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Delitto di curno

“Marisa voleva lasciare quell’uomo violento, lui l’ha uccisa e non è pentito”

Le motivazioni del giudice Magliacani dopo l'ergastolo a Ezzedine Arjoun: "Quella sera ha anche mangiato mentre la aspettava in garage"

La sera del 2 febbraio ha aspettato l’arrivo di Marisa e Deborha nel garage della casa di Curno dove vivono i genitori delle due sorelle. Ha portato con sé il coltello, arma del delitto, e nell’attesa ha anche mangiato. A dimostrazione che nonostante avesse il tempo per ripensare alla propria condotta criminale, era determinato a compiere il suo disegno. Lo scrive il giudice Massimiliano Magliacani nelle motivazioni della sentenza di ergastolo a Ezzedine Arjoun, il tunisino di 36 anni responsabile dell’omicidio della moglie Marisa Sartori, 25 anni, del tentato omicidio della sorella Deborha, 23 anni, di maltrattamenti e di violenza sessuale.

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Un gesto aggravato della premeditazione e dai futili motivi. Marisa, prosegue Magliacani, è stata assassinata a coltellate perchè aveva deciso di lasciare quell’uomo violento. Lui la sfruttava economicamente, la riteneva di sua proprietà. Eppure la ragazza nel 2012, a soli 19 anni, lo amava al punto da raggiungerlo in Tunisia e sposarlo. L’ha aiutato in tutto, andando contro il parere dei genitori e della sorella Deborha, che avendo capito come stavano le cose, aveva fatto di tutto per convincerla a mollarlo. Lui ne approfittava e la maltrattava.

Fino al giorno in cui le due sorelle sono andate all’associazione “Aiuto donna” per denunciare quella situazione. Poi l’avvio delle pratiche per la separazione. Era tutto pronto, ma il giorno stabilito Ezzedine non si era presentato al Comune di Sant’Omobono Imagna per le firme. Aveva invece iniziato a escogitare il suo piano criminale.

Un delitto commesso da lucido, nonostante fosse consumatore di sostanze stupefacenti e alcol. Il giudice sostiene che ci sono diversi motivi per stabilire che il tunisino non fosse ubriaco e drogato quella sera. Dopo l’omicidio si è presentato alla caserma dei carabinieri di Ponte San Pietro senza sintomi di alterazione. Era vigile, collaborante. Deborha, che ha dovuto assistere all’aggressione mortale della sorella prima di essere a sua volta colpita, ha detto inoltre che aveva “lo sguardo arrabbiato e fuori controllo. Senza parlare, ne io e lui, si è avvicinato a me e mi ha pugnalato dal basso verso l’alto tre volte”.

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Sulla capacità di intendere e volere dell’imputato, ci sono state due perizie che hanno concordato sul fatto che il 36enne è capace di intendere e volere. Mostra tratti sociopatici, ma non sono emersi segni o sintomi di rilevanza psicopatologica o un deterioramento della personalità.

Infine, conclude il giudice, anche il comportamento processuale tenuto dall’imputato non merita alcuna attenuazione di pena perché mai ha dimostrato di aver compreso la gravità dei propri agiti, specie nei confronti di Deborha Sartori che nel verbale interrogatorio ha dipinto come la causa delle separazione e dell’allontanamento della moglie da lui.

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