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L'intervista

Gori: “Ho scelto Bergamo e ricomincerò tra la gente nei quartieri”

Il sindaco di Bergamo a tutto campo: la riflessione dopo la sconfitta, la scelta, il Pd, la città...

“Qualcosa di bello è uscito da questa scelta che, voglio dirlo chiaro e forte, rifarei domani nonostante il risultato: la lettera che la mia figlia più grande mi ha scritto il 4 marzo, dopo la sconfitta. Diceva, tra l’altro: ‘Non hai perso, papà. Perché finalmente ho capito il motivo che ti ha spinto a fare la politica’”.

Giorgio Gori lascia il posto di consigliere regionale d’opposizione e torna a Bergamo. Continuerà a fare il sindaco per i prossimi 14 mesi, fino alla fine del suo primo mandato. Porta ancora la camicia bianca di renziana memoria, ma niente cravatta né giacca. Uno stile più informale. Che sia una fase nuova anche per il suo ultimo scorcio di mandato?

Sindaco Gori, ha assorbito il colpo del 4 marzo scorso?
“Sì. Il colpo… Ci sono stati anche molti passaggi positivi, incontri che mi hanno arricchito, nuove relazioni. Poi mi piace guardare avanti, non alle spalle. Credo di aver fatto un’esperienza molto intensa. La rifarei domattina”.

Pentito di essersi candidato?
“No, appunto. Certo mi sarebbe piaciuto vincere e sono convinto che avremmo governato bene la Regione. Ma siamo capitati al centro di una tempesta politica molto particolare. Il 4 marzo pochi hanno votato per la Regione, in molti hanno votato trascinati da una scelta politica più grande”.

Non ha sbagliato campagna?
“No, non credo. Penso di aver raccontato la Lombardia che i cittadini percepiscono nei suoi aspetti, sia positivi sia negativi. Sarebbe stato difficile presentarsi davanti agli elettori dicendo che è tutto sbagliato. Al tempo stesso, non condivido per nulla la narrazione di chi ha governato in questi anni e che sostiene che è tutto fantastico, meraviglioso, andiamo avanti così”.

Hanno funzionato certi messaggi, certi slogan rispetto ad altri?
“In questa stagione politica funzionano dei messaggi politici più semplificati, molto netti, un tipo di linguaggio che non mi appartiene. Ho un atteggiamento più articolato di fronte ai problemi e alle loro soluzioni. Il riformismo non è un pugno nello stomaco, è una costruzione di pensiero onesta che cerca di trovare dei punti di avanzamento della realtà”.

Uno scarto molto ampio la divide dal suo rivale Fontana. Uno scarto che nessuno aveva previsto. 
“Sì, è vero. Nessuno istituto statistico aveva previsto questo risultato. Avevo parlato con alcuni analisti pochi giorni prima del voto e davano tre o quattro punti di stacco. Con Fontana avanti ma di poco e molti cittadini che alla vigilia del voto non avevano ancora deciso. Credo che anche i sondaggisti siano rimasti sorpresi da questo esito. In realtà, chi fino alla vigilia non aveva detto che cosa avrebbe votato, alla fine ha scelto la Lega o come in altre regioni ha votato per il Movimento 5 stelle”.

Giorgio Gori

A Bergamo però lei mantiene il suo consenso. Anzi, guadagna alcuni punti in percentuale.
“Bergamo mi ha premiato, seppure oggi siamo in un contesto diverso da quello del 2014 quando stavamo all’apice del consenso del Pd, di Renzi, ecc. Oggi siamo nel punto più basso, invece. Qualche centinaio di voti in più credo siano il consenso per il lavoro svolto in questi anni. Anche se abbiamo voluto andare a fondo, e abbiamo scoperto che il voto segnala che serve una maggiore attenzione a certe periferie, certi quartieri, certi temi. Visto che sono solo sei i comuni in tutta la provincia, in cui ho vinto, peraltro alcuni molto piccoli, come Oltressenda, la vittoria a Bergamo vuol dire che abbiamo lavorato in modo corretto”.

