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Luca gotti (ubi banca)

“Bergamo non svende, spesso compra e investe in aziende: la crisi ha seminato bene” video

L'analisi di Luca Gotti, responsabile della Macro area territoriale Bergamo e Lombardia Ovest di Ubi Banca.

Imprese bergamasche che sempre più spesso vengono acquisite da colossi esteri. Dopo l’analisi di Giorgio Berta, commercialista e presidente della Fondazione Donizetti e di Emanuele Cortesi, avvocato dello studio Caffi Maroncelli & Associati, abbiamo incontrato Luca Gotti, responsabile per Ubi Banca della Macro area territoriale Bergamo e Lombardia Ovest.

Dottor Gotti, da uomo di banca come vede la vendita delle società bergamasche a colossi esteri?
“Il sistema produttivo della nostra provincia è, fuori discussione, sinonimo di eccellenza e elevata qualità. Così come accade nel nostro Paese (di appena qualche giorno fa l’annuncio di Versace), Bergamo con le sue aziende rimane terreno fertile e appetibile soprattutto per le holding oltre frontiera. Settori quali industria, moda e alimentari, tipici del Made in Italy, ma una costante anche per la nostra provincia, catturano l’attenzione delle multinazionali estere che al momento opportuno, complice anche un vulnerabilità del sistema, si impossessano di aziende con valore aggiunto notevole, visto il forte appeal che il prodotto italiano ha, soprattutto, all’estero. È così che quella che può essere un’opportunità di crescita per il comparto esportazioni si riduce indiscutibilmente, per via dell’esternalizzazione della proprietà e, spesso, anche della produzione, generando talvolta ricadute negative sul contesto economico/sociale di riferimento. Il rischio di ciò, oltre la perdita di paternità (e di vanto) di una eccellenza, è che la nuova proprietà, guidata ancor più asetticamente dall’obiettivo di un raggiungimento di risultato quale naturale ritorno dell’investimento effettuato, non abbia più la stessa attenzione per il territorio che guidava invece l’azienda d’origine. E questo vale quindi anche per Bergamo e la sua filiera produttiva, guidata da validi imprenditori che, mossi da spiriti e motivazioni diversi, cedono nel tempo alle avances di terzi, consegnando di fatto storiche realtà e tradizioni protagoniste nel tempo della crescita della nostra provincia”.

C’è una motivazione o una serie di motivazioni che spingono alla vendita?
“Non è sempre chiara la motivazione della vendita: un imprenditore storico ha sviluppato un’impresa e che nel tempo si è posizionata bene (questo concetto va a vantaggio dell’imprenditoria italiana e bergamasca, perché le eccellenze italiane diventano attrattive) e quando si acquista dall’estero può essere un’opportunità non solo una perdita.
Quindi non vengono acquistate delle aziende problematiche ma delle eccellenze e tendenzialmente tra le tante aziende che vengono acquisite all’estero c’è una differenza di fondo: la dimensione. In alcuni momenti le dimensioni possono fare davvero la differenza in una competizione internazionale. Per esempio alcune, come Brembo, hanno già una dimensione internazionale, altre invece devono arrivare ad avere quella dimensione e solidità, dunque l’imprenditore si trova in un contesto in cui deve decidere “o lascio o raddoppio”. La scelta non è facile”.

Conta molto anche il territorio?
“Sì, direi che è fondamentale. Noi dobbiamo creare un territorio attrattivo per fare impresa e per avere questo bisogna avere infrastrutture e collegamenti. A questi due elementi si aggiunge il capitale umano: ossia le persone. E qui entra in campo la formazione, quindi la scuola e l’Università”.

Osservando Bergamo che impressione ha?
“Vedo un grande fermento sulla nostra città e sulla provincia. Il momento della crisi ha messo in moto tante cose belle e il frutto di questo lavoro non si misura in mesi ma in anni”.

