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Il racconto

“Le abbiamo estratte dall’aereo e ci imploravano di salvare anche la sorella, ma era già morta” video

Francesco Defendi, 75 anni, insieme all'amico Angelo Pessina ha tratto in salvo tre delle quattro persone a bordo del Mooney precipitato sabato: "Non chiamatemi eroe, ho fatto ciò che chiunque potrebbe fare"

“Non dimenticherò mai le urla di quelle ragazze che ci imploravano di aiutare la sorella rimasta nell’aereo. Purtroppo non siamo riusciti a salvare anche la piccola Marzia”. È ancora scosso Francesco Defendi, 75 anni, originario di Lurano, ex dirigente d’azienda alla C. M. T. di Potenza e ora in pensione.

Seduto sul divano della sua abitazione di Dalmine ripercorre con la mente e con le parole quello che è successo sabato 21 settembre lungo l’asse interurbano, dove insieme all’amico Angelo Pessina, ex poliziotto di Bergamo, ha rischiato la vita per liberare prima Silvia e Chiara Mecca, le due sorelle di 15 e 18 anni sedute sul sedile posteriore, poi Stefano, il loro papà alla guida del Mooney M20k D-Eise che si è schiantato proprio di fronte all’Aero Club Guido Taramelli di cui il pilota ne è vice presidente. Non ce l’hanno fatta a trarre in salvo anche Marzia, l’altra gemella 15enne, il cui funerale è stato celebrato lunedì.

defendi pessina aereo
Francesco Defendi e Angelo Pessina al funerale di Marzia Mecca

I due si stavano recando a Leroy Merlin per acquistare del materiale per il Cus di Dalmine, di cui fanno parte dello staff. Si sono conosciuti proprio lì, quattro anni fa. Una mattinata come tante per loro quella di sabato, fino a pochi minuti dopo le dieci: “Stavamo andando a Seriate con la macchina di Angelo – racconta Defendi con la voce rotta dall’emozione – . All’improvviso abbiamo sentito un tonfo. Proprio sulla destra, il lato in cui ero seduto io. Ci siamo girati pensando che qualcosa ci avesse urtato, invece abbiamo visto l’ala di un aereo sulla strada laterale di immissione dalla rotatoria che porta alla Fiera. Ci siamo fermati sulla corsia di innesto, una decina di metri più avanti, per capire cosa era accaduto”.

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La scena che si presenta davanti ai loro occhi è terribile. Schiantato al suolo c’è il piccolo aereo, con un’ala già in fiamme. Defendi, un passato da nuotatore e da ciclista, senza pensarci due volte inizia a correre verso il velivolo: “Angelo mi urlava di stare attento, ma io quasi non lo udivo. Sentivo qualcosa dentro che mi spingeva, come una calamita che mi attirava verso il punto dell’impatto. Ho fatto uno scatto e sono arrivato sul posto prima di lui. Ho visto le gambe di Silvia e Chiara che sporgevano dai finestrini ed erano ustionate. Non si scorgeva nulla all’interno perchè l’abitacolo era invaso dal fumo nero. Le abbiamo aiutate a uscire prendendole proprio per le gambe, per poi accompagnarle qualche metro più in là. Erano annerite dal fumo. Tranne la faccia, perchè si erano protette con le mani. Poi è stata la volta del padre, che era messo peggio e aveva il corpo e la testa infuocati. Ricordo il suo capo, sembrava un sole che splendeva”.

Piper in fiamme

Le giovani, distese su un prato a lato della strada e in condizioni precarie, non si dimenticano però della loro sorella Marzia: “In lacrime continuavano a gridare di aiutarla. Ma non vedevamo nulla all’interno del mezzo e non sentivamo alcun lamento. Secondo me era già deceduta a causa delle lesioni provocate dall’impatto al suolo. Il papà invece non mi ha detto niente. Era contrariato e disperato, forse si era già reso conto di cosa era successo a sua figlia e sperava di andarsene con lei”.

A questo punto le fiamme invadono completamente il Mooney e i due amici sono costretti ad allontanarsi: “Dispiace non essere riusciti a salvare anche la terza ragazzina, ma per aiutare gli altri abbiamo rischiato la vita. Io mi sono ustionato l’avambraccio e ne porterò i segni a lungo. Ma più che altro mi rimarranno impresse le urla delle sue sorelle”.

I funerali di Marzia Mecca
Francesca Ongaro, madre di Marzia, abbraccia Defendi per ringraziarlo

Lunedì Francesco e Angelo hanno partecipato al funerale di Marzia, celebrato nella chiesa di San Giorgio Martire a Fiorano al Serio: “Quando la mamma ci ha visti è venuta verso di noi, ci ha abbracciati e ci ha ringraziati. Le abbiamo detto che siamo rammaricati per non aver tratto in salvo anche l’altra sua figlia. Ho saputo che Stefano è ancora grave al Niguarda di Milano, spero ce la possa fare”.

Nel frattempo da Procura e Questura di Bergamo è stata avviata la pratica per far ottenere ai due un encomio solenne: “Non lo sapevo e mi fa molto piacere. Ma non chiamatemi eroe, ho fatto ciò che chiunque potrebbe fare”.

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