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L'intervista

Marcello Magni: “Il mio Marcel? È ognuno di noi messo alla prova”

Marcello Magni, nato a Bergamo, ma emigrato a soli diciannove anni a Parigi e Londra, dove ha fondato la compagnia Theatre Complicitè con la quale ha lavorato per oltre venti anni.

La stagione di Altri Percorsi della Fondazione Teatro Donizetti chiude il sipario per un altro anno. Ad augurare arrivederci è Marcello Magni, nato a Bergamo, ma emigrato a soli diciannove anni a Parigi e Londra, dove ha fondato la compagnia Theatre Complicitè con la quale ha lavorato per oltre venti anni.

Nella serata di giovedì 3 maggio è tornato al Sociale con “Marcel”, una gag di un uomo, ormai non più giovane, che sfida il tempo e anche la morte. Al suo fianco, Jos Houben, severo psichiatra che prova in tutti i modi a mettere in difficoltà il vecchio, ma non ci riesce. La beffa, l’ironia, l’effetto sorpresa vincono su una realtà spesso difficile, sul tempo che scorre inesorabilmente e su un colpo ormai stanco.

Chi è Marcel?

Marcel è chiunque, è uno di noi. In francese la parola “marcel” vuol dire canottiera: questo spettacolo è un omaggio alle persone di una certa età che ancora portano questo tipo di indumento. Marcel deve sostenere una prova, come molti di noi devono fare. È una persona che sopravvive e cerca di salvarsi in tutti i modi, nonostante l’età. I test che deve affrontare sono un vero e proprio calvario, un’odissea.

Dove Marcel trova il proprio punto di equilibro?

Probabilmente Marcel non troverà mai questo equilibrio, anzi, è sempre in disequilibro. Però c’è una rivincita finale in cui sconfigge la morte e in un certo senso anche il suo psichiatra, interpretato da Jos Houben, che cercherà in tutti i modi di metterlo in difficoltà. Il mio personaggio e quello di Hoben sono in continua lotta: è una competizione a due. Da un lato il personaggio di Houben, alto e severo, dall’altro il mio personaggio, piccolo, grassoccio, paesano. L’astuzia VS la semplicità. È qui che nasce la comicità.

marcello magri

Invece lei, come uomo e artista, è riuscito a trovare un equilibrio lontano da Bergamo?

Come attore, ho trovato il mio equilibrio negli anni. Ho cominciato nella Theatre Complicitè, a Londra, una compagnia partita con un piccolo furgoncino che è diventata grande e ha girato tutto il mondo. Facevamo un lavoro molto fisico e dinamico, proprio come lo spettacolo che presentiamo al sociale. Ho poi incontrato persone, come Peter Brook che mi hanno riportato alla calma, all’essere un attore con più rotondità.

Che emozioni prova nel ritornare nella propria terra?

Purtroppo, quest’occasione per me è una toccata e fuga. Vidi questo teatro quando era ancora spoglio, un grande spazio vuoto. Ciò mi evocava tante sensazioni. Avrei voluto rincontralo ancora così. Ora invece è un vero teatro e mi fa un po’ paura tornare a Bergamo dicendo “io faccio teatro”. Sono partito per Parigi a soli diciannove anni. Per me tornare è un piacere immenso. Cercherò di essere spontaneo.

Che emozioni prova nel ritornare nella propria terra?

Purtroppo, quest’occasione per me è una toccata e fuga. Vidi questo teatro quando era ancora spoglio, un grande spazio vuoto. Ciò mi evocava tante sensazioni. Avrei voluto rincontralo ancora così. Ora invece è un vero teatro e mi fa un po’ paura tornare a Bergamo dicendo “io faccio teatro”. Sono partito per Parigi a soli diciannove anni. Per me tornare è un piacere immenso. Cercherò di essere spontaneo.

marcello magri

Ricorda ancora il dialetto bergamasco?

Lo amo, ma ricordo molto poco. È una pagina che manca nel mio curriculum. Avrei voluto sperimentare il teatro in dialetto, che purtroppo non è apprezzato in Inghilterra, la terra in cui vivo adesso.

Foto di Pascal Victor

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