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La lettera

Bergamo, un detenuto scrive a Mattarella: “Temiamo il contagio, ci aiuti lei”

"La soluzione alle problematiche emergenziali delle carceri esiste, lo prevede la nostra giurisprudenza e la nostra costituzione"

Dopo le proteste, a Bergamo pacate, delle settimane scorse, un detenuto del carcere di via Gleno scrive una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per portarlo a conoscenza della situazione all’interno della struttura bergamasca, comune a quella di altre realtà italiane, e per chiedergli di fare qualcosa per prevenire possibili contagi.

Illustrissimo Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella,

in questo momento difficile che il nostro paese vive a causa di questa grave emergenza epidemiologica, tutti noi siamo chiamati al senso di responsabilità civile, rispettando disposizioni che hanno stravolto la vita di tutti, comportando restrizioni e limitazioni alla vita quotidiana di ognuno di noi.

Stiamo combattendo un nemico invisibile, un nemico che non fa alcuna distinzione di etnia, età, religione o posizione sociale, un nemico invisibile e silenzioso che avanza imperterrito senza pietà alcuna, come un invasore che vuole appropriarsi del mondo intero.

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Abbiamo in prima linea persone coraggiose, temerarie come il personale medico che opera senza sosta come un soldato in trincea, con paura ma con estremo coraggio, assistendo i cittadini che vengono inesorabilmente colpiti dal Covid-19, il nemico invisibile.

Abbiamo il personale scientifico, la protezione civile che ogni giorno lavora al fine di rendere il nemico invisibile più visibile e vulnerabile, per poterlo sconfiggere.

Abbiamo le forze dell’ordine che giornalmente sono impegnate ai controlli e a far rispettare le disposizioni per evitare il diffondersi del nemico invisibile, anch’essi in prima linea.

Abbiamo i mass media, la stampa, i mezzi di informazione, utili alla popolazione per capire, combattere questo terribile male.

Abbiamo tanto signor Presidente, tutti uniti al grido di “insieme ce la faremo”.

Ma in questo senso di unione abbiamo dei luoghi dimenticati, spesso dimenticati, luoghi ove il Covid-19 è arrivato, luoghi per natura pieni di sofferenza, miseria, tristezza, adesso ancor più a causa di questa emergenza.
Questi luoghi si chiamano carceri.

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Le carceri sono state abbandonate alla propria mercè, le disposizioni imposte al paese per sconfiggere questo male hanno comportato ulteriori restrizioni e privazioni alla popolazione detenuta, disposizioni che sono state accettate dai detenuti della Casa circondariale di Bergamo per il bene comune, per evitare il diffondersi dell’epidemia nell’istituto, senza alcuna forma di protesta violenta, manifestando semplicemente perplessità e dissenso in modi civili e corretti.

Nulla o poco è stato fatto per lenire la già pesante situazione nelle carceri sovraffollate, per ovviare a una condizione di vita già di per sé drammatica causa privazione della libertà, unica privazione che dovrebbe comportare una pena, stante l’art. 27 della nostra costituzione.

In questi luoghi, nella fattispecie la casa circondariale di Bergamo ove mi trovo detenuto, abbandonati dalle istituzioni e da un governo gonfio di ipocrisie e retoriche, abbiamo trovato un essere uniti singolare e paradossale stante i luoghi comuni.

La popolazione detenuta, la direzione dell’istituto, la polizia penitenziaria si sono confrontati dialogando e comunicando tra loro costantemente, con proposte reciproche al fine di trovare delle soluzioni per ovviare ai problemi dati dall’emergenza.

Con una linea soft e pacifica, i detenuti con richiesta e il consenso della direzione, hanno formulato proposte, espresso perplessità e chiesto risposte alle varie istituzioni del paese, ricevendo ben poche risposte, lacunose, illogiche ed enigmatiche, se non in certi casi, il silenzio assoluto.

Signor Presidente, lei stesso più volte ha ribadito che più che mai in questo momento bisogna essere uniti, anche nella solidarietà.

Da detenuto, ma pur sempre cittadino, le esprimo lo sconforto e il senso di impotenza per l’attuale situazione in cui versano le carceri italiane a causa dell’assenza di un governo e delle istituzioni a esso connesse.

Ai giorni nostri, sapere che l’emblematico dettato costituzionale dell’articolo 3 che ogni cittadino ha pari dignità sociale, viene perennemente violato e che, solo perché si è detenuti, si è considerati cittadini di serie B, non aiuta di certo chi nella vita ha commesso degli errori ma è in cerca di un proprio riscatto nella società.

Penso che ciò sia il pensiero degli oltre 55.000 detenuti delle carceri italiane; si è consapevoli che tutto il Paese sta vivendo un’emergenza senza precedenti che ha cambiato e cambierà il modo di vivere di ogni cittadino, un male che ha causato migliaia di vittime, ma anche le carceri sono il nostro Paese e non vanno dimenticate.

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Signor Presidente, mi rivolgo a lei che è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale, che possa rivolgere un messaggio al governo, alle camere, di porre interventi incisivi al grave sovraffollamento delle carceri italiane che, ora più che mai, con l’emergenza epidemiologica in corso, si trovano in difficoltà e il pericolo di un contagio è costante.

Non è tempo, non c’è tempo per diatribe inutile, battaglie di partito, discorsi elettorali, le carceri sono parte della società; Governo e opposizioni mettano da parte screzi e malumori, intervengano prima che sia troppo tardi, un’emergenza come quella attuale va oltre ogni demagogia, il nemico da combattere è uno solo, uguale per tutti. Covid-19.

La soluzione alle problematiche emergenziali delle carceri esiste, lo prevede la nostra giurisprudenza e la nostra costituzione; bisogna avere il coraggio e la forza di prendere decisioni immediate, decisioni delicate e per molti scomode, ma decisioni da prendere prima che sia troppo tardi.

Con la speranza che questa mia lettera, conoscendo il suo lato umano, le giunga come una riflessione della realtà, la ringrazio e le porgo doverosi ossequi.

K. G. 
Detenuto presso la Casa circondariale di Bergamo

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