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L'intervista

“Telemedicina e cure a distanza, Covid ci fa capire che serve una svolta”

Mario Sorlini, storico medico ad Albino e presidente IML: "I tempi per rivedere l'assistenza sul territorio sono maturi. Pochi anni fa avviammo un progetto sperimentale sul controllo a distanza dei pazienti, ma la politica sanitaria lombarda fece altre scelte"

In mezzo ai tanti dubbi e le tante domande, una certezza: l’emergenza coronavirus ha reso indispensabile il distanziamento sociale e tutti gli accorgimenti necessari a metterlo in pratica. Vale anche in ambito sanitario, dove le soluzioni tecnologiche rivestono un ruolo cruciale. È il caso della telemedicina e del telemonitoraggio: l’insieme delle tecniche mediche ed informatiche che permettono di seguire un paziente a distanza, cercando al tempo stesso di ridurre l’afflusso in ambulatori e ospedali. In quest’ottica, “Covid-19 può rivelarsi uno strumento utile, capace di portare una nuova metodologia di lavoro nella conoscenza dei medici di medicina generale e dei loro pazienti”. Ne è convinto Mario Sorlini, storico medico ad Albino e presidente di IML (Iniziativa Medica Lombarda), la cooperativa dei medici di medicina generale più grande d’Italia.

Dottore, alcune realtà stanno sperimentando le cure da remoto sui pazienti non ospedalizzati. Com’è la situazione in provincia di Bergamo?

Il 2020 potrebbe essere l’anno di svolta per l’assistenza territoriale ai nostri pazienti. L’epidemia ci ha fatto capire che i tempi per una rivisitazione in termini assistenziali sono maturi, anche con l’impiego della telemedicina e del telemonitoraggio.

Che differenza c’è?

La telemedicina, che si svolge preferibilmente nell’ambulatorio del medico ma anche a domicilio del paziente, si rivolge principalmente a pazienti affetti da patologie croniche, che necessitano di essere monitorati nel tempo. Il ricorso alla telemedicina consente di eseguire ad esempio elettrocardiogrammi, spirometrie ed esami del fondo oculare nello studio del medico evitando al paziente lungaggini e spostamenti. Il medico di medicina generale può fornire direttamente la risposta dell’esame, ovvero avvalersi di specialisti messi a disposizione dal servizio. Qualche anno fa, nell’ambito del progetto CReG di Regione Lombardia, la nostra cooperativa avviò una sperimentazione eseguendo circa 10 mila elettrocardiogrammi e oltre 1.500 spirometrie. Il grado di soddisfazione dell’utenza fu molto alto.

Ci racconti.

I pazienti che seguivamo erano affetti da ipertensione, diabete, patologie cardiache e broncopneumopatie croniche. A ciascuno di loro era stato assegnato un piano di cura personalizzato ed a scadenza programmata si eseguivano esami in accordo con l’assistito, una parte eseguiti in modalità telemedicina. La seconda sperimentazione riguardò una coorte di 200 pazienti, tra quelli più impegnativi e con frequenti ricadute, che fornimmo di apparecchiature tramite un kit di telemonitoraggio contenente, a seconda della patologia, misuratore di pressione arteriosa, bilancia, elettrocardiogramma, glucometro, pulsossimetro. Superate le prevedibili difficoltà iniziali, in poco tempo i pazienti sapevano utilizzare correttamente gli strumenti, effettuare autonomamente le misurazioni a domicilio con i dati trasmessi ad una piattaforma accessibile al medico del paziente e i professionisti sanitari del Centro Servizi della cooperativa. Nel caso in cui un valore superasse una soglia prefissata e concordata di rilevazione, veniva attivato un alert con richiamo del paziente a riesecuzione dell’esame ed eventuali provvedimenti come da protocollo.

Risultati?

Gli esiti della sperimentazione di telemonitoraggio furono proficui. Meno ricoveri in ospedale e minori accessi in pronto soccorso, con semplici apparecchiature e controllo domiciliare attento a prevenire aggravamenti. La sperimentazione fu giudicata molto positivamente anche dalla Regione, oltre che dai pazienti che si sentivano coinvolti nella gestione delle loro malattie.

Cosa resta oggi di quella sperimentazione?

La politica sanitaria lombarda fece scelte differenti, trascurando di implementare queste novità di tecnologia applicata ad una più moderna gestione del paziente affetto da cronicità, nonostante la porta fosse ormai spalancata.

Ai medici di medicina generale, in tempi di coronavirus, sarebbe tornato utile.

Il telemonitoraggio permetterebbe senza dubbio di seguire con miglior profitto i pazienti a domicilio, specie in alcune condizioni di salute compromesse oppure in casi di sopraggiunta emergenza come quella che stiamo vivendo. Noto con favore una riaccensione di proposte ed incontri su questo tema che stanno ad indicare che sul territorio è necessario rivedere alcune strategie di intervento. I controlli da remoto con ritorno dei dati in tempo reale al medico della situazione di pazienti critici è un esempio lampante.

La tecnologia non spaventa più?

Con soddisfazione vediamo un numero sempre crescente di anziani che utilizzano con sufficiente destrezza telefoni cellulari e computer. La nostra esperienza ci dice che ugualmente in poco tempo i pazienti addestrati erano in grado di utilizzare i devices tecnologici con soprendente efficacia.

Come vi approccerete alla Fase 2?

È evidente che la visione ospedalocentrica dell’assistenza adottata finora non ha pagato. L’emergenza, forse, poteva essere meglio gestita sul territorio, probabilmente ciò che da noi non si è ancora approntato, sull’esempio di altre regioni. Penso alle aggregazioni strutturate di professionisti sul territorio, chiamate Case della Salute o con altre sigle a seconda della regione di appartenenza. Forse avrebbero fornito una risposta migliore a quella che in ogni caso è stata una disgraziata e comunque poco prevedibile evenienza.

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