Dopo il vespaio suscitato dal mio articoletto sulla Zona 167 di Loreto (leggi qui) che mi ha mostrato come, nella ridente mesopotamia orobica, sia ottima prassi giornalistica dire che tutto è bello e che tutto va bene (Madama la Marchesa), compresi i più ripugnanti obbrobri architettonici e urbanistici, la nostra passeggiatina tra i quartieri di Bergamo si sposta di pochi metri, e ci porta nel tranquillo e piuttosto anonimo quartiere di San Paolo.
San Paolo non è luogo che comporti rischi per l’esegeta: in pratica, parafrasando l’Eco di Bergamo, il quartiere coincide con la parrocchia. Delimitato dagli assi di via Carducci, di via Palma il Vecchio e di via Broseta, nonché giustappunto da Loreto, San Paolo è un quartiere privo di monumenti o anche soltanto di edifici significativi: però è un quartiere piuttosto gradevole, caratterizzato da condomini e palazzine di un certo pregio e, come si diceva dalla sua chiesa e dal suo oratorio, che ne hanno determinato l’anima.
Per la verità, lungo la roggia Serio, che corre parallela a via Broseta, uscendo da dove, nelle Muraine, sorgeva la porta omonima, un edificio particolare sorgerebbe anche: si tratta di un’originale megacondominio che, per la sua struttura decisamente avveniristica, è stato benevolmente battezzato “I pollai” dai Bergamaschi.
A volte, la saggezza popolare arriva dove non giungono i più blasonati testi di architettura.
Una volta, invece, c’erano solo casette e palazzine dei primi del Novecento: se ne possono vedere sobri e gradevoli esempi tra via Zendrini e il centro oppure sul lato sud di via Broseta.
Il resto pertiene a quella grande fase espansiva della Bergamo semiperiferica degli anni Sessanta: qui, però, è mancata l’idea di creare un quartiere dalle simmetrie prestabilite e, grazie all’intrapresa privata, i condomini sono sorti uno diverso dall’altro, per un’utenza non valutata con criteri da lotta di classe, bensì di solvibilità borghese.
Certo, la zona non era fra le più salubri: dove ora sorgono le case dominava la zanzara e i campi erano segnati di fossi e chiuse.
Oggi, però, è un quartiere vivibile, tranquillo e, a modo suo, originale: tutto ruota intorno al centro nevralgico, rappresentato dalle scuole, elementari e medie, e dalla parrocchiale, con le sue pertinenze, tra cui spicca un oratorio che, da sempre, si è dimostrato tra i più attivi della città.
E qui, inevitabilmente, devo spendere due parole sul bar dell’oratorio e sulla sua pirotecnica gestione: so bene che è un conflitto d’interesse, ma, se non lo facessi, sarebbero guai ben peggiori. Tanto, chi deve capire capisce e gli altri possono pure saltare alla riga successiva.
Scherzi a parte, fin dagli inizi della sua recente storia, San Paolo è stato più una parrocchia che un quartiere: parlando di identità, quella dei sanpaolini è inscindibile dalla presenza determinante di quella chiesa. Senza una parrocchia così attiva e dei parroci all’altezza, della situazione, a partire da Don Mario, che per tre decenni ha lavorato per creare quella comunità, San Paolo sarebbe stato una sorta di quartiere sandwich, schiacciato tra la periferia e le vie centrali. La mole massiccia e un tantino tetra del Triangolo, poi, accentua questa immagine di confine naturale, tra il borgo San Leonardo e le campagne extra moenia: sembra un bunker normanno, una sorta di “Vallo orobico”.
Invece, di là della via Palma il Vecchio non ci sono i barbari, ma un reticolo di stradette tranquille, il comando della Polizia Locale e, infine, l’isolotto felicemente moderno di scuole e chiesa, di cui s’è detto. Un piccolo mondo dall’aria serena, per la verità, con strade larghe e non troppo trafficate, piste ciclopedonali e una comoda prossimità con tutti i servizi del centro. Insomma, un buon esempio di come gli anni del boom economico non debbano per forza essere quelli del flop architettonico: senza particolari vette, ma anche senza terrificanti tonfi.
E, poi, ci sarebbe il pollaio, ma vabbè… Alla prossima.
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