Bergamo e l’Italia sono solamente terreno di conquista o possono diventare territori attrattivi di imprese?
“La provincia di Bergamo è caratterizzata dalla presenza consistente di PMI accanto ad una presenza abbastanza consistente di grandi imprese. I dati alla mano evidenziano come la preponderanza delle specializzazioni sono nella metalmeccanica, nella chimica, nella gomma e plastica, e nel cd made in Italy (alimentare, moda, mobili). Per rispondere alle turbolenze della domanda, ai problemi derivanti da mercati sempre più saturi, alla globalizzazione in generale, le imprese hanno cercato e stanno tuttora cercando nuovi modelli organizzativi che hanno spesso in comune principi, tecniche e metodi che possono essere ricondotti alla qualità. Uno sviluppo organizzativo quindi necessariamente flessibile, che passa attraverso una revisione dei livelli dei meccanismi interni d’azienda, operativi, di leadership e di struttura organizzativa. Una ricercata qualità che, soprattutto quando raggiunta, può attrarre compratori. Ma Bergamo è anche zona fertile per stimolare nuovi insediamenti, complice il suo posizionamento strategico, al centro della Lombardia (al cui PIL contribuisce in maniera determinante) tra le altrettanto produttive Milano e Brescia, agli elevati livelli infrastrutturali che la facilitano nei contatti e negli scambi con l’intero mercato europeo. Per contro paga quelle che sono le difficoltà proprie e note del tessuto produttivo italiano, tra le quali pressione fiscale e burocrazia, che di certo non favoriscono le nuove imprenditorie, sia di origine locale (rimane indiscusso il valore aggiunto e la professionalità dei bergamaschi) che non”.

C’è chi sostiene che le banche sono molto esigenti nel rilasciare finanziamenti, a volte chiedono ipoteche anche sui beni personali degli imprenditori, e non si basano solo sul business plan. È davvero così o il modo di rilasciare finanziamenti è cambiato in questi anni?
“Anche il mondo bancario ha vissuto, e sta tuttora vivendo, gli effetti della globalizzazione, che hanno portato ad una regolamentazione comunitaria con parametri di esercizio della attività bancaria ben definiti e disciplinati. Di conseguenza il modo di concedere credito direi non è cambiato, ma si è evoluto, come si è evoluto il contesto ed il mercato, seguendo le indicazioni di principi e linee guida diramati dagli organi di controllo preposti, in un quadro economicamente turbolento che ha doverosamente imposto uniformazione di comportamento, a indubbio beneficio della collettività intera e del contesto economico e produttivo di riferimento. Valutare la concessione di credito significa soprattutto valutare la validità di un progetto, di un investimento. Quando il business plan è ben strutturato l’azienda non può che trovare la nostra piena disponibilità a sederci unitamente al tavolo per valutare gli spazi di una condivisione e di una conseguente nostra sostenibilità allo sviluppo”.

Ubi Banca ha avviato da anni una politica di attenzione alle aziende nel campo dell’internazionalizzazione.
“I mercati esteri sono da sempre motivo di grande soddisfazione e allo stesso tempo di non pochi pensieri per tutte le imprese italiane. Crescere all’estero non è affatto cosa semplice: richiede determinazione, investimenti, cambio del business model, mentalità aperta verso nuove culture, strategie nuove. La globalizzazione ha annientato le barriere al commercio e alla comunicazione, ed il contesto in cui ci si trova a lavorare non è più solo quello, in origine, domestico, quello in cui l’impresa è nata ed è cresciuta nel tempo per intenderci.
Questo significa confronto con un numero di concorrenti maggiore e per affrontarlo servono preparazione, innovazione, qualità, rielaborazione dei sistemi tradizionali. Internazionalizzarsi, in sintesi, ha per un’azienda il valore di una rivoluzione, è un percorso virtuoso e pervasivo. Un modo di fare impresa, in molti casi necessario in quanto strategia giusta che ha consentito di assorbire l’impatto di una crisi profonda e globale, che impone anche un modo specifico di fare banca.
UBI Banca, per rendere ancora più incisivo il proprio ruolo di partner di aziende che intendono avviare un percorso di internazionalizzazione, propone UBIWorld. Il programma rappresenta, grazie alla consulenza costante, ai prodotti dedicati e al presidio dei mercati assicurato dalla rete estera del Gruppo e dalle relazioni con le Banche corrispondenti, il punto di riferimento sia per le imprese che per la prima volta si affacciano oltre i confini nazionali sia per quelle più strutturate che hanno già una rilevante attività fuori dall’Italia. Un’assistenza specializzata che passa attraverso la nostra rete territoriale e attraverso gli uffici di rappresentanza sparsi per il mondo”.

