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"innuendo"

Alla scoperta dei giovani musicisti bergamaschi: Filippo Cattaneo Ponzoni

Filippo Cattaneo Ponzoni, chitarrista bergamasco di soli diciannove anni è il protagonista della nostra rubrica dedicata ai giovani musicisti

Bellezza esteriore e bontà d’animo difficilmente convivono nella stessa persona. Ma a volte succede.

Filippo Cattaneo Ponzoni, chitarrista bergamasco di soli diciannove anni, è una rarità che merita di essere conosciuta.

Filippo non è nuovo ai microfoni di Bergamonews, lo avevamo conosciuto non ancora maggiorenne, ma già con le idee chiare: “da grande voglio essere un musicista professionista”, ci aveva raccontato.

Ora lo troviamo più maturo, ma con lo stesso sorriso spontaneo. Rimanendo un ragazzo semplice, Filippo ha investito tutto ciò che poteva nella musica, è cresciuto come artista e come uomo.

Ci ha creduto e poi la chiamata è arrivata: ora è il chitarrista ufficiale di Giovanni Luca Picariello, meglio noto come Ghemon, uno degli artisti italiani più apprezzati del momento. Con gentilezza e grande talento, il giovane musicista ha trovato il proprio posto in un mondo, non facile, di grandi. Cresciuto con i miti di Jimi Hendrix e Chopin Filippo, è la crasi perfetta tra un cuor gentile e un’anima rock.

Filippo, non hai ancora vent’anni, ma il sogno si è realizzato. Raccontacelo…

È vero, nella mia ultima intervista a Bergamonews avevo un grande desiderio, quello di fare il musicista. Nel frattempo, mi sono diplomato al Liceo “Secco Suardo” e poi è arrivata la chiamata. Sono stato contattato da Ghemon e il mio sogno si è avverato.

Una chiamata inaspettata. Come sei stato contattato?

Potrà sembrarvi strano, ma è stato Instagram a farci conoscere. Ghemon ha visto un mio video e poco tempo dopo sono diventato il suo chitarrista. Con “Mezzanotte tour” e, poi, con il “Criminale emozionale tour” ho girato tutta l’Italia. Ora l’avventura continua in studio, ma nel frattempo sto portando avanti un mio progetto. L’esperienza con Ghemon è fantastica: oltre ad essere un artista strepitoso, è una persona eccezionale. Lavorare con lui è un piacere.

Raccontami di questo progetto. Di cosa si tratta?

Siamo gli FCC trio. Io, alla chitarra elettrica, Chiara Arnoldi al basso e Cesare Bergamelli. Tre ragazzi, tutti bergamaschi alla soglia dei vent’anni, uniti dall’ambiente musicale in comune. Ci siamo conosciuti a gennaio dello scorso anno, in estate abbiamo preparato un repertorio abbastanza ampio: da Jimi Hendrix a Stevie Ray Vaughan, a Jaco Pastorius. Spaziamo dal rock al jazz. Da settembre 2018 giriamo per locali del nord Italia, a gennaio abbiamo avuto l’onore di suonare al Zio Live Music Club di Milano e poi di partecipare alla manifestazione JazzMi in Piazza San Babila. Sono state entrambe bellissime esperienze.

Pensate di fare pezzi vostri?

Certo che sì, questa è la direzione in cui vogliamo andare. Avrete presto notizie.

Oltre al trio, ci sono progetti in cui tu sei l’unico protagonista. Parlaci del tuo primo inedito…

“Season” è il mio primo pezzo, nato per caso, sviluppato in poco tempo. Fabio Brignone, bassista dei Moseek, band conosciuta per una partecipazione a XFactor, mi ha dato un grande aiuto per la registrazione. “Season” è un pezzo totalmente strumentale, con atmosfere black. Molto suggestivo.

C’è altro in cantiere?

Lavori in corso. Penso di uscire presto con un EP, ma per ora non posso anticiparvi nulla. Stay tuned!

