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L'accordo

Il Fai adotta Palazzo Moroni, ora i restauri poi la riapertura al pubblico fotogallery

Lucrezia Moroni resta presidente della Fondazione Moroni che cede una quota al Fai. Il vincolo per la collezione di 6 quadri tra questi "Il cavaliere in rosa", uno dei più noti dipinti del Rinascimento italiano, e "Ritratto di Isotta Brembati", entrambi di Giovanni Battista Moroni

Nel marzo 2009 il Conte Antonio Moroni, a pochi giorni dalla sua scomparsa e con un atto di civile e lungimirante attenzione per il patrimonio storico e culturale della sua città, decideva di conferire l’amato Palazzo di Via Porta Dipinta 12 – insieme al giardino, le collezioni e le sue pertinenze – alla Fondazione Museo di Palazzo Moroni con l’auspicio, animato da autentico mecenatismo, che questo storico edificio lombardo, da secoli dimora della sua famiglia, potesse essere destinato alla collettività.

Oggi, a 10 anni di distanza, il FAI – Fondo Ambiente Italiano e la Fondazione Museo di Palazzo Moroni perpetuano e corroborano quella volontà per decisione della figlia Lucrezia Moroni e del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Moroni da lei presieduto, e firmano un innovativo e articolato accordo che affida il Bene al FAI, per rendere fruibile a un pubblico sempre più vasto uno dei più importanti e rappresentativi edifici della città, celebre per il suo grandioso scalone, la ricchezza degli affreschi di Giacomo Barbelli – realizzati tra il 1649 e il 1654 –, la varietà delle sale e la ricercatezza della Collezione Moroni, nella quale spicca il celeberrimo dipinto di Giovanni Battista Moroni Il cavaliere in rosa (1560). Grazie a questa intesa, maturata tra le due fondazioni private in una piena comunione di intenti e in assoluta armonia con le rispettive missioni, lo splendido e ricco edificio del Seicento che domina Bergamo Alta diventerà nel 2020 il sessantacinquesimo Bene FAI, il primo palazzo aristocratico urbano a impreziosire la collana di Beni tutelati e gestiti dalla Fondazione. Completa la straordinaria importanza del complesso il suo inscindibile, imponente giardino-ortaglia: circa due ettari di suggestivo, insolito e intatto brano di campagna lombarda con vigne e terrazze a frutteto, che occupa un decimo di Bergamo Alta, uno dei più bei centri storici italiani.

Palazzo Moroni

Il Palazzo verrà auspicabilmente aperto al pubblico dopo i primi indispensabili restauri nell’autunno 2020 e non oltre la primavera 2021, ed eccezionalmente per le Giornate FAI di Primavera nel marzo 2020. Il totale restauro e l’adeguamento funzionale delle strutture e del giardino richiederanno poi risorse più ingenti e qualche anno di ulteriore lavoro che sarà eseguito a bene aperto al pubblico.

Grazie a una modifica nello statuto di Fondazione Museo di Palazzo Moroni, il FAI entra in posizione di maggioranza nel Consiglio d’Amministrazione della Fondazione, il cui presidente rimane Lucrezia Moroni. Il Palazzo, le collezioni e le pertinenze vengono affidate in comodato al FAI, che progetterà, e reperirà i fondi per il restauro, l’adeguamento funzionale, la gestione e la valorizzazione del complesso al fine di aprirlo regolarmente al pubblico, garantendo gli stessi standard qualitativi di tutti i Beni del FAI. Per consentire una gestione ottimale del Palazzo, il FAI acquista da Lucrezia Moroni alcune porzioni minori del Palazzo che non appartengono alla Fondazione Moroni, destinate a funzioni accessorie, in particolare l’appartamento del Cucinone al piano ammezzato e alcuni locali al pian terreno che saranno dedicati all’attività didattica. Vengono poi acquistati dal Fondo Ambiente Italiano gli arredi necessari a mantenere l’unitarietà della Collezione presso il Bene.

