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L'intervento

Gori: “Un terzo del cibo prodotto viene buttato via, da qui nascono le disuguaglianze”

Pubblichiamo l'intervento integrale del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha aperto i lavori del G7 nella mattina di sabato 14 ottobre in Sant'Agostino.

Pubblichiamo l’intervento integrale del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha aperto i lavori del G7 nella mattina di sabato 14 ottobre in Sant’Agostino. 

Siamo onorati di poter ospitare questo incontro dei ministri dell’agricoltura dei Paesi più importanti del mondo, e siamo felici di aver potuto contribuire ad accompagnare questo evento diplomatico con una settimana che ci ha visti protagonisti, che ha visto una grande partecipazione direi popolare, e quindi è andata oltre il solo fatto diplomatico. Ha coinvolto gli agricoltori, le associazioni, i cittadini. Questo perché abbiamo inteso, insieme al ministro Martina, cercare di fare di questo G7 dell’agricoltura un’occasione concreta di partecipazione, di riflessione diffusa sui temi del diritto al cibo e dei nuovi modelli agricoli che lo possono agevolare.

Questi temi, come sapete, sono stati al centro di Expo 2015 e sono stati scelti dalla Presidenza Italiana del G7 come qualificanti del proprio ruolo: sicurezza alimentare e diritto al cibo. E in particolare di questo G7 dell’Agricoltura che il ministro Maurizio Martina ha voluto portare nella nostra città.
I ministri saranno chiamati, a partire da sabato pomeriggio al Palazzo della Ragione, a una riflessione sul nesso tra la dimensione agricola e i fenomeni migratori, oltre che sugli strumenti per la gestione del rischio legato spesso ai mutamenti climatici. La conferenza di oggi, quella che stiamo per aprire, dedicata all’“Obiettivo Fame Zero”, cioè ad uno dei traguardi strategici che l’ONU ha fissato per il 2030, ha il compito di lanciare pubblicamente i lavori della riunione dei ministri mettendo a fuoco alcuni dei temi più rilevanti. Dicevo, veniamo da una settimana in cui di questi temi abbiamo già discusso, in particolare ieri, al Teatro Donizetti, abbiamo ospitato la presentazione in anteprima mondiale del dodicesimo report dell’Indice Globale della Fame, prodotto da Alliance 2015, che è un’analisi fatta su 119 paesi del mondo proprio sul tema della nutrizione, e purtroppo ancora della fame.

Quello che in sintesi racconta questo rapporto è che si sono fatti dei progressi negli ultimi 15 anni, ma che il tema della fame è tuttora presente. Sono 800milioni di persone nel mondo a soffrire ancora la fame, la fame cronica: e questo è paradossale se pensate che 1/3 del cibo prodotto nel mondo viene buttato via, e che 2miliardi e 100milioni nel mondo soffrono di obesità.
Ciò che emerge, quindi, è che se anche la produzione alimentare è sufficiente a nutrire il mondo, le disuguaglianze creano fenomeni di questa natura. La fame si concentra infatti nelle aree più vulnerabili, dove ci sono povertà, conflitti, catastrofi naturali, mutamenti climatici, carestie, e spesso coincide la condizione di svantaggio, di povertà, con quella di fame, anzi: coincide sempre. Fame e disuguaglianza sono cioè fortemente connesse: è una questione di povertà, come ho detto, ma è anche legato a differenze di carattere entico, di provenienza geografica: c’è questa grande differenza tra chi vive nelle città e chi vive nelle campagne. E di genere: abbiamo scoperto che il 60% delle persone che soffrono la fame sono donne.

E in definitiva, di potere. Ieri il rappresentante di un movimento della società civile della Sierra Leone, Abdullah Bunvai, ci ha parlato di land grabbing, ovvero di come la concentrazione fondiaria nelle mani di poche organizzazioni multinazionali nel suo paese abbia prodotto l’impoverimento e la condizione di malnutrizione, di fame, del 60% della popolazione della Sierra Leone. La fame spinge la gente a lasciare le campagne per andare verso le città, e spesso da queste città ad avventurarsi nella migrazione verso nord, verso l’Europa. Devo dire che questo fenomeno, collegato al raddoppio della popolazione africana atteso da qui al 2050, ci riguarda, riguarda i temi delle migrazioni di cui parliamo tutti i giorni e che poi hanno ricadute fino alle comunità locali: sono i migranti economici, quelli che non vengono ritenuti meritevoli di avere il permesso di soggiorno, quelli che spesso vengono accolti nella fase di richiesta dell’asilo e poi messi fuori dai centri di accoglienza. E quindi io credo che il tema di cui parliamo in questi giorni, di cui parleranno soprattutto i ministri, sia che l’agricoltura sia centrale per consentire di modificare ciò che sta accadendo. Io credo che il protagonismo dell’Italia e dell’Europa, perché l’Italia da sola può poco, nella cooperazione internazionale sia sollecitato dai fenomeni che osserviamo, e soprattutto si debba rivolgere allo sviluppo del continente africano attraverso l’affermazione di un modello di agricoltura diversa, o meglio di una pluralità, della necessità di far coesistere diversi modelli di agricoltura: quelli più estensivi, quelli che riguardano alcune zone del mondo, e quelli invece che hanno una loro particolare caratteristica, la sostenibilità anche dal punto di vista sociale, che valorizza le diversità e consente la sopravvivenza dei piccoli produttori.

Questi sono i temi. Io spero vivamente che i ministri possano oggi fare un passo avanti decisivo su temi così rilevanti. Nella conferenza di questa mattina ascolterete degli ospiti di grande rilievo internazionale. Oltre al ministro Maurizio Martina, il Direttore Generale della FAO, José Graziano De Silva; il Segretario Generale della CEI, monsignor Nunzio Galantino; avete ascoltato il Rettore dell’Università, Remo Morzenti Pellegrini; sentiremo lo Sherpa italiano del G7, l’Ambasciatore Raffaele Trombetta; la Direttrice della divisione Africa di One, Nachilala Nkombo; e infine Elinuru Palangyo, agricoltrice tanzana premiata come eroina per il cibo da Oxfam e designata dalla Coalizione Italiana Contro la Povertà.

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