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L'intervento

Papa Francesco e Tonino Bello: così simili e criticati da chi è infastidito dai profeti

Marco Brembilla, assessore a Bergamo, ma in questo caso estimatore di don Tonino Bello, ci propone degli spunti per ricordarlo e farlo conoscere ai giovani nel giorno della visita di papa Francesco alla tomba del sacerdote della "Chiesa del grembiule".

Marco Brembilla, assessore a Bergamo, ma in questo caso estimatore di don Tonino Bello, ci propone degli spunti per ricordarlo e farlo conoscere ai giovani nel giorno della visita di papa Francesco alla tomba del sacerdote della “Chiesa del grembiule”. 

Oggi, venerdì 20 aprile, papa Francesco si reca sulla tomba di don Tonino Bello ad Alessano (Lecce) nel 25° anniversario della morte, ripetendo quanto già compiuto con don Milani e don Mazzolari. Confesso di essere commosso sia dal gesto del papa, ma soprattutto dall’occasione che mi è data per ricordare una persona che sento, nonostante i tanti anni passati, molto vicina.

Vorrei evitare troppe citazioni, fin troppo facili per un vescovo, presidente nazionale di Pax Christi, che nella sua vita ha sempre voluto essere chiamato don Tonino, perché così avvertiva meglio la vicinanza della sua gente. Soprattutto vorrei ricordarlo ai giovani che lui tanto amava perché portatori d’idee, futuro e speranza; ho avuto la fortuna di conoscerlo in un Convegno ad Assisi e camminando fianco a fianco in una delle marce di fine anno di Pax Christi.

Perdonate quindi se non sarà un ricordo lineare e teologico, ma preferisco riferirmi a don Tonino come fratello vescovo, sperando che questo mio scritto porti qualcuno ad approfondire la vita di una persona di Chiesa, aperta al mondo, alle differenze, ai diseguali, agli emarginati.

Don Tonino usava spesso l’espressione “Chiesa del grembiule”; diceva che in ogni sacrestia ci dovrebbe essere un grembiule quale segno del servizio cui è chiamata la Chiesa. Era una persona straordinaria che pianse alla notizia della nomina a vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Pianse non per la nomina, ma per il dispiacere nel lasciare la Comunità che guidava. Ho potuto constatarlo di persona: era una persona semplice, mite, in perenne ascolto. Ricordo che quella sera ad Assisi, durante la celebrazione della messa, al segno di pace scese a dare la mano a tutte le persone che affollavano la Chiesa, ed erano centinaia.

Don Tonino, i cui scritti sono di un’attualità sconvolgente, sia che parli di Chiesa, di diritti umani, d’istituzioni. Dalla Chiesa del grembiule, a Maria donna del terzo giorno, dai piedi degli Apostoli, alla Gerusalemme-Gerico. Come disse monsignor Bettazzi nel giorno della sua morte “don Tonino, quella voce travolgente che ci ha incoraggiati a costruire speranza”.

Gli sono grato per il suo urto profetico – scrisse don Ciotti – e perché è riuscito ad essere testimone di Dio senza mezze misure, sempre sul crinale della solidarietà. La misura dell’amore è amare senza misura diceva; ancora “attendere è molto meglio che accogliere”; accogliere può essere un segno di rassegnazione, attendere è sempre segno di speranza.

Chi pensa di rinchiudere don Tonino nell’ambito ecclesiastico, non lo conosce, non conosce il suo stile, la sua apertura, quel farsi prossimo che oggi vedo tanto in Francesco, comprese le critiche
gratuite di chi è infastidito dai profeti. Ricordo un’arena di Verona stracolma di persone una domenica pomeriggio per la manifestazione di Pax Christi “Beati i costruttori di pace”: don Tonino parlò delle Beatitudini cambiando “beati” con “in piedi”. In piedi costruttori di pace, in piedi misericordiosi, in piedi assetati di giustizia e di pace. La pelle d’oca cresceva al procedere di questo rialzatevi, fatevi vedere, non nascondetevi perché il futuro è vostro.

Un vescovo che ha amato il grembiule del servizio ritagliato nella stola, che non ha temuto di cantarle agli amministratori di Molfetta quando, in occasione della Pasqua li aveva rimproverati di
essere più attenti al gonfalone che alla gente, un vescovo già minato dalla malattia e dalla chemioterapia che non esita a mettersi a capo di 500 coraggiosi che entrano in piena notte a piedi a
Sarajevo durante la guerra e nessuno spara un colpo contro questi portatori di pace.

Da parroco va a trovare una persona anziana in ospedale e, venuto a conoscenza che nessuno l’avrebbe assistita quella notte, si offre volontario dando l’esempio che porterà molte persone a
rendersi disponibili per l’assistenza.

Mi rendo conto che sta parlando il cuore ma questo era, anzi è don Tonino, sulla cui tomba s’inginocchierà papa Francesco. Se potesse direbbe al papa di non farlo, schivo com’era.

Ho promesso di non fare citazioni, ma due sono d’obbligo, non fosse altro che per far conoscere ai più giovani quest’innamorato di Dio e degli uomini. Scrive pochi giorni prima della morte a soli 58 anni: “Vi benedico da un altare scomodo, ma carico di grazia. Vi benedico da un altare coperto di penombre, ma carico di luce. Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma risonante di voci. Sono le grazie, le luci, le voci dei mondi, dei cieli e delle terre nuove che, con la Resurrezione, irrompono nel nostro vecchio mondo e lo chiamano a tornare giovane. Auguri. Vi abbraccio”.

Al suo funerale, celebrato per esigenze di spazio nel porto di Molfetta, parteciparono 50mila persone, segno dell’affetto e della gratitudine verso un uomo, un vescovo che non aveva esitato a
mettersi in gioco sempre e comunque dalla parte degli ultimi.

Concludo con una breve citazione di un suo scritto magistrale che lesse in un silenzio irreale nell’Auditorium della Cittadella d’Assisi. Il titolo è “Nelle vene della storia” e narra l’incontro con
Gesù nel deserto che si conclude con un passo bellissimo che voglio condividere come ringraziamento a don Tonino per la sua testimonianza e a papa Francesco per questo bellissimo gesto di ricordo e unione. “Maranathà. Vieni nel mio giardino. L’inverno se ne andrà. Il fico metterà fuori i primi frutti. Sulle viti sbocceranno le gemme. E la voce della tortora si farà udire di nuovo nella campagna. Ti aspetto, Signore. Non tardare. Ora la pioggia è cessata. Ma il vento mi riporta insieme flebili belati, ululi lontani e riverberi di muggiti. Chi sa che non siano l’agnello e il lupo, o la pantera e il capretto, o la mucca e l’orsa, che cominciano a far le prove della convivenza? Può darsi. Dal suolo si leva una fragranza di polvere spenta. Nella pozza qui accanto si riflette ancora un
corteggio di nuvole. Ma a Sud l’orizzonte è schiarito e sulla curva del cielo splende l’arcobaleno. Maranathà. Arrivederci Gesù”.

Arrivederci e grazie don Tonino.

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