L’accordo prevede inoltre che anche il nucleo particolarmente importante costituito da 6 dipinti uniti da vincolo di collezione – tra cui Il cavaliere in rosa, uno dei più noti dipinti del Rinascimento italiano, e Ritratto di Isotta Brembati, entrambi di Giovanni Battista Moroni – rimanga nel Palazzo, nel pieno rispetto dell’assetto che fu concepito nella prima metà dell’Ottocento.

La Fondazione Museo di Palazzo Moroni sarà custode dell’importante Archivio Storico della famiglia Moroni che include documenti dalla prima metà del 1400 ai giorni nostri, e con il supporto del FAI continuerà a svolgere la sua funzione principale di salvaguardia e memoria della Famiglia Moroni.

IL PALAZZO, CENNI STORICI

Palazzo Moroni si trova a Bergamo Alta, in via Porta Dipinta 12. È un tipico palazzo aristocratico lombardo del Seicento, da sempre appartenuto alla famiglia Moroni, che conserva eccezionalmente, oltre agli interni arredati e decorati con alcuni capolavori d’arte, l’impianto complessivo originario, comprendente un giardino e un’ortaglia di circa due ettari, rarissima in un contesto urbano e che oggi ha il valore di un vasto, insolito e suggestivo parco storico nel cuore di Città alta.

La famiglia, e in particolare il ramo dei conti Moroni, nasce ad Albino in Val Seriana (13 km da Bergamo) all’inizio del Quattrocento e realizza la sua fortuna nel settore tessile, in particolare grazie alla coltivazione del gelso; l’albero compare infatti nello stemma di famiglia e il suo nome in dialetto bergamasco – murù – richiama il cognome Moroni.

L’edificio è costruito per volontà di Francesco Moroni (1606-?) in seguito al matrimonio nel 1631 con Lucrezia Roncalli; i lavori durano circa trent’anni, dal 1636 al 1666, e le più consistenti modifiche sono registrate dalla prima metà dell’Ottocento, come attestano i documenti del prezioso archivio conservato nel Palazzo e oggetto di tutela e studio da parte della Fondazione Museo di Palazzo Moroni.

Il palazzo apre sulla via, un tempo dirimpetto a Palazzo Marenzi, acquistato dai Moroni nel 1878 e poi demolito per aprire la vista panoramica sulla pianura che ancora si gode dalle finestre del piano nobile. Alle spalle della facciata, oltre una corte interna, impreziosita dalla nicchia-ninfeo con statua monumentale di Nettuno (attribuita a Lorenzo Redi), si estendono il giardino all’italiana, pensile e articolato in terrazzamenti, e poi l’ortaglia, frutto di progressive annessioni ottocentesche e destinata un tempo a colture produttive (alberi da frutto e viti); la proprietà segue il versante del colle di Sant’Eufemia e costeggia le fortificazioni della cittadella medievale o Rocca civica, di cui ingloba una torre.

L’appartamento al piano nobile si conserva integro nell’architettura, negli arredi e nei decori. Vi si accede dallo Scalone d’onore, cui seguono in infilata sale e saloni affrescati dal pittore cremasco Gian Giacomo Barbelli (1604-1656), chiamato a palazzo nel 1649 (Scalone d’onore, Sala della Gerusalemme liberata, Sala di Ercole, Sala dell’età dell’oro, Sala dei Giganti); i soggetti degli affreschi sono descritti e interpretati dall’erudito padre Donato Calvi, priore del vicino convento di Sant’Agostino, nel suo Le misteriose pitture del Palazzo Moroni, edito a Bergamo nel 1655. Alla fase decorativa originaria ne segue una ottocentesca, realizzata in occasione del matrimonio di Alessandro Moroni con la milanese Giulia Resta (1838) e caratterizzata da affreschi della bottega dei Salvatoni, che riproducono stucchi a trompe-l’oeil e si alternano a fantasiosi soggetti tipici del mondo classico ed esotico (Sala gialla, Sala rosa, Sala azzurra, Sala turca, Sala cinese).

