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A scuola con bgy

“Dopo il liceo classico, posso iscrivermi ad ingegneria?” La risposta del prof

La rubrica "Chiedilo al prof." risponde a Paolo: aspettiamo le vostre domande in posta di redazione di BGY – Be Young ( redazione@bgyoung.it ) o, per i più social, nella "Direct" del nostro profilo Instagram, @bergamonewsyoung

Tante le e-mail di ragazzi e ragazze che vogliono cercare delle risposte sul mondo della scuola nel nostro giornale dei giovani. 

Il professor Vincenzo Cubelli risponde a Paolo, indeciso su quale percorso universitario intraprendere…

“Gentile professore,

Le scrivo perché ho letto che Lei è insegnante al Sarpi dove io sto frequentando l’ultimo anno. Dopo il classico sembra che lo sbocco naturale sia iscriversi a facoltà umanistiche, ma io non ne posso più del greco e del latino e vorrei fare ingegneria. I miei professori, però, me lo sconsigliano perché non riuscirò mai a passare gli esami di matematica. Lei, da prof di un liceo classico, cosa mi consiglia di fare? Grazie e complimenti per la rubrica,
Paolo”

“Caro Paolo,
L’istruzione classica ha per fine di preparare alle università ed agli istituti superiori: tutte le facoltà universitarie, ivi comprese quelle scientifiche. Il corsivo è mio e serve ad evidenziare che si tratta di una citazione da un testo di legge del 1923, per la precisione il Regio Decreto 1054, noto come riforma Gentile, la riforma che disegnò il sistema scolastico italiano destinata a durare per molti anni. Gli studenti del liceo classico fino al 1969 furono gli unici a poter avere accesso a tutte le facoltà universitarie, nessuna esclusa. Lo stesso non avveniva per gli studenti diplomati presso altri istituti di istruzione secondaria: una evidente prova del fatto che la preparazione impartita (oggi si direbbe meglio “le competenze acquisite dagli studenti in uscita”) dal liceo classico era ritenuta adeguata ad ogni futuro sbocco universitario.
Sebbene questa considerazione mantenga ancora oggi un ampio spessore di verità, vorrei però sviluppare un’ altra riflessione.

Oggi si parla moltissimo di pensiero computazionale: il pensiero computazionale è considerato una competenza straordinariamente importante perché sintetizza diverse abilità e forme logiche di ragionamento, quali la capacità di porsi ed individuare i problemi, ridurli in piccole parti e poi naturalmente risolverli nella maniera più economica. In termini precisi il pensiero computazionale sviluppa i processi di riconoscimento, di scomposizione, di astrazione e di soluzione (attraverso la creazione di quei famosi algoritmi di cui oggi tanto si parla). Questo tipo di approccio è di solito considerato come il fondamentale contributo culturale apportato dall’informatica alla società contemporanea.
Però….a ben pensarci tradurre una versione di latino e di greco è la stessa cosa!!! Riconoscere, scomporre, astrarre e risolvere sono i passaggi obbligati per qualunque traduttore di latino, a qualunque livello. E allora tradurre non è semplicemente fare i compiti, significa affrontare problemi, ancor più difficili e belli perché chiamano in causa la lingua che ha in sé quel piccolo margine di soggettività umana che rende ogni espressione unica e originale.

Ecco perché fare il classico e tradurre dal latino e dal greco è la miglior palestra dove allenare il pensiero astratto: l’informatica è arrivata dopo…
E allora, caro Paolo, le condizioni perché tu possa iscriverti a facoltà scientifiche ci sono tutte, soprattutto se tradurrai latino e greco con meno noia e più applicazione, guardando a questi compiti come attività capaci di produrre importanti strumenti di conoscenza.
Poi naturalmente ci sono le inclinazioni personali innate, i nostri talenti, ciò che noi portiamo (è questa l’etimologia greca del termine), la capacità di autodeterminarsi, di essere artefice del proprio destino. Essere consapevolmente folle, affamato, andare controcorrente e arrivare comunque dipende da te, non dai giudizi altrui.

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