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L'analisi

La matrice strategica dei bombardamenti Usa in Libia

Gli americani hanno interessi divergenti da quelli europei, in Libia e nel resto dell’Africa. Così scrive nalla sua analisi il professor Giancarlo Elia Valori.

Anche se alcuni decisori militari statunitensi hanno recentemente dichiarato che i raid aerei sulla Sirte sono da ritenersi “puramente tattici”, come infatti ha affermato anche il generale Petraeus il 4 agosto scorso, nondimeno le operazioni di Washington in Libia, iniziate il 1° agosto, hanno un evidente rilievo strategico.

Intanto i dati, per avere la percezione reale della situazione: le azioni aeree Usa sono dirette dall’Africa Command, Africom, la struttura di Washington che collabora dal 2008 con tutti i Paesi africani, ad eccezione dell’Egitto, con il quale ha un accordo a parte; e che ha sede presso le Kelley Barracks di Stoccarda.

La componente di terra dell’AFRICOM, USARAF, United States Army Africa, ha poi base e comando autonomo nella Caserma Ederle di Vicenza.

Insomma, il comando africano dell’America del Nord ha, con questa operazione aerea-navale in Libia, tre motivazioni strategiche evidenti:
1) l’esclusione della NATO-Europe dal suo quadrante meridionale e il suo direzionamento forzato ad Est e a Sud-Est, verso Cina, Russia e, tra poco, India,
2) il contrasto geoeconomico e militare dell’espansione cinese e russa in Africa,
3) l’ipotesi di gestire, in futuro, il grande processo di unificazione panafricana, proprio sul modello degli Stati Uniti.

Peraltro, il bombardamento della Sirte da parte degli aerei Usa ha un ulteriore evidente significato strategico: mentre la Federazione Russa diviene oggi il punto di riferimento del Grande Medio Oriente con la prossima stabilizzazione della Siria; gli Usa vogliono marcare il territorio del Maghreb:
a) per evitare un’azione di Mosca in Libia;
b) per sostenere i loro alleati regionali arabi;
c) per chiudere uno spazio ai loro alleati europei, indecisi a tutto se non alla soumission multiculturalista al “jihad permanente”.

L’operazione di Washington, denominata Odyssey Lightning, consiste nel sostenere il solo GNA di Tripoli, il Governo di Accordo Nazionale, l’unico riconosciuto dall’Onu rispetto a quello di Tobruk e le sue forze di terra, che hanno avanzato, nello scorso mese, contro le postazioni dell’Isis nella Sirte. Si tratta qui delle sole Forze di Misurata, non del tutto collegate con l’Accordo Nazionale di Al-Serraj.

Il governo di Tripoli, malgrado il suo supporto internazionale, è legato a milizie, come quelle già notate “di Misurata” e come il Bunyan al Marsoos, “la solida base”, eserciti che sono tutte pagati, come gli tutti gli altri politici locali e le numerose altre milizie, dai soli fondi della Banca Centrale Libica.

E, malgrado ciò, il governo di Al Serraj controlla davvero solo la costa cittadina di Tripoli e due quartieri contigui.
Peraltro, la Central Bank of Libya gestisce, secondo gli ultimi dati disponibili, una base monetaria di oltre 115 miliardi di dinari libici, ma con un quasi-money che vale circa il doppio della suddetta base monetaria.
Il “quasi-money” è, lo ricordiamo, quella quota di asset bancari che sono più facilmente convertibili in denaro cash.

Quindi, è facile immaginare che se, come accade oggi, riprende il flusso di petrolio dalle coste libiche, ora che gli analisti del settore prevedono una risalita del prezzo del petrolio dalla seconda metà di quest’anno in poi verso i 70-80 Usd a barile, la disponibilità di denaro da parte delle varie forze militari libiche aumenterà, con evidenti effetti negativi sul processo di pacificazione-riunificazione del Paese.

E aumenterà anche la quota degli aiuti turchi, sauditi, qatarini e perfino egiziani ai loro proxies, al fine di evitare l’espansione del mercato petrolifero libico e favorire il loro export nazionale, diretto e indiretto.
O magari, come è accaduto proprio con il Qatar all’inizio della infausta rivolta contro Gheddafi, si tratterà di fare trading del petrolio libico, magari trasformandolo magicamente in “prodotto nazionale”.

Ma torniamo alle programmate azioni militari dall’aria dell’Africa Command statunitense.