In queste sale trova sede la Collezione Moroni, testimonianza originale della storia del Palazzo e del gusto dei proprietari, notevole per varietà e ricercatezza degli oggetti (arredi, quadri, sculture, porcellane, etc.), tra cui spiccano alcuni capolavori. La raccolta ha inizio con il fondatore, Francesco Moroni, ma si arricchisce e si consolida nel corso dell’Ottocento probabilmente per merito del conte Pietro (1793-1858), pittore dilettante sotto la guida di Marco Gozzi e protagonista della vita culturale e politica di Bergamo. È in questa fase che entrano nella collezione i due pezzi più importanti: il Ritratto di Giovanni Gerolamo Grumelli (Il Cavaliere in Rosa), firmato e datato al 1560, e il Ritratto di Isotta Brembati del pittore Giovanni Battista Moroni (1520/1524 – 1579/1580), giunti nel 1817 dalla raccolta di Fermo Grumelli, a saldo di un debito.
Il Cavaliere in rosa e il Ritratto di Isotta Brembati sono tra i più impressionanti ritratti di Giovanni Battista Moroni, eccezionali per la preziosità cromatica, la resa tattile delle vesti e degli ornamenti (velluti, fili d’oro e d’argento e seta) e l’indagine psicologica. Per la loro importanza storico-artistica sono stati spesso richiesti in mostre nazionali e internazionali: l’ultima volta nel 2019, per un’esposizione alla Frick Collection di New York.
I dipinti raffigurano due tra i principali esponenti della vita politica e culturale della Bergamo della metà del Cinquecento, sposi, in seconde nozze, dal 1561. Sono stati a lungo ritenuti dei pendants, a causa della storia collezionistica comune (a partire dall’inizio del Seicento, quando si trovano nella raccolta di Marcantonio Grumelli) e delle uguali dimensioni; fino al restauro del 2002, infatti, il Ritratto di Isotta di Brembati conservava due strisce di tela ai margini superiore e inferiore, inserite nell’Ottocento per adattarlo alle dimensioni del Cavaliere in rosa e ora rimosse. In realtà il Ritratto di Isotta di Brembati dovrebbe precedere di circa cinque anni il Cavaliere in rosa ed essere forse collegato al primo matrimonio di Isotta con Lelio Secco d’Aragona, cognato di Giovanni Gerolamo Grumelli.

La quadreria di Palazzo Moroni è costituita a partire da un nucleo di dipinti del Cinquecento lombardo, tra cui spiccano tre ritratti di Giovanni Battista Moroni, con il quale la famiglia non vanta legami di parentela, nonostante l’omonimia: oltre ai due già citati, il Ritratto di donna seduta, opera matura e di grande intensità. A questo primo nucleo appartengono anche la Maddalena penitente del Giampietrino (documentato dal 1508 – morto nel 1553), allievo di Leonardo da Vinci, e il Gruppo di famiglia del bergamasco Andrea Previtali (1480 circa – 1528). Si annoverano poi testimonianze dell’età barocca, come i paesaggi di Giuseppe Roncelli (1661-1729) o le bambocciate di Faustino Bocchi (1659-1741). Più consistente la sezione ottocentesca, costituita soprattutto da paesaggi – di Pietro Ronzoni (1781-1862) e Marco Gozzi (1759-1839) -, ma che conta anche importanti ritratti di Giuseppe Sogni (1795-1874) e Cesare Tallone (1853-1919).

Arredi e ceramiche di grande valore completano la collezione di Palazzo Moroni. Si vedano, ad esempio, le preziose consolle settecentesche della Sala della Gerusalemme liberata, con piani a mosaico d’età romana provenienti da Villa Adriana a Tivoli, oppure il tavolo della bottega Fantoni nello Scalone d’onore, e altri mobili intarsiati di ambito lombardo e veneto del XVIII e XIX secolo. Tra le ceramiche spiccano alcuni oggetti realizzati dalle grandi manifatture europee tra Sette e Ottocento (Meissen, Wedgwood, Sèvres e Capodimonte) e altri provenienti dall’estremo Oriente, come i preziosi vasi cinesi Canton della fine del XVIII secolo nella Sala Gialla; di particolare interesse, infine, un gruppo di porcellane policrome a motivi floreali firmate da Jacques Petit (1796-1868).

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