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La testimonianza

“Il virus, la morte dei miei genitori e quelle coincidenze all’ospedale di Alzano”

F.Z., residente a Villa di Serio, oltre a condividere la sua drammatica esperienza di vita, propone una serie di riflessioni (e dubbi) su come sia stata gestita l'emergenza

Vi proponiamo la testimonianza di un lettore, F. Z., residente a Villa di Serio, che in questi giorni ha perso mamma e papà. Oltre a condividere la sua drammatica esperienza di vita, propone una serie di riflessioni (e dubbi) su come sia stata gestita l’emergenza

LA LETTERA

Gentile redazione
Vi scrivo, forse un po’ in ritardo, ma metabolizzare la perdita di entrambi i genitori non è cosa facile anche se purtroppo abbastanza “comune” in questi tempi. Non so quanto possa essere interessante quello che Vi scrivo, ma forse può servire a capire quanto sta succedendo in questi giorni nei paesi di Alzano, Nembro e Villa di Serio (il mio paese) dove i morti per coronavirus si contano a decine.

Mia mamma è stata ricoverata il 12 febbraio nel reparto di medicina (quello che poi è stato isolato domenica 23 febbraio) dell’ospedale di Alzano Lombardo, per uno scompenso cardiaco, problema che si ripete da un po’ di tempo. Le volte precedenti un po’ di flebo e altre cure, in una decina di giorni di ricovero la situazione migliorava e veniva dimessa.

Questa volta qualcosa non è andato per il verso giusto: dopo una settimana insorge la febbre, una crisi respiratoria, l’ossigeno, i medici ci dicono che il cuore funziona al 25% e dopo un paio di giorni di agonia la notte tra venerdì 21 e sabato 22, poco prima delle due il decesso. Io ero lì perché quella notte ero io di turno a vegliare mia mamma.

Con mia sorella abbiamo accompagnato la salma di mia mamma nella chiesina di S. Lorenzo attigua alla parrocchiale di Villa di Serio, mio padre non c’era perché è un paio di giorni che ha la febbre.

Il sabato e la domenica mattina nella chiesina c’è moltissima gente a far visita alla salma di mia mamma: strette di mano, baci e abbracci di parenti, amici e conoscenti che sono veramente tanti perché mia mamma con il suo carattere allegro aveva una parola per tutti, anche per quelli che non conosceva.

La domenica mattina si sparge la voce che è stato trovato un caso di coronavirus nello stesso reparto dov’era ricoverata mia mamma (un nostro compaesano poi deceduto) e la domenica pomeriggio il reparto di medicina viene isolato, il pronto soccorso viene chiuso e poi tutto quello che ormai è diventato tristemente famoso.

Già domenica pomeriggio quindi l’afflusso di gente è stato minore perché cominciava a serpeggiare un po’ di paura, poi il blocco delle funzioni religiose, ma non dei funerali che si svolgono in forma “privata” senza corteo al cimitero. Lunedì pomeriggio abbiamo quindi celebrato il funerale di mia mamma, appunto in forma “privata”(credo che comunque ci fossero tra le 70 e le 90 persone anche perché siamo una famiglia numerosa in quanto mia mamma aveva 8 fratelli).

Torno un attimo a mio papà che – come dicevo – un paio di giorni prima che morisse mia mamma ha iniziato ad avere febbre. La mattina in cui è morta mia mamma siamo riusciti a farlo visitare dalla guardia medica che gli ha dato tre giorni di antibiotico (1 pastiglia al giorno) più tachipirina ed aerosol.

Lui non è mai stato alla camera mortuaria perché non stava bene (alcune persone sono andate a fargli le condoglianze a casa), ma il lunedì pomeriggio ha partecipato al funerale. Appena terminato, chiamo il medico perché mio papà non migliora. Ci dicono che è ferie, mi passano un collega che mi suggerisce di andare allo studio per ritirare la ricetta dell’antibiotico perché tre giorni sono pochi, ma di visitarlo non se ne parla nemmeno.

