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L'intervento

Johnson, con permesso di soggiorno, ma senza casa grazie al decreto sicurezza

“Paolo!! E adesso come faccio? Dove vado? Ti prego aiutami…”. Queste sono le parole di Johnson, giovane africano, richiedente asilo, giunto in Italia nel dicembre 2016 dalla Libia assieme a tanti altri, in cerca di un futuro migliore in fuga da guerra, fame e discriminazioni.

Paolo Scanzi da anni è operatore sociale nella cooperativa La Fenice di Albino e da qualche giorno sta cercando casa per un giovane richiedente asilo. Gli abbiamo chiesto di raccontare la propria esperienza diretta ora che il Decreto Sicurezza è legge. 

“Paolo!! E adesso come faccio? Dove vado? Ti prego aiutami…”. Queste sono le parole di Johnson, giovane africano, richiedente asilo, giunto in Italia nel dicembre 2016 dalla Libia assieme a tanti altri, in cerca di un futuro migliore in fuga da guerra, fame e discriminazioni.

Johnson ha ottenuto un permesso di soggiorno ex “umanitario” (e oggi denominato “casi speciali”), ma alla gioia di poter restare in Italia si contrappone la preoccupazione e la paura di non riuscire a crearsi un futuro vero e proprio a causa del nuovo “Decreto Sicurezza”.

Fino a qualche mese fa esisteva infatti il cosiddetto progetto “SPRAR” (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) al quale accedevano i giovani con permesso di soggiorno per asilo politico, motivi umanitari e sussidiari: oggi possono accedervi solo i primi. In altri termini, una volta ottenuto il permesso di soggiorno (pds), viene notificata al “richiedente asilo” la “Revoca delle misure di accoglienza” da parte della Prefettura che, in sostanza, significa che il nostro giovane è costretto a uscire dal progetto “richiedenti asilo” non essendo appunto più richiedente e disponendo di un pds.

Uscire dal progetto per Johnson significa non avere più un tetto e neppure un piatto caldo: è qui che sorge il problema! Se prima Johnson poteva entrare nel progetto SPRAR per 6 mesi, e in questo periodo sarebbe stato sostenuto e orientato per trovare lavoro e casa così da avviare un vero percorso di autonomia, oggi, da un giorno all’altro, si ritrova in mezzo alla strada senza neppure capire per quale ragione il mondo si è capovolto.

Per paradosso Johnson proprio adesso che è stato autorizzato a vivere in Italia perché gli è stata riconosciuta la protezione internazionale, non potrà più mantenersi sulla strada dell’integrazione, anzi, per disperazione, potrebbe finire nella rete della microcriminalità, o peggio, per poter sopravvivere.

Quando arriva la revoca delle misure d’accoglienza, chi l’ha ospitato legalmente (anzi pagato dallo Stato) fino ad oggi non ha più alcuna responsabilità nei confronti di Johnson. Certamente sarebbe meglio non mandarlo via prima di aver trovato una soluzione, soprattutto adesso che è inverno, ma da punto di vista della legge potrebbe
disinteressarsene completamente.

Le parole disperate di Johnson riflettono inoltre una situazione d’emergenza drammatica a Bergamo e provincia: liste d’attesa per un posto letto fisso in alcune strutture
d’accoglienza, altrettante liste d’attesa anche in strutture temporanee, ecc.

richiedenti asilo a bergamo

La nostra cooperativa ha bussato a molte organizzazioni per cercare ospitalità senza avere risposte. Johnson, per fortuna, ha trovato accoglienza temporaneamente in una struttura della bassa bergamasca, ma nelle prossime settimane tanti altri “giovani Johnson” si ritroveranno per strada.

Il “Decreto Sicurezza” mette in campo misure contraddittorie perché, togliendo lo SPRAR, distrugge percorsi di integrazione diffusa e positiva e, soprattutto, porta più insicurezza sia al cittadino italiano, che troverà “per strada” molte più persone di prima, sia al cittadino straniero che, pur essendo in regola, viene messo oggettivamente in una condizione di grande precarietà, con tutto quel che ne consegue.

I risultati del “Decreto Sicurezza” si ripercuotono anche sui giovani in attesa di una risposta definitiva da parte dello Stato Italiano: dal punto di vista sanitario, a Foday, gambiano, e a Uche, nigeriano, non siamo riusciti a far avere la Tessera Sanitaria perché, pur avendo in mano la “ricevuta” della Questura, non dispongono ancora del pds vero e proprio. Al primo non viene rilasciato in attesa della sentenza definitiva del giudice; al secondo perché è in attesa del passaporto presso la propria ambasciata in Italia così che gli venga rilasciato un pds per “casi speciali”.

Ciò significa che per qualsiasi tipo di malattia, dalla semplice influenza a qualcosa di più importante, i richiedenti asilo non hanno il medico di base e devono andare al pronto soccorso per ogni diagnosi, col risultato di rendere ancora più difficile la situazione dei Pronto Soccorso che tutti sappiamo essere già faticosa. E questo sta già succedendo nei nostri ospedali.

Prima del nuovo Decreto bastava la “ricevuta” o il “cedolino” della Questura e Foday e Uche ricevevano una tessera sanitaria che permetteva di farsi curare dal medico di base e di farsi prescrivere eventualmente anche le medicine da prendere in farmacia, senza per forza dover ricorrere al Pronto Soccorso.

Ci sono altre storture nel Decreto, ma la questione della salute e della casa sono le principali. Sono questioni che riguardano anche noi cittadini italiani perché quando si
ha una casa, ci si può curare e cercare un lavoro (e quando lo si cerca davvero il lavoro viene anche trovato! Quanti Jonhson e amici di Foday e di Uche l’hanno trovato!), significa avere maggiore sicurezza.

Quando non  si permette a un giovane di dormire in un luogo sicuro né di farsi curare se ammalato e quando gli si nega la possibilità di un percorso reale di integrazione, è la sicurezza che viene meno, l’esatto opposto di quel che vuole il Decreto del ministro Salvini, diventato Legge di Stato.

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