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Il punto

Omicidio di Curno, trovata l’arma del delitto; Marisa aveva denunciato le minacce fotogallery

Marisa Sartori aveva cercato aiuto dopo le minacce al centro Aiuto donna di Bergamo

Gli inquirenti alla fine hanno trovato il coltello, quell’arma del delitto che ha posto fine alla vita di Marisa Sartori, 25 anni, la sera di sabato 3 febbraio a Curno. Un coltello che il marito della vittima, Ezzeddine Arjoun, tunisino di 35 anni, aveva gettato nel tragitto tra via IV Novembre e la caserma dei carabinieri di Curno dove si è presentato per costituirsi.

La stessa arma con la quale Ezzeddine ha colpito con violenza anche la cognata Deborha, 23 anni, mentre cercava di proteggere Marisa. L’assassino ha indicato anche la zona in cui ha gettato il coltello: tra i cespugli. I militari della Compagnia di Bergamo, coordinati dal pubblico ministero, Fabrizio Gaverini, lo hanno cercato per tutta la domenica

Lunedì 4 febbraio, con tutta probabilità, si terrà l’interrogatorio di garanzia davanti al Giudice per le indagini preliminari. In caserma, sabato sera, davanti al magistrato, l’assassino difeso dall’avvocato Rocco Di Sogra, ha spiegato che era andato sotto casa della moglie “per avere un chiarimento con Marisa, non voleva rassegnarsi all’idea di separarsi”.

Una versione che però non regge, visto che l’uomo era armato e dopo aver assalito e ammazzato Marisa, appena scesa dall’auto dopo una giornata di lavoro nel negozio di parrucchiera a Mozzo, ha colpito più volte anche la cognata. La sorella minore di Marisa, Deborha, che è ricoverata in terapia intensiva all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo dopo un lungo e delicato intervento all’addome. Ezzeddine avrebbe infatti inferto profondi colpi al ventre della 23enne lasciandola priva di sensi sul pavimento dell’autorimessa.

Doveva essere una sera tranquilla, quella di sabato 3 febbraio, per le due giovani sorelle che tornavano a casa dove le aspettavano i genitori per cena.

Marisa si era trasferita da poco a Curno, era tornata a casa dopo il fallimento del suo matrimonio con Ezzeddine Arjoun, quell’uomo che aveva sposato giovanissima: a 18 anni. Lo aveva seguito anche in Tunisia per tre anni.

Poi il ritorno in Italia, la residenza a Sorisole e a Sant’Omobono in Valle Imagna. Tra loro era finita. Il 20 gennaio scorso Marisa e Ezzeddine avevano appuntamento in municipio a Sant’Omobono Imagna per mettere la parola fine alla loro relazione. Ma l’uomo non si era presentato. Da allora erano iniziate le minacce della persona che aveva amato.

Marisa aveva presentato denuncia qualche giorno fa, una denuncia formale messa a punto dal centro antiviolenze Aiuto donna di Bergamo a cui si era rivolta impaurita dopo le minacce del marito reso ancor più aggressivo  dalla scelta di separarsi.

Una follia omicida che si è concretizzata sabato sera nell’autorimessa delle case comunali di Curno. Quando Marisa scende dall’auto, una Chevrolet Matiz, viene subito aggredita: due colpi mortali al cuore e al petto la stendono a terra. Deborha che era alla guida, di fronte a quell’assalto sulla sorella, scende e cerca di soccorrerla ma viene colpita all’addome. Le grida mettono in allarme i vicini che avvertono i carabinieri e il 118.

Ezzeddine, di fronte al corpo esanime della moglie Marisa e al sangue che copre il corpo di Deborha, lascia il garage di via IV Novembre, si incammina verso la stazione dei carabinieri di Curno. Lungo il tragitto si sarebbe disfatto di quel coltello che ha reciso per sempre la vita della moglie. La confessione e l’ammissione di quell’omicidio sono solamente un epilogo tragico di una storia d’amore finita che l’uomo non ha voluto vedere e accettare.

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