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I nodi del caso

Rogo in ospedale, indagini in corso: il giallo del materasso e dell’accendino fotogallery video

Tante domande e poche certezze dopo l'incendio mortale nel reparto di psichiatria del Papa Giovanni. Sotto esame la rapidità con cui si sono sprigionate le fiamme

Tante domande, poche certezze. A partire dalla velocità con cui si sono sprigionate le fiamme. A ventiquattrore dall’incendio che martedì mattina, 13 agosto, è divampato nel reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, il pubblico ministero Letizia Ruggeri ha formalizzato l’apertura di un fascicolo d’inchiesta per omicidio colposo, attualmente contro ignoti.

Prima di procedere – e quindi, eventualmente, iscrivere qualcuno nel registro degli indagati – il pm aspetta l’esito delle consulenze richieste per fare il più possibile chiarezza su quanto successo al terzo piano della Torre 7, ora sotto sequestro, dov’era di stanza la paziente Elena Casetto, 19 anni, di Osio Sopra, morta carbonizzata tra le fiamme.

Ieri la procura ha ricevuto una prima relazione dalla Squadra mobile della Questura, e nominato un consulente tecnico per gli accertamenti peritali sull’incendio. Ulteriori verifiche saranno effettuate dai Nas e dai vigili del fuoco, mentre settimana prossima è in programma l’autopsia sul corpo della giovane, trovata sul pavimento con una gamba ancora legata al letto, per capire se sia morta a causa del fumo o delle fiamme.

Tassello dopo tassello, chi indaga mira a ricostruire il complesso mosaico degli eventi. Martedì mattina, intorno alle 9.30, la giovane (“in preda a un forte stato di agitazione”, ha scritto l’ospedale in un comunicato) avrebbe provato a togliersi la vita con un lenzuolo stretto attorno al collo. Sarebbe poi stata sedata e contenuta a letto dal personale che le avrebbe bloccato braccia, gambe e torace.

Secondo il protocollo, i pazienti andrebbero controllati ogni 15 minuti: prima sorvegliati a livello visivo, poi verificando i parametri vitali. Poco dopo l’ultimo controllo, verso le 10 – è la ricostruzione dell’ospedale – dalla stanza della vittima sarebbero partite le fiamme, nel breve estese a gran parte dell’arredo. Purtroppo, nessuno ha fatto in tempo a salvarla. La squadra antincendio interna, intervenuta con il supporto dei sorveglianti e dei tecnici, si è trovata davanti a un muro di fumo che ha reso inutile ogni sforzo. Compreso l’uso dell’estintore.

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Un’esistenza tormentata quella della giovane, ricoverata a Bergamo dall’8 agosto dopo un’adolescenza passata tra l’Italia e il Brasile, paesi d’origine dei genitori. Un mal di vivere che più volte l’avrebbe spinta a tentare il suicidio.

Considerando lo storico, delicatissimo, l’ipotesi è che sia stata proprio lei ad appiccare il fuoco. Come abbia fatto, è uno dei nodi da sciogliere. Forse il sedativo non aveva ancora fatto effetto ed è riuscita in parte a divincolarsi? E se sì, con cosa avrebbe appiccato il fuoco? Una delle ipotesi circolate è che potesse nascondere un accendino nelle parti intime. Dov’è finito? Ammesso che sia mai esistito. È forse andato distrutto nell’incendio? Gli inquirenti, al momento, non confermano la pista e mantengono alto il riserbo. L’ospedale, in una nota, ha comunque sottolineato di avere effettuato la “perquisizione personale e della stanza prevista in psichiatria” per ritirare gli oggetti potenzialmente pericolosi.

Altro tema, il tipo di materiale presente all’interno della stanza: acquistato con la precisa richiesta di essere resistente allo sviluppo delle fiamme. In una parola, ignifugo. E allora, come ha fatto il materasso a bruciare così velocemente? E le lenzuola? Anche su questo aspetto si stanno concentrando gli approfondimenti.

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È stata poi spiegata la faccenda degli sprinkler (spruzzatori) disattivati nel reparto di psichiatria per evitare ogni tipo di manomissione da parte dei pazienti (che potrebbero anche staccarli e utilizzarli come strumenti taglienti). Una richiesta inoltrata anni fa dall’ospedale ai vigili del fuoco, che rilasciano il certificato antincendio. Il sistema antincendio, invece, ha fatto sganciare le porte tagliafuoco, che impediscono alle fiamme di propagarsi, facendo scattare i protocolli di evacuazione per circa 80 pazienti.

Nel frattempo, sulla morte della 19enne hanno preso posizione l’Unione nazionale della associazioni per la salute mentale, che sta valutando di costituirsi parte civile in un eventuale processo, e il garante nazionale dei detenuti. Entrambi pongono una serie di interrogativi su come possa essere accaduto un fatto simile. Ad esempio, chi aveva il compito di vigilare la 19enne? Quanti medici e operatori erano in servizio martedì mattina? Dove erano gli operatori al momento del rogo?. Insomma, se è vero che la giovane aveva manifestato poco prima intenzioni preoccupanti, è stato fatto tutto il possibile per evitare la tragedia?.

Infine è stata istituita una commissione tecnico-organizzativa, formata da operatori dell’Agenzia di tutela della salute e dell’Asst Papa Giovanni XXIII. La prima riunione è in programma martedì prossimo “con l’obiettivo di verificare le procedure attivate dalla struttura e le dotazioni strumentali messe in campo” dall’ospedale e dal reparto durante quelle drammatiche ore.

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