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Grande Guerra, Pillola 137: i boschi insanguinati delle Argonne fotogallery

L’offensiva nel settore della Mosa-Argonne, fu certamente un grande successo, benchè pagato a carissimo prezzo, ma non ottenne quella vittoria strategica definitiva, né la distruzione dell’esercito avversario, per cui era stata concepita.

Gli Stati Uniti, nel corso dell’intera guerra del Vietnam, persero circa 360.000 uomini, di cui quasi 60.000 furono i caduti: quella guerra durò vent’anni, anche se raggiunse il suo apice nel periodo tra il 1965 ed il 1972. Per rendere l’idea dell’impatto che ebbe, sul giovane esercito americano la battaglia della Mosa-Argonne, ci basta fare un confronto tra i due episodi: in quel gigantesco scontro, che faceva parte dell’offensiva finale contro la Germania, nel 1918, le forze dell’AEF ammontavano, più o meno, alle stesse schierate in Vietnam al colmo dell’escalation militare statunitense nel 1969, ovvero a 550.000 uomini. In meno di due mesi, le divisioni Usa subirono quasi 120.000 perdite: quasi un soldato su quattro.

Quella combattuta nelle Argonne fu la battaglia più letale nella storia dell’esercito americano: e gran parte di queste perdite va ascritta alla scarsa organizzazione logistica dell’AEF e al suo utilizzo piuttosto dissennato, da parte, va detto, soprattutto dei comandanti francesi, da cui dipendevano parte delle truppe Usa. Al gigantesco scontro parteciparono, infatti, oltre all’AEF, con 22 divisioni (Pershing e, in seguito, Hunter Liggett), due armate francesi, la 4a (Gouraud) e la 5a (Berthelot), con 31 divisioni, contro cui era schierata la 5a armata germanica (Marwitz), protetta alle spalle dalla poderosa linea Crimilde, con circa 200.000 uomini su 44 divisioni.

Questi numeri, per quanto riguarda gli uomini di Marwitz, vanno intesi in modo assai relativo: i reparti tedeschi, piuttosto giù di morale, erano ridotti al lumicino per organico ed equipaggiamento e le truppe erano esauste: inoltre, le 44 divisioni tedesche non furono schierate contemporaneamente dall’inizio della battaglia, ma avviate in prima linea in vari momenti, a seconda delle emergenze. Alcune divisioni germaniche, come la 117a, arrivavano a contare solo 3.000 effettivi. Da parte alleata, inoltre, vi era una netta supremazia aerea (840 velivoli) oltre ad un’imponente forza d’urto di quasi 350 tank. L’offensiva affidata all’AEF era la più meridionale di un vasto impianto strategico che prevedeva tre attacchi quasi contemporanei su tutto il fronte, con i britannici ad ovest ed i francesi a nord: obbiettivo era lo sfondamento della linea Hindenburg e la conquista del fondamentale nodo logistico di Sedan, da cui dipendeva la resistenza germanica in Francia.

Una volta di più, la storia della guerra ripercorreva sentieri già battuti, puntando verso la città simbolo della sconfitta francese del 1870. La 1a armata Usa scattò all’attacco il 26 settembre 1918, il giorno dopo toccò al BEF, nei pressi di Gand, mentre i francesi attaccarono il 28. Dopo qualche insuccesso iniziale, già dal secondo giorno le cose sembrarono andare discretamente per gli statunitensi che, nonostante le gravi perdite, avanzarono per una decina di chilometri: l’azione stava procedendo ancora meglio per i francesi, che potevano combattere in campo aperto, a differenza dei soldati dell’AEF, che si battevano sul complicato terreno boscoso delle Argonne.

I boschi insanguinati delle Argonne

Alla fine di ottobre, le armate francesi erano arrivate all’Aisne, con un’avanzata di circa 30 chilometri, mentre gli statunitensi lanciavano costosissimi attacchi frontali contro la linea Crimilde, a una quindicina di chilometri dalle loro basi di partenza e conquistavano, finalmente, l’insanguinata foresta delle Argonne. A questo punto, l’AEF dovette riorganizzarsi, dopo la terribile prova del mese di ottobre: le divisioni Usa furono divise in due armate: la 1a al comando di Hunter Liggett e la 2a al comando di Bullard, con due diversi obbiettivi, in direzione di Sedan e di Metz.

Quest’ultimo sforzo statunitense favorì il passaggio dell’Aisne da parte dei francesi, che, finalmente, poterono conquistare Sedan, dopo la battaglia di Le Chesne: si era, ormai negli ultimi giorni di guerra, e in Germania la situazione interna stava precipitando. Mentre le forze dell’AEF stavano rastrellando gli ultimi nuclei di resistenza intorno a Sedan, il Kaiser si preparava ad abdicare e in molte fabbriche tedesche gli operai si stavano sollevando: nonostante questo, però, l’armistizio dell’11 novembre avrebbe trovato, come vedremo, i soldati germanici ancora schierati, con una certa solidità, in territorio alleato. Questo avrebbe, in seguito, determinato il pericoloso mito della “pugnalata alle spalle”, che tanta parte ebbe nei successi iniziali del nazionalsocialismo.

Insomma, l’offensiva nel settore della Mosa-Argonne, fu certamente un grande successo, benchè pagato a carissimo prezzo, ma non ottenne quella vittoria strategica definitiva, né la distruzione dell’esercito avversario, per cui era stata concepita: essa, di fatto, fu una delle tante avanzate compiute da entrambi i contendenti nell’arco dell’intero conflitto, ed ebbe conseguenze, viceversa, definitive, per ragioni legate all’esaurimento delle risorse della Germania.

In conclusione, fu il Materialschlacht a piegare l’esercito germanico, e non l’ultima grande campagna alleata, che, anzi, venne messa in atto con criteri piuttosto antiquati, rispetto ad altre battaglie del 1918: le truppe americane, ad esempio, vennero mandate all’assalto della linea Crimilde con criteri non molto diversi da quelli con cui i fanti italiani venivano avviati al macello sul Carso e sull’Isonzo.

Parafrasando Carlo Emilio Gadda, avere tanti uomini a disposizione non vuol dire che li si debba sciupare. Da questo spreco di energie e di vite, proprio alla fine della prima guerra mondiale, derivò agli Stati Uniti la più sanguinosa ecatombe della sua storia militare: la vittoria, poi, trasformò in gloriosi successi anche gli errori più clamorosi, come sempre accade, ma questa è un’altra faccenda.

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