“Una cosa accidentale, si è alzata dal letto, ha perso l’equilibrio, è inciampata nelle sue gambe, forse un capogiro: e ha battuto la testa contro un mobile e poi contro il muro”: Silvana Roncoli, mamma di Viviana Caglioni, continua a sostenere la stessa tesi del compagno della figlia, Cristian Michele Locatelli, arrestato sabato 25 aprile con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato.
Una versione che stride fortemente con gli elementi in mano alla procura, raccolti in fase di indagine, e con i dati forniti dall’esame autoptico eseguito sul corpo della ragazza dalla dottoressa Yao Chen, che ha evidenziato un ematoma subdurale acuto e un ematoma inguinale non compatibili con una caduta accidentale.
Eppure Locatelli ha continuato a ripetere agli inquirenti di non averla colpita: lo ha fatto finchè non è stato messo di fronte a prove concrete e schiaccianti, che lo hanno indotto a trincerarsi nel silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere.
Gli agenti della Questura hanno scavato nel suo passato, trovando una serie di precedenti tutti accomunati dal carattere violento: rapine, maltrattamenti, oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale.
Sono stati proprio i suoi trascorsi con la giustizia a spingere gli inquirenti a scavare più a fondo e a valutare scrupolosamente tutti i contorni della vicenda: l’insistenza con Giampietro Roncoli, lo zio della vittima che si è lasciato andare a una testimonianza esaustiva e ritenuta molto credibile solo al terzo interrogatorio, l’analisi con il luminol di tutta la scena del crimine, le continue intercettazioni e lo stop a quella cremazione che il compagno avrebbe voluto fare e sulla quale si è insistentemente informato anche dopo il divieto dell’Autorità Giudiziaria.
Agli atti anche la chiamata fatta al numero unico di emergenza 112 all’1 di notte tra il 30 e il 31 marzo, un’ora dopo l’aggressione: a parlare è la madre, che chiede un’ambulanza perchè la figlia non sta bene, ma viene subito sostituita nella conversazione dal 42enne che cambia le carte in tavola tranquillizzando l’operatore dall’altro lato della cornetta.
“Respira, non sta morendo, basta la classica ambulanza” dice ai sanitari che stavano tentando di stabilire quanto fosse grave la situazione per assegnare il giusto grado d’urgenza dell’intervento.
Sempre dalla testimonianza dello zio, chi indaga apprende che la madre di Viviana non era presente all’aggressione, alla quale ha assistito solamente nelle primissime fasi al primo piano: la donna, però, si schiera dalla parte del compagno della figlia e gli inquirenti l’hanno iscritta nel registro degli indagati per capire esattamente quale sia la sua posizione e perchè abbia chiamato i soccorsi con tale ritardo.
La donna, che allontana qualsiasi ipotesi di violenza, dà una spiegazione anche alla chiamata che Locatelli fece il 9 aprile, giorno in cui era stato convocato in Questura per il primo interrogatorio, dicendo agli agenti di accorrere subito in via Maironi da Ponte perchè aveva ucciso una persona: “Avevamo fretta di andare, ma si era fatto tardi – racconta – Così si è inventato quella storia”.
Viviana era morta 3 giorni prima in ospedale e le sue inquietanti parole ora sembrano qualcosa di molto simile a una strana confessione.
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