Arriviamo al venerdi, mia sorella richiama il medico perché la situazione peggiora e si sente rispondere di aspettare fino al lunedì quando sarà terminata la terapia antibiotica. Il venerdì sera (28/02) vado a trovare papà. Ha ancora 39 di febbre, chiamo la guardia medica che mi dice di chiamare il 112, con il quale concordo che posso andare in pronto soccorso, ma sarebbe meglio che lo visitasse la guardia medica. Richiamo la guardia medica che mi dice di portarlo al pronto soccorso.

Una volta arrivati a quello di Alzano lo visitano, gli fanno lastre ed esami del sangue, il tampone e lo trattengono in osservazione. La mattina successiva viene ricoverato in isolamento e la domenica sera arriva l’esito del tampone: positivo al coronavirus e trasferimento al Papa Giovanni XXIII.

Ovviamente non l’abbiamo più visto. Per qualche giorno, fino al 10 marzo, riuscivamo a sentirci telefonicamente,
poi il peggioramento ed il 13 sera la chiamata per comunicare il decesso.

Fin qui tutto può sembrare quasi “normale”. Poi, pero, ho avuto un flashback della notte in cui è morta mia mamma. Ho ricordato una cosa molto strana, cui al momento non avevo dato peso: le due infermiere di turno nella notte tra venerdì e sabato, hanno fatto il giro in tutte le camere “visitando” i pazienti indossando delle mascherine. E non le semplici mascherine chirurgiche, ma quelle un po’ più “belle” che adesso si vedono tutti i giorni in tv indossate dai medici che curano i malati di coronavirus.

A questo punto mi è sorto un dubbio: se domenica si è saputo della positività del paziente al coronavirus, il tampone è stato fatto prima (magari venerdì) e le infermiere del turno di notte indossavano le mascherine perché qualcuno ha detto loro di “proteggersi” in vista della possibile positività?

Sono praticamente sicuro che anche mia madre sia morta per il virus e che lo abbia contratto in ospedale dove l’ha preso anche mio padre, visto non usciva di casa se non per far visita a mia madre. Nei giorni successivi io e la maggior parte dei miei parenti abbiamo manifestato febbre, tosse e altri sintomi, e una mia zia è stata ricoverata ed è deceduta due giorni prima di mio papà.

La cosa grave, secondo me, è che nessuno di noi è stato avvisato di questo pericolo, né quando eravamo in ospedale né tantomeno una volta usciti. Sono certo che, del tutto ignari, io e miei parenti, così come i parenti degli altri pazienti ricoverati, siamo stati uno dei veicoli, se non il principale, di questa epidemia. Forse qualcuno all’ospedale di Alzano ha pesantemente sottovalutato la situazione pur avendo sentore della presenza del coronavirus nel reparto di medicina? Addirittura si vocifera che medici ed infermieri fossero poi risultati positivi al tampone anche se asintomatici e quindi siano stati loro a contagiare i degenti.

Non cerco riflettori o pubblicità, vorrei solamente che venga fatta luce su quanto successo perché non trovo giusto perdere così due genitori. Vorrei che chi di dovere possa far luce su quello che è effettivamente successo e se ci siano delle responsabilità: lo devo proprio a loro, che non meritavano di finire la loro vita in questo modo (come non lo meritavano tutte le persone che sono morte in questi giorni).

Ovviamente mi prendo la responsabilità di quanto ho scritto: non accuso nessuno in particolare, ma qualcosa di strano è sicuramente successo e vorrei che mi aiutaste a far conoscere quanto riportato.

Vorrei infine cogliere l’occasione per salutare e ringraziare tutti i medici ed infermieri che si sono presi cura di mio papà, in particolare il dottor Beratti e il dottor Greco con i quali ci sentivamo quotidianamente, e la dottoressa che mi ha comunicato il suo decesso (di cui non ricordo il nome) per i modi gentili con cui mi ha dato la notizia. Vorrei salutarli con le stesse parole con cui chiudevo le telefonate: “GRAZIE DI TUTTO E BUON LAVORO”.

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