Kurt Cobain, indimenticato frontman del gruppo grunge dei Nirvana, lunedì 20 febbraio avrebbe compiuto 50 anni. Purtroppo ne sono passati 23 dal suo suicidio, avvenuto il 5 aprile del 1994: l’icona del rock decise di rimanere per sempre giovane, togliendosi la vita con un colpo di fucile in bocca.
Cobain è ancora oggi un mito, non solo per le generazioni che hanno avuto modo di seguire la sua ascesa nel mondo della musica tra il finire degli anni ottanta ed i primi anni novanta, ma anche per molti ragazzi che oggi vedono in lui una figura mitologica, di un cantautore che metteva nei suoi pezzi inanzitutto la verità, condita dalla sua inquietudine, fragilità, rabbia, sofferenza e persino di disperazione.
Sfiancato dai riflettori, dalla responsabilità di essere visto da tutti come un simbolo, e divorato dall’eroina, utilizzata non come un modo per incamminarsi verso l’autodistruzione, ma solamente per tenere a bada il dolore provocato da un’ulcera allo stomaco che lo stava perseguitando da tempo, Cobain decise di porre fine alla sua vita, entrando in quello che è stato ribattezzato “Club 27”, quel gruppo di icone morte proprio all’età di 27 anni che comprende nomi come Amy Whinehouse, Jim Morrison e Jimi Hendrix, diventato una sorta di maledizione nel mondo della musica.
I Nirvana, con una manciata di album, una poetica universale ed una disperazione quasi sintomatica, fecero di Seattle la capitale del nuovo rock, trasformando il grunge in una vera e propria filosofia di vita, capace di fare da colonna sonora ad un intero decennio. Forse, una delle ultime rivoluzioni musicali degne di questo nome.
commenta