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Il dottor rabboni

“Malati psichici: ecco cos’è cambiato a 40 anni dalla Legge Basaglia”

Nel 1978 veniva approvata la legge n.180, in tema di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, comunemente conosciuta come “Legge Basaglia”, dal nome di chi la aspirò

“Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole.”

Così, nel 1971, Fabrizio De André descriveva l’intensità e la profondità emotiva del suo “Matto”. Settanta anni prima, nel 1904, veniva riconosciuto ai malati mentali lo status di malati, segnando una svolta rivoluzionaria dalla confusione che li vedeva nella schiera dei ‘Miserabili’ alla Victor Hugo, insieme a prostitute, mendicanti, saltimbanchi e molto altro. Un secolo prima, a fine ‘800, lo psichiatra francese Pinell, precursore di Freud, definiva che il modo di pensare dei malati mentali non è insolito, ma è solo un modo diverso di vedere le cose.

Sette anni dopo il Matto di Faber, nel 1978, veniva approvata la legge n.180, in tema di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, comunemente conosciuta come “Legge Basaglia”, dal nome di chi la aspirò. Quaranta anni dopo, nel 2018, cosa è rimasto della legge che cambiò la medicina e che fine hanno fatto quelle persone che il mondo definiva Matti? E ancora, Bergamo, cosa ha da raccontare attorno alle malattie che colpiscono la parte più oscura e misteriosa del nostro essere uomini, la psiche?

rabboni_ legge basaglia

“Per disturbi mentali si intende tutto ciò che interferisce con il libero sviluppo biografico che la persona vuole dare alla sua vita: il nostro lavoro consiste nel dare alla persona la libertà di decidere del corso della propria vita.” È questa la prima definizione che il dottor Massimo Rabboni, Direttore del Dipartimento di Salute mentale e delle Dipendenze dell’ASST Papa Giovanni XXIII, tiene a precisare prima di intraprendere il nostro viaggio lungo la storia dei manicomi che  inizia molto prima del 1978, vale a dire nel 1904.

“La storia dei manicomi è una storia complicata e inizia con la legge 36 del 1904 in cui avviene una rivoluzione: viene riconosciuto ai “matti” lo status giuridico di malati e nasce il manicomio (strutture bellissime, costruite grazie ai migliori architetti dell’epoca) per distinguere gli ammalati e quindi inserendoli in un percorso che vuole essere, da quel momento, anche di cura. L’articolo 1 della legge 1904 dice che devono, non possono, essere ricoverati nei manicomi coloro che sono malati di mente per essere custoditi e curati: per malati di mente si intendeva coloro che sono pericolosi per sé o per gli altri e fonte di pubblico scandalo. Su questo la legge Basaglia è veramente innovativa: prevede infatti il trattamento sanitario obbligatorio non sulla base del comportamento, ma sulla base dell’esistenza di uno stato di malattia per il quale sono necessarie delle cure. Quindi quello che prima era valutato come un disagio per la società, diventa una valutazione clinica di una condizione di malessere interna che può anche non produrre comportamenti visibili.”

La portata innovativa della legge 180, quindi, si riscontra già nel confronto con la legge approvata circa 70 anni prima, ma trattando della Legge Basaglia bisogna però prima sfatare quello che oggi verrebbe chiamata una “fake news”: “La legge del 1978 non dice assolutamente che bisogna chiudere i manicomi o dimessi i pazienti, ma dice che sono vietate le nuove ammissioni, con l’eccezione dei cosiddetti volontari recidivi, cioè persone che erano già state ricoverate e che avevano chiesto spontaneamente un nuovo ricovero. Certo, poi i malati andavano ad esaurirsi, ma è giusto precisare. La 180 cambia il paradigma. E se fino a quel momento i manicomi avevano avuto una gestione separata, e con essi i malati mentali e gli stessi medici psichiatrici che avevano l’obbligo di vivere in manicomio, dopo il 1978 c’è un salto di qualità perché agli ammalati psichici vengono riconosciuti tutti i servizi e la stessa dignità che vengono riconosciuti a tutti gli ammalati di tutte le malattie. Ad oggi l’Italia è l’unico paese al mondo a non avere i manicomi e la legge sul trattamento sanitario obbligatorio è sostanzialmente buona, estremamente elastica e avanzata e corrisponde alle esigenze della clinica.”

E oggi, i malati psichici, come vengono seguiti nel loro percorso di cura?

“Noi, come Ospedale di Bergamo, abbiamo il servizio psichiatrico di diagnosi e cura e, in Lombardia, la durata media delle degenza è di due settimane, niente a che vedere con i manicomi del passato dove si passava anche una vita intera. Il paziente poi viene preso in carico dal centro psico-sociale che è una struttura ambulatoriale molto professionale dove ci sono lo psichiatra, lo psicologo, l’assistente sociale, l’infermiere, insomma, tutte le figure che sono necessarie alla riabilitazione del paziente e per seguirlo nel suo percorso. Ovviamente non tutti i pazienti hanno bisogno di tutto questo: si va in base alla gravità. Se c’è bisogno di più di 5 interventi l’anno richiesti come consulto dal medico di base, allora si passa al secondo livello che è quello dell’assunzione in cura. Poi ci sono i pazienti molto complessi che necessitano di visite domiciliari e dell’amministrazione di sostegno, che coinvolgono questioni legali più complesse, ma che sono diventate estremamente più veloci e meno complicate da attuare rispetto all’interdizione di un tempo.”

Vengono cambiate le leggi, i luoghi, i metodi di cura, i sistemi giudiziari, ma i disturbi psichici persistono e molto spesso non ci rendiamo conto di quanto siano diffusi…

“In questo dipartimento di Unità di psichiatria e in un altro nostro settore che si occupa di disturbi depressivi ed ansia e disturbi legati al ciclo vitale della donna (come pre e post partum) e all’esordio adolescenziale, arriviamo ad avere circa 4500 pazienti, nel senso di cartelle attualmente aperte. E riguardano sia uomini che donne, dipende dalle patologie (le depressioni riguardano più le donne, la schizofrenia riguarda più o meno entrambi, i disturbi di personalità sono di tipo più maschile, i suicidi e i suicidi mancati, maschili, mentre i tentati suicidi femminili). Molto spesso si incappa nel pregiudizio che i disturbi mentali siano cronici, ma in realtà si tratta di solo l’11-12% del totale. Nel nostro settore, in più, doppiamo tenere conto del cosiddetto “dark number” che porta ad essere il dato epidemiologico molto più elevato. E il grande problema è che le malattie mentali, molto spesso, iniziano ad essere curate 5/10 anni dopo i primi sintomi, perché, in un certo senso, noi medici psichiatrici siamo l’ultima spiaggia perché ci sono ancora molti falsi pregiudizi e credenze attorno alle cure psichiatriche. A tutto questo si aggiungono problemi legati a fattori esterni, come la dipendenza da sostanze che mettono ancora a più a rischio un’età, l’adolescenza, che da sempre è stata individuata come periodo di insorgenza delle malattie psichiatriche: trovare qualcuno che arriva in pronto soccorso sotto i 40 anni che non abbia anche un’ intossicazione da sostanze è un miracolo! E in più, per noi medici, si riscontrano molti problemi con il grande numero di pazienti stranieri: ormai il 18/19% dei miei pazienti sono extracomunitari e non parlare la stessa lingua è un problema difficile, nonostante i mediatori culturali.” …Che avesse ragione Fabrizio De André, avere un mondo nel cuore e non riuscire ad esprimerlo con le parole?

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