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On the road

Via Boccola in Città Alta, dove i morti della peste del 1630 “spiano dalla finestrella”

Si tratta di un angolo davvero suggestivo di Bergamo e ci ricorda che, un tempo, i colli erano ricchissimi di sorgenti e di acque

Rispetto all’algida e un po’ ingessata esattezza dei dizionari, peraltro resa un filino periclitante dai più recenti conii petaloseggianti della Crusca, l’odonomastica conserva molte più tracce della meravigliosa fantasia popolare: le lingue d’uso e i dialetti sono dotati di una formidabile capacità sintetica e creativa che, spesso, manca al linguaggio dotto.

Così è, sovente, per strade e contrade bergamasche, che riflettono modi di dire ed usanze affatto peculiari della nostra gente. Prendiamo il caso di una delle strade arcinote di Città Alta, ovvero quella via Boccola che rappresenta uno dei siti maggiormente temuti dalle famigliole indomenicate, che, talvolta, nella stagione calda, la percorrono in salita, sudando copiosamente, per raggiungere Colle Aperto.

La via è, in effetti, bellissima: partendo dalle “montagnette”, costeggia la vallata e conserva gran parte del suo aspetto originario. All’inizio della rampa si trova la splendida fontana del Lantro, un tempo all’aperto, che forniva acqua all’intera vicinia di San Lorenzo: i Veneziani pensarono bene di interrarla, quando, per la costruzione delle mura, dovettero spostare la chiesa.

Si tratta di un angolo davvero suggestivo della nostra città e ci ricorda che, un tempo, i colli erano ricchissimi di sorgenti e di acque, che scorrevano verso valle, a formare fiumicelli e torrenti; oppure come nel nostro caso, venivano intercettate per la pubblica utilità.

Anche la chiesina, veramente, offre qualche attrattiva: quando ero piccolo, mia mamma, un po’ sadicamente, mi mostrava i “murtì”, ovvero le spoglie dei morti della peste del 1630, che occhieggiavano da una finestrella posta sotto il piccolo altare. Credo che molte delle mie fobie notturne derivino proprio dalla vista di quei poveracci, posti a monito del viandante.

Ma torniamo alla Boccola: in italiano, oggi, il termine indica un cerchietto di metallo, un occhiello, un cuscinetto oppure una figura del pattinaggio. Più pedestremente, un tempo, esso significava “piccola bocca”, prestandosi, evidentemente, a infinite applicazioni.

Tra queste, quella di un luogo ove sgorgasse, proprio come da una bocca del terreno, una sorgente. Qui, per la verità, ne sgorgavano almeno due: una all’inizio e una a metà della breve ripa. Quella ai piedi della via riforniva la fontana del Lantro, attiva perlomeno dal primo quarto del X secolo e, quindi, antichissima: l’altra, sulla destra di chi salga, scorreva liberamente verso Valverde, formando un fiumicello che, presumibilmente, si gettava nel Morla, prima di essere trasformata a sua volta in fontanella. Dunque, via Boccola deve il suo nome alle “buccolae”, ovvero alle sorgenti, che la felicitavano di chiare, fresche e, presumiamo, dolci acque.

Va detto che tutte e quattro le sorgenti principali dell’antica Bergamo, quella della Boccola, quella del Lantro, quella, di cui si è già scritto, del Vagine e quella del Corno, in via Fara, sono rivolte a nord: un caso fortunato, nelle circostanze di un assedio cittadino, giacchè la minaccia, per i Bergamaschi, proveniva quasi sempre dalla direzione opposta.

Comunque sia, se vi dovesse capitare di fare la solita passeggiatina fino a Colle Aperto, per una volta, non intasate le Mura: salite dalla Boccola, che è luogo amenissimo e la cui ascesa gioverà al vostro spirito e alla vostra salute. Se, poi, arriverete da Sant’Agostino, passerete anche accanto a tutte e quattro le antiche fontane di Città Alta: ne vale la pena. Alla prossima.

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