Perché si è preso quasi 40 giorni per decidere?
“Mi sono imposto un po’ di tempo per riflettere, poco più di un mese rispetto ai tre mesi che consente la Legge. Volevo fare una scelta non affrettata, giusta. Del resto è una decisione importante per me, per la mia vita, per questa città. E ho pensato anche che dovevo rispetto a quel milione e seicento mila persone che mi hanno votato per la presidenza della Regione Lombardia. Cittadini che hanno creduto nella mia persona per guidare la Regione, non si tratta di quattro gatti. Proprio per rispetto verso di loro, ho avuto bisogno di tempo per riflettere”.

Non è stato facile?
“In queste settimane molti mi hanno tirato la giacca, sia da una parte sia dall’altra. Qui a  Bergamo non capivano perché mi ponessi il problema, eppure appena fuori dalla città, mi facevano notare come io fossi un riferimento per la Lombardia. Un ruolo tutto sommato guadagnato durante la campagna elettorale. Sono tutti punti di vista giustificati”.

Veniamo al dunque: perchè ha deciso di restare a fare il sindaco di Bergamo?
“Scelgo di restare qui, perché penso di avere un impegno da onorare fino alla fine. I bergamaschi che mi hanno votato con grande maggioranza mi avrebbero voluto in Regione con un ruolo guida anche negli interessi di questa comunità. Dal momento che questa cosa non è successa, io credo che si debba rispondere al mandato dei cittadini di Bergamo fino alla conclusione nel 2019. Poi c’è un’altra ragione”.

Quale?
“Mi sono chiesto: che cosa sono io? Che cosa sono capace di fare? Continuo a sentirmi un politico molto anomalo, anche se non rifiuto affatto la dimensione della politica. Però sono più portato per la gestione, per un impegno operativo che richiede decisioni rispetto a un ruolo di testimonianza. In democrazia è fondamentale che l’opposizione rivesta un ruolo. Ci sono persone, come me, più portate per un ruolo gestionale. Alla fine scelgo di restare dove sono più utile”.

Senta, che cosa risponde a quei cittadini che dicono: adesso Gori torna qui, ma ci avrebbe lasciati?
“Credo di averlo spiegato e la maggioranza dei cittadini lo ha capito: avrei portato in scala regionale quello che qui, a Bergamo, abbiamo costruito, vale a dire un modello amministrativo, un modalità di governare, una capacità di costruire il benessere della comunità. Una politica regionale che avrebbe potuto gratificare e arricchire anche la comunità bergamasca. Non vivo questa scelta come un passo indietro. Sto a quello che mi dicono i miei cittadini: ‘lei adesso serve qua’. Penso di essere, insieme alla mia squadra di giunta, utile a questa città. Ho tante cose da portare a compimento in questi 14 mesi. Ho voglia di farlo e di farlo con impegno”.

Lei cerca sempre nuove sfide, si è un po’ stufato di fare il sindaco?
“Lo ammetto senza nascondermi: avrei voluto portare l’esperienza di Bergamo in Regione Lombardia, esperienza costruita in questi anni. Credo che, alla luce del percorso svolto in questi mesi,  avremmo governato bene, ne sono convinto”.

Come sono i tuoi rapporti con il Pd bergamasco?
“Con il Pd bergamasco ho ottimi rapporti, a partire dall’esperienza di giunta che, secondo me, ha scongelato alcune appartenenze. È un Partito Democratico che si pensa come una comunità coesa, che non vuol dire appiattita. Certo ci sono diverse opinioni e diverse teste, ma c’è un riconoscimento reciproco e un dialogo molto positivo”

Con il Pd regionale?
“Diciamo che è un rapporto un po’ più complesso. Oltre al rispetto degli elettori che mi hanno votato, la proposta politica che ho portato avanti in questi mesi a Milano è smuovere l’organizzazione. L’opposizione che abbiamo avuto in questi anni in consiglio regionale non è stata molto efficace se alla fine passa l’idea che Maroni ha governato bene. Ci sono un sacco di problemi e questo dimostra i limiti di chi ha tenuto le fila dell’opposizione in questi anni. Ho voluto portare un po’ di grinta, ho cercato di dare il mio contributo. Poi si è deciso in altro modo, è prevalsa una logica più conservativa. Non è un dramma, ma non mi ha nemmeno riempito di gioia”.

