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La sentenza

Milano-Laghi: la Corte europea dà ragione al Gruppo Vitali

La normativa italiana e i limiti ai subappalti nei lavori pubblici, con qualsiasi percentuale, contrastano con la normativa comunitaria (direttiva 2014/24): così la Sentenza della Corte UE C63 /18 che nel contenzioso tra il Gruppo Vitali e Autostrade per l'Italia si è espressa a favore del Gruppo di Cisano.

I limiti ai subappalti nei lavori pubblici, con qualsiasi percentuale, contrastano con la normativa comunitaria (direttiva 2014/24), sentenzia la Corte UE.

Secondo la Corte di giustizia europea, l’art. 105, comma 2 del Codice dei contratti che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi sarebbe contrario alla normativa dell’unione europea.

La pronuncia comunitaria mette fine alla querelle tra il Gruppo Vitali e Autostrade per l’Italia rispetto ai lavori per la quinta corsia della Milano-Laghi, dopo una causa promossa dallo stesso Gruppo di Cisano, arrivata al Tar della Lombardia e rinviata, per un parere, alla Corte di Giustizia Europea che si è espressa a favore del Gruppo Vitali.

Il 10 agosto 2016 Autostrade per l’Italia, con procedura ristretta, ha indetto un bando per la nuova Milano-Laghi: 85,2 milioni di euro a base d’asta, appalto di sola esecuzione, per realizzare il 2°lotto dell’ampliamento a 5 corsie dell’autostrada A8 Milano-Varese. Al bando hanno partecipato 26 imprese e il Gruppo Vitali di Cisano che, ammesso alla gara con riserva, dopo aver presentato la propria offerta, viene esclusa dalla stazione appaltante nel maggio del 2017 perché, riferisce il Tar, “la Commissione ha rilevato il superamento della percentuale del 30% prevista dall’art. 105, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016, in materia di subappalto”.

Da qui il ricorso al giudice amministrativo proprio per la parte in cui il tribunale amministrativo non aveva ritenuto legittima l’ammissione alla gara della Vitali, che pronunciandosi su un contenzioso tra Autostrade per l’Italia e il Gruppo di Cisano, ha rimesso la questione alla corte di giustizia europea, “costringendo” il giudice europeo ad aprire gli occhi sull’evidente difformità normativa.

Un problema rimasto latente per anni ma che ora sembra arrivato al redde rationem. Il tema è noto: il legislatore europeo non prevede alcun limite sul subappalto. Il nostro codice dei contratti, invece, sì (peraltro in continuità con le norme precedenti): l’impresa affidataria non può subappaltare i lavori per oltre il 30% del valore del contratto, con la (parziale) eccezione delle lavorazioni che rientrano nelle cosiddette categorie superspecialistiche. Si tratta insomma di una questione sulla quale il legislatore europeo e quello italiano la pensano in modo opposto. Spinta da un certa urgenza operativa, Autostrade per l’Italia, avvalendosi della norma che consente di affidare i lavori in pendenza di ricorso, ha così deciso, alla fine, di affidare i lavori alla Vitali (leggi qui).

.Il 26 settembre scorso è stata pubblicata una sentenza della Corte di Giustizia Europea (causa C-63/18) che considera illegittimo il limite ai subappalti a terzi da parte delle ditte vincitrici della gare per lavori pubblici, previsto dal nostro nuovo codice d. lgs 50/2016, più volte modificato. Questo perché in questo modo si danneggiano le piccole medie imprese che hanno il diritto di poter partecipare ai lavori senza limitazioni.

La motivazione della sentenza non si sofferma sulla percentuale specifica fissata dal codice Appalti al 30% (ma attualmente, fino al 2020 , innalzato al 40% dalla conversione in legge del Decreto Sblocca cantieri), e le motivazioni addotte dal Governo italiano che fanno riferimento al pericolo di infiltrazioni mafiose nei subappalti a terzi, per la Corte Ue sono poco pertinenti e non giustificano la limitazione alla libera impresa. Si sottolinea che a questo fine va invece verificato il possesso dei requisiti dei subappaltatori. “Il diritto italiano – ricorda la Cortegià prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso”.

La Corte di Giustizia Europea in un passaggio della sentenza precisa che “la normativa nazionale di cui al procedimento principale vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore” aggiungendo, anche, che “Ne consegue che, nell’ambito di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, per tutti gli appalti, una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione”.

“Una restrizione al ricorso del subappalto -conclude la Corte di Giustizia Europea- come quella di cui trattasi nel procedimento principale non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24”.

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