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L'opinione

Eutanasia su un minore in Belgio: la qualità della vita e la libertà di scelta

Tommaso Bruni, ricercatore in etica medica al King's College di Londra, traccia un'analisi sul caso di recente eutanasia su minore avvenuta in Belgio.

Qualche giorno fa la commissione belga per il controllo dell’eutanasia ha dato notizia del primo caso di eutanasia su minore in quel paese. La legge belga del 28 febbraio 2014 aveva legalizzato la pratica. Tommaso Bruni, ricercatore in etica medica al King’s College di Londra, propone uan riflessione sul tema. 

In primo luogo, non si sa quasi nulla sui dettagli del caso. Non si sa di che cosa fosse malato il paziente, non si sa quanti anni avesse.

In secondo luogo, il Belgio non è il solo paese a consentire l’eutanasia sui minori, dato che la legge dei Paesi Bassi la autorizza su minori che abbiano un’età di 12 anni o superiore.

In terzo luogo, stiamo parlando di eutanasia, cioè di quella che in bioetica è di solito definita come “eutanasia attiva”. Non si interrompono le terapie e si lascia a fare alla natura. Non si è neppure in presenza di un suicidio assistito o di un aiuto alla morte in cui è il paziente a somministrarsi i farmaci (di solito per via orale). Al contrario, un medico attivamente inietta per via endovenosa nel corpo del paziente (in questo caso minore di 18 anni) farmaci atti a provocarne la morte. Di norma, si tratta di un protocollo a base di sodio tiopenthal e pancuronio che è molto simile a quello usato negli USA per la pena di morte (nel protocollo statunitense per le esecuzioni capitali si aggiunge cloruro di potassio in ultima istanza per essere certi dell’arresto cardiaco – è quest’ultima sostanza a creare i problemi peggiori).

In quarto luogo, la normativa belga in materia è estremamente rigida, tanto che, dal 2014 a oggi, vi è stato un solo caso di eutanasia su minore in un paese di 11 milioni di abitanti. Perché il protocollo farmacologico sia messo in atto, devono essere rispettate necessariamente le seguenti condizioni:
1) il paziente minore deve essere in una “situazione medica senza uscita che comporti la morte a breve termine”;
2) il paziente deve esperire “una sofferenza fisica costante e insopportabile, non sedabile, dovuta a una patologia incurabile”;
3) la domanda deve essere fatta dal paziente, che deve essere “capace di discernimento”, e non può essere fatta da nessun altro;
4) un’equipe medica deve esaminare la domanda e approvarla;
5) uno psicologo o uno psichiatra dell’età evolutiva indipendente dall’equipe medica deve esaminare il paziente, valutarne la capacità di discernimento e approvare la domanda;
6) i genitori devono dare il loro consenso a che il protocollo sia messo in atto.

Nel caso dell’eutanasia su minori ci sono due obiezioni importanti.

La più rilevante riguarda un potenziale conflitto di interesse dei genitori, che possono essere del tutto esausti per via della devastante esperienza della malattia grave di un proprio figlio e quindi potrebbero voler “chiudere la partita” in qualsivoglia modo. Tuttavia questa obiezione funziona solo quando il consenso dei genitori è l’unica condizione importante perché la procedura che conduce alla morte del minore sia attivata. Chiaramente questo non è il caso della legislazione belga, in cui i genitori da soli possono assai poco: il livello di scrutinio da parte delle professioni medica e psicologica sulla procedura è molto elevato.

Una seconda obiezione afferma che l’eutanasia attiva è sempre sbagliata perché “la vita umana è sacra”. L’idea è che uccidere umani è sempre sbagliato. Ma uccidere per autodifesa non è moralmente sbagliato, così come uccidere in una guerra giusta, posto che uno creda nell’esistenza di “guerre giuste”. Già a un’analisi superficiale la sacralità della vita umana regge poco come principio assoluto. Ma in particolare, in presenza di un livello di sofferenza non-sedabile come descritto in 2) e di una prognosi infausta nel giro di poco tempo, non uccidere significa condannare il paziente a ore o giorni di atroce dolore supplementare. Questo sembra essere immorale sulla base di un imperativo morale largamente condiviso: “Allevia il dolore!”. È vero che l’eutanasia sottrae al paziente tempo di vita, ma è lui stesso a chiedere di esserne privato. Inoltre quel tempo sottratto ha una qualità ben precisa: la qualità del dolore atroce. Non è un tempo buono, di cui il paziente si possa giovare, ma un tempo che nessuno di noi vorrebbe vivere.

Dato che la normativa belga è molto severa e che le obiezioni contro l’eutanasia attiva non si applicano a questo caso, la mia reazione alla notizia che viene dal Belgio è dispiacermi per una giovane vita umana che è stata spezzata da una malattia gravissima e implacabile, contro cui purtroppo poco hanno potuto i potenti mezzi della medicina odierna.

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