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Cinema

La recensione

“Ray & Liz”, degrado e marginalità nella Gran Bretagna anni ’80

Privo di una morale o di una qualunque spiegazione dei comportamenti, il film risulta ancora più incisivo e inquietante. Ci auguriamo che “Ray e Liz” vinca il premio per la miglior regia.

“Ray & Liz”, regia e sceneggiatura di Richard Billingham; Gran Bretagna, 2018; con Justin Salinger (Ray), Ella Smith (Liz), Patrick Romer (Ray anziano), Deirdre Kelly (Liz anziana), Joshua Millard-Loy (Jason a 9 anni).

Intensissimo. L’ultimo film in concorso dell’inglese Richard Billingham colpisce dritto allo stomaco raccontando in modo impietosamente vivido e allo stesso tempo esteticamente perfetto una storia di degrado e marginalità nella Gran Bretagna degli anni ’80.

Alla periferia di Birmingham vivono Ray e Liz, alcolizzati, e i loro due figli Richard e Jason. Campano con il sussidio di disoccupazione di Ray, in una casa popolare, prima una casa a schiera poi un appartamento di condominio. Entrambe le abitazioni sono fatiscenti e luride: la tappezzeria strappata, il tappeto lercio, i quadri cheap alle pareti, i fiori disseminati nei tanti vasi, gli animali un po’ ovunque (sozzi e trascurati come i figli, oppure nei puzzle, nei quadri, nel televisore sempre acceso..), raffigurano brandelli di un’esistenza normale ormai completamente stravolta e negletta, irrecuperabile.

La storia di Ray anziano, solo e autorecluso in una stanza dove è dedito solo all’alcool, portato da una persona che ritira il suo sussidio e gli compra da bere, apre e chiude il film e fa da cornice a due episodi specifici.

Il primo narra una vicenda che riguarda lo zio Lol, forse un po’ psicolabile: indotto a ubriacarsi da Will, il teppistello inquilino di Liz e Ray, lo zio Lawrence viene poi picchiato selvaggiamente da Liz che gli aveva affidato il piccolo Jason per poche ore. L’episodio, a tratti divertente e con ritmo e sceneggiatura sapienti, riassume la feroce violenza e la disperazione che regnano in quella casa.
La seconda macrosequenza narra della solitudine di Jason – che ha ormai 9 anni – del suo vagare pericoloso per la città, finché il rischio di assideramento per aver dormito una notte all’addiaccio porterà al suo allontanamento dai genitori, in affido temporaneo a un’altra famiglia.

Il film si chiude tornando all’anziano Ray e alla sua autodistruzione lenta, metodica e inesorabile, in una camera invasa da mosche dove trascorre le ore in perenne stordimento guardando fuori dalla finestra, ascoltando un poco di musica alla radio, aspettando la visita settimanale di Liz (che non vive più con lui ed è la violenta inetta di sempre, bisognosa di denaro). Gli intensi primi piani dell’ultima sequenza suggeriscono che Ray va incontro alla morte senza sapere perché ha gettato via la vita.

Richard Billingham porta in scena la tragica storia della propria disfunzionale famiglia, riuscendo a restituire in modo asettico e non pietistico, il contesto di assoluto degrado popolato proprio dai suoi affetti. È alla sua opera prima come lungometraggio ma è un fotografo riconosciuto nel mondo – le sue opere sono state esposte anche al Metropolitan di New York- che si è concentrato fin dagli esordi sui genitori. Un’ossessione autobiografica si direbbe.

“Realismo squallido” è l’espressione coniata per descrivere le foto scattate da Billigham al padre, raccolte nel volume fotografico “Ray’s a Laugh” del 1996. Va senz’altro bene per definire lo stile di questo film, anche se ci pare che qui l’autore aggiunga all’estetica disturbante delle foto pubblicate un’intensa vena dolente attraverso una regia attentissima al taglio e alla composizione dell’inquadratura, indugiando anche su dettagli, velature attraverso vetri e tende, luci e ombre. Anche la selezione di cosa narrare per la triste umanità e l’abbruttimento di questa coppia dedita al nulla e succube delle proprie debolezze, rivela la finezza della sensibilità di Billingham nel passare dallo scatto fotografico alla narrazione dinamica della pellicola.

Ottimi e ben diretti tutti gli interpreti.
Privo di una morale o di una qualunque spiegazione dei comportamenti, il film risulta ancora più incisivo e inquietante. Ci auguriamo che “Ray e Liz” vinca il premio per la miglior regia.

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