La crisi economica che ci siamo lasciati alle spalle ha cambiato il modo di rilanciare finanziamenti alle imprese?
“È naturale che un contesto economico in profondo e continuo mutamento genera esigenze e fabbisogni che devono contestualmente trovare una risposta, una soluzione. E il mondo bancario in questo non è da meno, chiamato a rispondere alle richieste di un’imprenditoria fortemente sollecitata da variabili di ogni natura e comunque in presenza di una domanda indiscutibilmente ridimensionata negli anni. Nel periodo di crisi abbiamo supportato le aziende con piani di sospensione e moratorie dei finanziamenti in essere, consentendo loro di arginare e mitigare le difficoltà durature generate da una profonda crisi economica e di uscirne, per poi trovarsi pronte a rilanciarsi con nuovi investimenti, nuovi business, nuova organizzazione, in una parola sola innovarsi.
È per supportare questo processo di innovazione che, accanto alle tradizionali forme di credito, tra le quali ricordo la componente TLTRO che consente di trasferire i benefici di un contenuto costo di approvvigionamento della Banca da BCE direttamente ai beneficiari, abbiamo soluzioni specifiche per le Start Up, per chi investe in Energie Rinnovabili, per l’Internazionalizzazione, per l’Imprenditoria Femminile, alle quali si affiancano formule più tradizionali quali Leasing, Factoring e il Noleggio e soluzioni innovative che vanno nell’ottica di Industria 4.0.
Per esempio, recentemente la Banca ha consentito a oltre 20 aziende ad alto potenziale di crescita di accedere al programma ELITE di Borsa Italiana dedicato alle imprese eccellenti che hanno l’ambizione di avvicinarsi al mercato dei capitali. La Banca, inoltre, è il primo istituto di credito in Italia ad aver dato vita ad una struttura dedicata al welfare aziendale.
Una divisione che ha lanciato sul mercato UBI Welfare, il nuovo servizio dedicato alle aziende che vogliano attivare programmi di welfare distintivi per i propri lavoratori, siano esse aziende grandi o di più limitate dimensioni. È una soluzione completa e di qualità, creata per aiutare le imprese a crescere, migliorandone la produttività, il clima aziendale, la capacità di attrarre e trattenere talenti, accrescendo il benessere dei territori in cui le stesse aziende operano e che è valso ad UBI Banca il riconoscimento nell’ambito dell’ottava edizione del “Premio ABI per l’innovazione nei servizi bancari”.
La nostra mission è quindi essere vicini alle imprese in ogni momento di vita, mettendo a loro disposizione oltre ad un’offerta variegata di prodotti e servizi, nostro Personale qualificato, in grado di dialogare quotidianamente con il mondo imprenditoriale. Il nuovo modello distributivo da poco realizzato va proprio nella direzione di offrire alla nostra clientela, ed in particolare alle imprese, una consulenza ancora più professionale. Rimane determinante poi il dialogo costante con le Istituzioni rappresentative delle medesime, il fare rete con gli attori principali del territorio, nell’intendimento comune di creare quella sinergia attiva in grado di rispondere al meglio ai fabbisogni manifestati non solo a livello individuale ma anche collettivo”.

Si parla spesso di start up che si concentrano su nuove app, ma l’industria (metalmeccanica in particolare) è il vero motore dell’economia. È più facile investire su una start up o su una nuova impresa di vecchio stampo?
“Sappiamo bene che Bergamo è un territorio a forte vocazione metalmeccanica, sicuramente settore trainante, ma non dimentichiamo le altre specializzazioni settoriali altrettanto eccellenti che completano una realtà industriale, quella bergamasca, quindi variegata e con un forte ruolo da protagonista nell’economia regionale/nazionale.
E poi l’artigianato, l’edilizia, il commercio, i servizi e non ultimo l’agricoltura. Tutti attori di riferimento di un’economia, di un territorio che ha sofferto in questi anni ma che ha dimostrato di essere tenace, resistente alle avversità e desideroso di ripartire quanto prima. Dai nostri osservatori rileviamo come nella nostra provincia il dato sulle Imprese sia tornato a saldi positivi in termini numerici, ovvero le nuove iscrizioni superano le cessazioni. Il che significa per una banca come la nostra saper ascoltare parimenti chi già opera sul mercato da tempo sia chi intraprende ex novo un’attività.
In entrambi i casi nulla è facile, sottinteso e scontato; le metodologie di approccio al business e al suo saper generare valore quale ritorno dell’investimento sono le medesime. Certo, le analisi e i trend di mercato, così come gli studi settoriali, ci forniscono elementi utili ai fini di una contestualizzazione della richiesta ma ciò che ci indirizza maggiormente nell’analisi è la validità progettuale. Come Banca siamo pronti ad essere protagonisti di quella che è stata definita la quarta rivoluzione industriale che porterà all’interno delle fabbriche automazione e interconnessione in un ottica di efficientamento della produzione. Il Piano Industria 4.0 è già realtà nazionale e anche Bergamo sta muovendo i primi passi. Il concetto di smart factory è alle porte e UBI Banca è presente”.

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