“Sì, ho avuto paura”. Anche l’allenatore dell’Atalanta Gian Piero Gasperini ha dovuto fare i conti con il coronavirus, temendo il peggio. Lo ha confessato per la prima volta in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, a firma di Luigi Garlando. “Quando sentivo le sirene delle ambulanze, mi domandavo cosa sarebbe successo se fosse toccato a me e pensavo: non posso andarmene ora, ho tante cosa da fare”.
Il giorno prima della partita di Valencia stava male. “Il pomeriggio della partita peggio – racconta Gasperini -. In panchina non avevo una bella faccia”. Era il 10 marzo. “Le due notti successive a Zingonia ho dormito poco. Non avevo la febbre, ma mi sentivo a pezzi come se l’avessi avuta a 40”.
Poi rivela un aneddotto. Vittorio, chef stellato tifoso della Dea, aveva fatto arrivare 25 colombe e Dom Perignon del 2008. “Lo assaggio e dico: ‘Ma questa è acqua’ – ricorda -. Tullio (Gritti, secondo di Gasperini, ndr) mi guarda storto: ‘Scherzi? È una delizia’. La colomba mi sembrava pane. Avevo perso il gusto”.
Una decina di giorni fa i test sierologici hanno confermato che anche il mister nerazzurro ha avuto il Covid-19. “Ho gli anticorpi, che non vuol dire che ora sono immune. Sabato 14 ho fatto un allenamento duro come non ricordavo da anni. Un’ora sul tapis-roulant, più di 10 chilometri di corsa. Mi sono sentito bene, forte. Il peggio era passato”.
Già, ma il mister non nasconde che in quei momenti ci si sentiva come in guerra. “Alcuni pensano che tornare in campo sia immorale dopo quanto accaduto e davanti al rischio che possa ripetersi, ma è l’unico modo per riprendersi la normalità – commenta -. L’Atalanta può aiutare Bergamo a ripartire, nel rispetto del dolore e dei lutti”.
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