Cinque operazioni messe in atto nel primo giorno di Agosto e dell’azione militare Odyssey Lightning, quattro il 2 e il 3 Agosto, alcune operazioni a terra di gruppi dei Corpi Speciali USA per mettersi d’accordo con le varie fazioni; mentre le attività militari americane dal mare finora sono state definite come “attacchi di precisione”, peraltro molto efficaci, su materiali e depositi dell’Isis a Sirte.

La prima missione è avvenuta a partire dalla nave anfibia d’assalto americana Wasp, presente al largo del golfo della Sirte, altri aerei sono partiti da basi terrestri in Italia e inizialmente dalla Giordania.
Il gruppo navale della USS Wasp comprende anche la nave-ponte USS San Antonio e la nave da sbarco USS Whidbey Island, mentre il sistema di comando dei missili a medio raggio è di base a Rota, in Spagna.
Le tre navi USA accolgono la 22° Unità di Spedizione dei Marines, che ha a disposizione anche aerei MV22 Osprey, insieme ad altre unità di AV-BB.

L’Osprey è un convertiplano per la dislocazione di forze di terra al’interno del territorio libico, mentre il corpo navale di spedizione americano dispone inoltre di elicotteri Super Cobra, di altri elicotteri UH-1Y Venom da trasporto e i CH-53E Super Stallion per il trasporto truppe.

Sono evidenti due dati: che gli USA, dopo il probabile cleaning up dell’area della Sirte, intendono sbarcare e porre i classici boots on the ground, scommettendo su una nuova rete di signori della guerra libici intenzionati, con il coordinamento di Washington, a eliminare l’Isis da tutta la Libia.
Tra parentesi, è evidente l’interesse americano, che è strategico oltre che politico, di evitare quanto più possibile l’appoggio degli alleati europei.
Questo sia per evitare azioni terroristiche sul territorio UE, sia, soprattutto, per gestire una completa autonomia tattica e strategica in Libia.

L’altro dato è che gli americani intendono scommettere solo e unicamente sul Governo di Accordo Nazionale di Fayez Al-Serraj mentre le forze, anche europee, che sostengono l’”Operazione Dignità” di Haftar, che sono alleate con i Saiqa di Bengasi, le milizie di Zintan, le milizie dei Warshefana e, soprattutto, le guardie che controllano i pozzi petroliferi, dipendono debolmente da Tobruk.

Per non parlare di Francia, Arabia Saudita e Egitto, sostenitori di Khalifa Haftar e del suo Esercito Nazionale Libico; ma riteniamo con qualche fondamento che le forze di “Operazione Dignità” potrebbero essere il vero centro di gravità di una futura azione russa in Libia, pericolo massimo per gli Usa.

In altri termini, Washington, lo ripetiamo ha quindi scelto di sostenere solo e unicamente il piccolo Governo di Al Serraj, e di accettare quindi un futuro frazionamento almeno in due parti del territorio libico.

Il che è supremamente contrario agli interessi europei e, infine, gli Usa hanno deciso di creare una testa di ponte, attraverso il Governo di Tripoli, che possa espandere la presenza di AFRICOM nel Sud e nell’Est della Libia.

Tutte intenzioni legittime di Washington, ma che avrebbero dovuto essere discusse e analizzate insieme agli ormai irrilevanti partners europei, che vedono solo il dito, l’immigrazione dalle coste libiche, ma non la luna, la geopolitica che le determina e le sfrutta, anche sul piano militare. E lo vedremo presto in futuro.
L’ingenuo automatismo filoamericano degli alleati europei di Washington, che è un riflesso dell’ormai cessata guerra fredda, è di per sé un pericolo strategico per la UE e per i Paesi mediterranei dell’Unione.

Gli americani hanno interessi divergenti da quelli europei, in Libia e nel resto dell’Africa.

E se, invece di farfugliare mitologie multiculturaliste, l’UE avesse organizzato una conferenza operativa per creare e dislocare una forza militare ispano-franco-italiana, con l’assenso russo, che stabilizzasse la zone costiera e debellasse, anche con l’aiuto USA, il califfato dalla Sirte senza peraltro bloccare il processo di riunificazione nazionale libica?
Ma è poi possibile che un esercito da guerriglia come l’Isis, che vive tra rifugi sotterranei e nelle pieghe dei centri urbani, possa essere valutato come una forza armata tradizionale di cui occorre “impedire azioni contro gli Stati Uniti e i loro alleati”, come recita la motivazione dell’azione dell’Africa Command?