Preferisci la musica strumentale pura o quella in cui il canto è protagonista?

Mi ritrovo a metà tra i due mondi. Sembrano separati, ma in realtà si amalgamano. Non abbandonerò mai il mondo “strumentale” perché è quello da cui provengo. Questo è fuori discussione. Da tempo ho iniziato a studiare canto e penso che la mia musica un giorno andrà in quella direzione.

Musica e parole stanno insieme, non si fanno la guerra. Ghemon docet da questo punto di vista. Giusto?

Assolutamente, ho imparato che il compito dei musicisti è quello di riuscire a sostenere testi così ricercati e curati nel dettaglio. Ho scoperto quanto possa essere bello e stimolante stare a metà tra le due dimensioni.

Sei un giovane uomo in mezzo a un mondo di grandi. Ti senti mai intimidito?

Trovarsi a suonare con musicisti che hanno il doppio dei tuoi anni è stimolante. Sto a contatto con persone che hanno esperienza da vendere, io ho solo di che da imparare. Questo è un aspetto che ogni artista non deve sottovalutare. Bisogna assorbire il più possibile dai grandi. È anche così che sono maturato artisticamente e personalmente.

Raccontaci di questo mondo e dei “grandi” che hai incontrato.

L’ambiente della band è stupendo. Questa è la mia strada, mi sento a casa. È una cosa che ho sempre saputo, ma negli ultimi mesi ne ho avuto la conferma. Uno degli incontri che porterò nel cuore è stato quello con Manuel Agnelli, artista e uomo strepitoso, conosciuto in occasione del premio “Italo Agnelli”. Si tratta di un musicista a 360 gradi. Sono rimasto anche colpito da Rodrigo d’Erasmo, altro membro del Afterhours, dall’uso che fa del violino, dal modo in cui gioca e sperimenta i suoni.

Da poco è nata anche la collaborazione con i Funky Lemonade, band emergente bergamasca. Mi pare che per te sia indispensabile la contaminazione tra colleghi…

Una musica senza collaborazioni è una musica più vuota. Quando collabori entri a contatto con altre teste che vedono la musica in un modo differente dal tuo. Dal confronto nasce sempre del positivo. Le commistioni, anche tra generi diversi, generano sempre qualcosa di bello. Come nel caso dei Funky, con i quali ho avuto il piacere di collaborare ad un brano del loro primo album. Ve li consiglio…

Ti ricordi la prima volta in cui hai toccato la chitarra?

Si. Ricordo bene quel momento. È stato durante un viaggio in Normandia con la mia famiglia e alcuni amici. Un amico di mio padre aveva una chitarra, che poi è diventato il mio primo strumento. Mi aveva molto colpito il modo in cui quest’uomo suonava, completamente fingerpicking. Ho pensato: “voglio essere così”. Da quel momento la chitarra non mi ha mai lasciato.

Prova a immaginarti fra tre anni. Cosa vedi?

Nell’ultimo anno sono successe tante cose, bellissime, importanti. Per cui mi riesce difficile immaginarmi da qui a tre anni. Sono abituato a vedere le cose abbastanza gradualmente, seppur con uno sguardo al futuro. Penso che a volte bisogna lasciare al caso il proprio destino.

Quanto tempo dedichi alla chitarra?

Tutto il mio tempo, suono minimo nove ore al giorno tra prove studi di tecnica: per cui esercizi al metronomo con i vari ritmi. Non ho un manuale. Mi esercito suonando sui dischi. Non mi piace schematizzare e incasellare la musica. C’è tutto il mondo dell’improvvisazione: certe cose non si imparano sui libri.

A chi ti senti di dire grazie?

Alla mia famiglia. Dopo la morte di mia madre, siamo rimasti in tre: io, mio padre e mia sorella. Un nucleo famigliare, ma unitissimo. Non tutti hanno la fortuna di avere una passione come la mia e di essere incondizionatamente supportati dai propri cari. Io non sono mai solo, mio padre e mia sorella credono in me.

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