E col nazionale, col reggente Martina, va meglio?
“A livello nazionale è un momento complesso. Io mi ritrovo molto nella linea che prevale e che chiede di non mischiarsi in strani accordi con chi, fino all’altro ieri, ci ha insultato in ogni modo, che ci ha visti come il male assoluto, che ha visioni del mondo della politica, del destino dell’Italia molto lontani da noi”.

Giorgio Gori

Quindi nessuna alleanza di governo né con M5S né con la Lega?
“Noi dobbiamo stare all’opposizione. È il nostro giro, ci fa bene. Abbiamo governato per sette anni, abbiamo bisogno di pensare e di organizzarci. È vero che in questi anni, secondo me di buon governo, poco è stato fatto sul partito. Sia a livello di organizzazione sia a livello di elaborazione e selezione di classe dirigente. Credo che i limiti si siano visti tutti. E quindi sono convinto che si apra una stagione in cui la responsabilità del governo se la prende chi ha raccontato molte favole agli italiani, essendo anche creduto peraltro. Non è la logica dell’aventino: è la logica dell’alternanza”.

Non pensa che per gli elettori del Pd però vogliano che continuiate a governare? 
No. Diciamo che tutto sommato che la dialettica tra forze politiche, anche molto diverse, nella prima repubblica era rispettosa. La Lega è un’espressione di destra estrema che dice che con il Pd non ha nulla a che fare. Chi ha promesso ai propri elettori che i problemi si potessero risolvere con il reddito di cittadinanza, con la flax tax, con l’abolizione della legge Fornero, e dall’oggi al domani, deve rispondere di queste cose e deve provare a fare. Siccome io credo che queste cose non si possano fare, a meno di voler andare in conflitto con l’Europa. E se non si vuol far esplodere il debito pubblico, credo che sarà costretto a rimangiare le promesse che ha fatto. O uno o l’altro. Comunque questa cosa la misureremo quando sarà piena la responsabilità da parte dei vincitori delle elezioni, e pieno il ruolo delle opposizioni”.

Cosa ha sbagliato il Pd?
“Prima dico che il Pd non deve cambiare il proprio baricentro riformista. Ciò detto, è vero che i ceti popolari ci vedono come lontani, un po’ perché gli altri parti hanno accorciato le distanze con annunci chiari (poi bisogna vedere quanto concretizzabili) come il reddito di cittadinanza o la promessa di far sparire gli immigrati. Il Pd è sembrato il partito dei diritti e non il partito dei bisogni. Non che certi diritti non siano importanti, però in questo momento forse i diritti, parlo delle unioni civili, del fine vita, anche dello ius soli sebbene non realizzato, forse sono visti quasi come un lusso. La domanda è molto più terra terra in un periodo di crisi come quello che abbiamo vissuto. Siamo poi diventati quelli che raccontano la globalizzazione oltremodo positiva, mentre ci sono degli aspetti negativi di cui farsi carico. Però diciamo, è una fase in cui la sconfitta può diventare un’opportunità di ripensamento.”

A proposito di bisogni, in certi quartieri periferici lei e il centrosinistra non avete vinto.
“Infatti ci ho pensato e ritengo di dover affrontare questi 14 mesi con molta vicinanza alle persone, ai cittadini. Non ci sono bacchette magiche, si capisce che nei quartieri con più stranieri c’è più malessere. Nel 2014 non era così. Alla Celadina oggi abbiamo il 41% dei bambini stranieri iscritti a scuola, al tempo della mia elezione non era così. Non siamo in grado di frenare questi fenomeni come l’immigrazione, ma possiamo intervenire per governarli, per esempio sulla gestione delle case popolari. Tutto ciò che concorre a moderare e smussare, lo metteremo in atto. L’investimento corposo che faremonsulle periferie non deve essere solamente un cantiere per i lavori pubblici. Abbiamo già iniziato, con i legami urbani, però dobbiamo fare di più. Dobbiamo dare maggiore implementazione delle reti sociali nei quartieri”.

Quattordici mesi per concludere il suo mandato da sindaco… e poi? Si ripresenterà in città?
“Non mi pare che questo sia il tempo di ulteriori decisioni. Non sono da solo a scegliere per un mio secondo mandato. Se lo sarà, deve avere la stessa energia e intensità del primo. Ci sono tante cose da valutare, per ora prendiamo un impegno per i prossimi 14 mesi. Poi si vedrà”.

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