Lo dubitiamo, come peraltro dubitiamo che il totale abbandono del governo di Tobruk sia una scelta strategica razionale.

Certo, quelli di Tobruk hanno iniziato a governare da un carro ferroviario e hanno ancora rapporti con la Fratellanza Musulmana; ma ci sono già stati vari incontri e trattative tra il GNA di Serraj e alcuni membri del Parlamento di Tobruk, fin dal giugno scorso, che potevano essere da noi facilitati e sostenuti esplicitamente dalla comunità internazionale.
Nessuno, nemmeno gli Usa, hanno da guadagnare da una Libia frazionata, con o senza la serpe dell’Isis in seno.

E l’Italia? Il ministro della Difesa Roberta Pinotti, per dirla con le parole usate nel suo question time alla Camera dei Deputati, ha affermato che le “operazioni USA non hanno finora interessato l’Italia né logisticamente né per il sorvolo del territorio nazionale, e si sviluppa in piena coerenza con la Ris. dell’ONU del 2015 e in esito ad una specifica richiesta di supporto formulata dal legittimo governo libico”.

Quindi, per il ministro della Difesa italiano, il Governo di Accordo Nazionale di Al-Serraj è il solo legittimo, anche se è evidente a tutti che proprio non esiste alcun governo in Libia.
Non vi è stata, in Italia, una disamina razionale delle proteste della Russia e del governo di Tobruk, che potrebbe passare armi e bagagli nell’area islamista-jihadista della rivolta libica; mentre Mosca ha richiesto che i bombardamenti Usa avvengano dopo una risoluzione del Consiglio di Sicirezza dell’Onu.

Vi sono stati, dal 4 agosto in poi, evidente conseguenza dei sorvoli dell’Africom, scontri durissimi tra le milizie di Tripoli, che sono soprattutto quelle di Misurata, fedeli a Serraj ma pagate da altri, con le BDB, Brigate di Difesa di Bengasi.

I militari di Haftar accusavano i combattenti locali, durante i suddetti scontri ad Agedabia, nella “mezzaluna petrolifera”, di aver favorito la fuga da Bengasi dei jihadisti dell’Isis.
E’ quindi possibile, in un quadrante così complesso e in cui “l’amico del mio nemico è mio amico”, e solo su base locale, iscrivere solo il Governo di Accordo Nazionale sulla lavagna dei “buoni”?
Ci siamo quindi legati mani e piedi a Tripoli, senza che il governo di Al Serraj abbia ancora ottenuto la fiducia della Camera dei Rappresentanti di Tobruk e poi cosa accadrà, a noi, se il Governo di Accordo Nazionale tripolino cadrà? Allora saremo privi di rapporti credibili con tutte le altre forze operanti in Libia e esposti ad ogni ritorsione, fuori e dentro i nostri confini.

Uno dei players possibili per noi sarebbe l’”Operazione Dignità” di Khalifa Haftar, sostenuto da operatori dei Servizi francesi e britannici, che si sta espandendo nell’Est libico.

Il denaro di Haftar, lo abbiamo detto, proviene da sauditi, egiziani e francesi; e Mosca ha già manifestato l’intenzione di eleggerlo a suo referente nel caos libico.

“Operazione Dignità” è un esercito vero, Haftar lo comanda con il pugno di ferro del vero professionista delle armi, mentre gli Usa spingono ancora per una alleanza variegata e inaffidabile di milizie islamiche da far comandare ai tripolini, cosa difficile, mentre i russi sostengono, ancora indirettamente, la Cirenaica.
Avremo quindi la probabile reazione del terrorismo jihadista sul nostro territorio senza alcun guadagno strategico in un paese così vitale per noi, ovvero la Libia.

La campagna aerea Usa, autorizzata da Barack Obama per la durata di trenta giorni, potrebbe poi non essere pienamente efficace contro l’Isis a Sirte e le milizie di Misurata potrebbero allontanarsi dal governo di Accordo Nazionale di Al Serraj.

Se è ovvio che non è razionale un intervento boots on the ground di una Forza europea, dato inoltre che i Paesi UE hanno interessi divergenti in Libia, sarebbe almeno utile non legarsi mani e piedi ad una sola, e nemmeno la più forte, delle parti in causa.

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