte](https://www.bergamonews.it/photogallery_new/images/2020/06/nembro-riparte-676724.jpg)
“La seconda settimana di marzo è stata un incubo per tutti – ricorda il sindaco -. Se ne andavano dieci persone al giorno, capite cosa significa?”. Il nemico c’era ma non si vedeva. Ha svuotato strade e negozi, riempiendo le bacheche dei necrologi. “Abbiamo perso nonni, fratelli e zii, ma questo ha finito col rinsaldarci come comunità – osserva Cancelli -. Ora dobbiamo costruire la memoria e ricordare tutte queste persone”.
Una battaglia, quella contro il coronavirus, che l’amministrazione dice di aver affrontato da sola, senza l’adeguato supporto. “Il sistema sanitario regionale si è mostrato impreparato nell’affrontare una situazione del genere, a volte in maniera del tutto ingiustificata – sottolinea Cancelli -. Non immaginavo lacune così grandi anche nel raccogliere e diffondere i dati”, fondamentali per monitorare la situazione nei territori. “Vi porto un esempio: mi era stato fornito un elenco di persone decedute per Covid-19, la maggior parte senza date di morte e quando c’erano pure sbagliate. Per fortuna abbiamo verificato tutto con l’ufficio anagrafe”.
Da sindaco poco abituato ai “j’accuse” pubblici, il primo cittadino di Nembro è lucido e pacato anche nel parlare della spinosa questione della zona rossa, tornata alla ribalta negli ultimi giorni e finita nell’orbita dei magistrati: “Avrebbe cambiato la nostra storia? Non ne sono sicuro, sicuramente avrebbe cambiato quella dei paesi vicini perchè non averla fatta ha permesso al virus di propagarsi. Ma sarebbe stato un segnale forte anche per noi, che già eravamo colpiti dal contagio: fermando le attività interne e sociali avremmo ridotto le potenzialità del virus”.
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Che in quei giorni frenetici il comune denominatore fosse il caos, lo conferma una volta in più il comandante della polizia locale dell’Unione sul Serio, Marco Pera: “Dagli organi istituzionali centrali non abbiamo ricevuto alcun tipo di comunicazione, anche quando sembrava tutto fatto per la zona rossa non ci è stato mai detto nulla. Chiaramente – precisa – non pretendevamo di avere un ruolo decisionale, ma almeno di sapere come muoverci: tutti i nostri agenti risiedono fuori dai confini entro i quali operiamo e per noi si poneva un grosso problema di gestione del personale”.
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Dal 15 febbraio alla centrale operativa sono arrivate oltre 10 mila telefonate (in picchiata dell’80 per cento a maggio, dopo l’inferno di fine febbraio, marzo e metà aprile): “In quei mesi abbiamo fatto di tutto, anche dal call center – racconta il comandante Pera, trovando il tempo di sorridere -. Quel che mi preme è fare i complimenti ai cittadini perché si sono dimostrati estremamente rispettosi durante tutto il lockdown”. Lo certificano i numeri forniti dalla polizia locale: su un totale di 6 mila persone e veicoli controllati sono state elevate soltanto 84 sanzioni: meno dell’1,5%.
La finestra dell’ufficio del comandante Pera affaccia sul centro storico, dove i commercianti sono ancora un po’ restii a riavvolgere il nastro e a scoprire ferite ancora troppo fresche. Chi decide di parlare lo fa, spesso, solo per declinare con dignità.
In quello stesso centro troviamo ancora aperti i battenti della farmacia Rebba, punto di riferimento ancor più importante nei mesi dell’emergenza.
La primissima linea contro il Covid poneva qui le sue basi, tra quelle strane e continue polmoniti di inizio febbraio e l’incubo dei cittadini di rimanere senza dispositivi di protezione individuale: in tanti hanno bussato a queste vetrine, portando quasi sempre cattive notizie e chiedendo aiuto, qualcuno anche arrabbiandosi senza motivo con i dipendenti di uno dei pochi presidi rimasti sempre attivi. “Ma lo capiamo – confida una di loro -. Per tutti è stata una situazione senza precedenti”.
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