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Lo spettacolo

Un successo l’Antigone al Sociale: quante similitudini con la politica moderna

Nella serata di giovedì 17 gennaio attori e regista sono stati salutati da sinceri applausi del pubblico in sala

L’Antigone di Sofocle messa in scena dalla compagnia ATIR Teatro Ringhiera nell’ambito della stagione degli Altri Percorsi della Fondazione Donizetti, è uno spettacolo calamita. Il sipario si è aperto e dopo un’ora e trenta minuti i presenti erano seduti ancora con la stessa concentrazione e partecipazione, nessun calo di attenzione. Questa è stata la prima nazionale al teatro sociale di Bergamo nella serata di giovedì 17 gennaio. Come una vera polis, quando il Sociale è chiamato ad esprimersi, il Sociale risponde: attori e regista sono stati salutati da sinceri applausi del pubblico in sala.

Ogni scelta fatta per l’allestimento conferma l’amore e il rispetto infinito di Gigi Dall’Aglio per l’antichità. “Quello nato più di duemila anni fa è un teatro politico – ha detto Dall’Aglio – è il teatro della polis”.  “È straordinario leggere il testo di Sofocle – continua il regista – e chiedersi: ma è stato scritto secoli fa o l’altro ieri?”. C’è un’incontestabile Verità in queste parole. “Antigone” dà concretezza ai dilemmi risolti dell’uomo. È più forte la legge dello Stato, scritta, o la legge morale, non scritta?

In una civiltà in cui la donna era ombra dell’uomo, Antigone (Arianna Scommegna) si erge aerolinea emancipata: “Io non sono nata per condividere l’odio, ma per condividere l’amore“. Nei moderni possiamo interpretare il gesto di Antigone comminato d’amore e da pietà. “Io non sono fuori posto. Sono con mio fratello”. Amiamo Antigone perché tremenda mente umana. L’amiamo anche quando dice frasi per noi inconcepibili. “Per un marito un figlio non avrei sovvertito le leggi della polis. Ci si può risposare, si possono avere altri figli. Ma un fratello e unico”. Questo il motivo per cui decide di seppellire il fratello Polinice contro il decreto sovrano, andando incontro a morte certa.

Sei stato facile patteggiare per Antigone, altrettanto facile è stato detestare Creonte (Stefano Orlandi). Testardo e incontrovertibile quasi fino alla fine, l’uomo sembra non avere pietà né per i vivi, né per i morti. Troppo tardi cambierà idea, rimarrà solo, senza vita senza amore. A inizio spettacolo Creonte è un uomo di potere, a capo di una polis. A fine tragedia è un uomo senza nulla, Creonte diventa niente. Sarà uno strepitoso Tiresia (Carla Manzon), uomo indovino, a riportarlo alla ragione, troppo tardi.

“Antigone” apre infiniti dibattiti: leggi scritte e non scritte, il rapporto tra genitore e figlio, l’amore tra sorelle, il rispetto dei vivi e dei morti, la misura del potere. Sofocle può pentirsi anticipatore dei tempi. Se letto con attenzione e sensibilità, troveremo un dubbio più che motivato sull’utilità della pena di morte. Ancora continuiamo a chiederci: è giusto rispettare leggi non giuste? Il nuovo anno si è aperto con vari sindaci italiani che hanno deciso di non dare applicazione a un decreto legge contrario al principio morale, costituzionale e sovranazionale della dignità umana. Loro sono stati Antigone.

Il valore della legge è incontestabile. Ma le leggi sono pur sempre fatte da uomini, esseri imperfetti. Del resto, “molte cose danno sgomento, ma nulla dà più sgomento dell’uomo”.

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