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L'analisi

Pakistan: la vittoria di Imran Khan

Noto negli anni del cricket come all-rounder, ossia per la versatilità di ruoli sul campo da gioco, Imran Khan dovrà dimostrare di essere egualmente flessibile e determinato alla guida del paese.

Le elezioni generali del 25 luglio in Pakistan hanno infine un vincitore dichiarato.

Dopo giorni di confusione, accuse di brogli ed episodi di violenza, la commissione elettorale nazionale ha comunicato i risultati definitivi delle votazioni che hanno portato al rinnovo dei 272 seggi elettivi dell’Assemblea nazionale (la camera bassa del Parlamento pakistano) e delle Assemblee provinciali nelle quattro grandi province in cui è diviso il paese.

Il Movimento per l’equità di Imran Khan ha ottenuto 116 seggi, scavalcando nettamente la Lega musulmana dell’ex primo ministro Nawaz Sharif, deposto dall’alta corte e poi incarcerato in base ad accuse di corruzione che i suoi sostenitori ritengono politicamente motivate. Nonostante la discesa in campo di Shahbaz, fratello di Nawaz e già capo del governo provinciale del Punjab, la Lega musulmana ha ottenuto solo 64 seggi e ora rischia di perdere anche il controllo dell’assemblea provinciale del Punjab, la più popolosa e importante area del paese.

Contro il partito dei fratelli Sharif, neoliberista in politica economica e conservatore moderato in politica sociale, ha giocato sicuramente il ruolo conflittuale con le forze armate e gli apparati di sicurezza, che si confermano gli arbitri della vita politica pakistana e sembrano puntare ora sul movimento di Khan. Poco si sa sulle prospettive del movimento fondato dall’ex campione di cricket, già noto alle cronache rosa degli anni Novanta e poi divenuto capo politico dal forte accento carismatico e populista.

Nei suoi primi messaggi dopo il successo elettorale, Imran Khan ha promesso un “nuovo Pakistan” e dichiarato di volersi ispirare al periodo medinese del profeta Muhammad. Più prosaicamente, dovrà però allearsi con una pletora di partiti minori, deputati indipendenti e politici opportunisti, passati con agilità dalla maggioranza uscente al carro del nuovo vincitore, per avere una maggioranza solida nel nuovo parlamento. Anche il nuovo governo, come tutti quelli (civili e militari) che lo hanno preceduto negli ultimi decenni, rischia così di impantanarsi nella corruzione e nel clientelismo che frenano il Pakistan, da un lato potenza nucleare con più di duecento milioni di abitanti, dall’altro paese segnato da sacche di sottosviluppo, in cui permangono analfabetismo e modelli ancora di stampo prettamente feudale.

Nelle prime interviste, i consiglieri più stretti di Imran Khan hanno manifestato la propria ammirazione per le politiche interne del primo ministro indiano Narendra Modi e del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, lasciando intendere di potersi ispirare allo stesso modello, basato su un misto di neoliberismo spinto per le imprese concorrenziali sui mercati internazionali grazie al basso costo del lavoro e di populismo religioso per le periferie urbane.

È tutto da vedere come questo modello influirà sulle già ampie sperequazioni che attraversano la società pakistana, divisa su basi economiche, etniche e linguistiche.

Nella provincia meridionale del Sindh si conferma il ruolo dominante del Partito del popolo, in teoria socialista, ma di fatto legato alla famiglia latifondista Bhutto, di cui facevano parte l’ex presidente Zulfikar e la figlia Benazir, per due volte prima ministra tra il 1988 e il 1996, controversa tanto quanto il marito, l’ex presidente Asif Ali Zardari, anch’egli implicato in numerosi casi di corruzione.

Le due province occidentali del Balochistan e del Khyber Pakhtunkhwa, al confine con l’Afghanistan, si confermano profondamente marcate dalle divisioni di natura tribale e dal peso di formazioni islamiche radicali come il Consiglio unito d’azione. Seppur aspramente divisi su questioni teologico-giuridiche tra la corrente deobandi, la corrente barelvi, e quella ahl-e hadith, i partiti islamici radicali (tra cui l’Associazione islamica, erede di Abu’l-A’la Mawdudi, uno dei massimi teorici del fondamentalismo islamico nel ventesimo secolo) ottengono 12 seggi nel parlamento e restano in grado di condizionare l’agenda culturale e politica del paese, ritenendo ancora insufficiente l’islamizzazione dello stato cominciata sotto la dittatura militare di Muhammad Zia-ul-Haq negli anni Ottanta.

Il “Movimento al servizio del profeta”, che sostiene la legge sulla blasfemia (spesso usata strumentalmente contro i cristiani) e difende l’assassino del governatore Salman Taseer, non è riuscito a entrare in parlamento, ma ha ottenuto oltre due milioni di voti e confermato la sua egemonia all’interno della galassia fondamentalista. L’esercito sembra aver perseguito una dubbia strategia di trascinare all’interno dell’arena elettorale le maggiori sigle jihadiste locali nel tentativo di distoglierle dalla lotta armata. Sono state così ammesse liste che sono ritenute il braccio politico del Corpo dei compagni del profeta (legato ai taliban pakistani e ai gruppi armati autori di numerosi atti di terrorismo contro la minoranza sciita) e dell’Armata dei puri (legata ad al-Qa’ida e implicata negli attentati di Mumbai del 2008).

La copertura politica e legale a questi gruppi fondamentalisti riapre il mai chiarito capitolo dei legami tra la ISI, la principale agenzia di servizi segreti del Pakistan, e la costellazione di gruppi jihadisti che si muovono tra Afghanistan, Pakistan, Kashmir e India. Il nuovo governo di Imran Khan, nato con il nemmeno troppo celato sostegno delle forze armati e degli apparati di sicurezza, si troverà presto a dover tentare di sciogliere le contraddizioni che si porta appresso.

Nessun governo pakistano, di qualsiasi orientamento politico fosse, ha mai voluto sciogliere l’intreccio di legami tribali tra le popolazioni pashtun e di reti di proselitismo tra le scuole coraniche fondamentaliste che da ormai quarant’anni lega a doppio filo le vicende interne pakistane a quelle afghane. Eppure la promessa di prosperità del “nuovo Pakistan” descritto da Imran Khan, con i vagheggiati investimenti esteri e lo sviluppo economico interno, dipenderanno in gran parte proprio dalla capacità di assicurare la sicurezza nazionale, contenendo i gruppi violenti locali di matrice jihadista, combattendo il narcotraffico, diminuendo l’impatto dirompente dei conflitti in Afghanistan e nella regione contesa del Kashmir, e barcamenandosi tra gli ingombranti vicini: India, Iran e Cina. Noto negli anni del cricket come all-rounder, ossia per la versatilità di ruoli sul campo da gioco, Imran Khan dovrà dimostrare di essere egualmente flessibile e determinato alla guida del paese.

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