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L'analisi

L’Italia presiederà l’Osce: ridisegni la mappa degli equilibri internazionali

Giancarlo Elia Valori, Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France, indica alcune possibilità che avrebbe l'Italia, eletta a presiedere l’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa).

Per il 2018 l’Italia è stata eletta a presiedere l’OSCE dal consiglio ministeriale dell’Associazione. Lo sappiamo dal 27 Luglio scorso, quando il nostro Paese è stato nominato alla direzione annuale dai 57 attuali membri dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.

E niente vieta che, modificando lo Statuto, si possano aggiungere a questi anche dei Paesi “osservatori”, come accade oggi per la Shangai Cooperation Organization. Sarebbe bene quindi utilizzare moto bene e in modo nuovo questo periodo di presidenza italiana all’OSCE, dove già abbiamo un segretario dell’Assemblea Parlamentare, che agisce dal 1 Gennaio 2016, per cinque anni; e si tratta di Roberto Montella, un esperto di conflict resolution che ha lavorato per anni con l’Organizzazione nei Balcani.

Quindi, qui non si deve pensare ad una riedizione del solito “semestre europeo”, da far passare con roboanti dichiarazioni, costose conferenze e zero fatti, tanto per farsi vedere e fare pubblicità al proprio governo nazionale. Qui si la questione è quella di pensare, finalmente, in grande. Cosa che l’Italia dovrà iniziare a fare, se vuole sopravvivere nel nuovo contesto internazionale.

E di conseguenza utilizzare una struttura, la più grande del globo per la sicurezza, nella quale operano, lo abbiamo visto, ben 57 Paesi, pur trattandosi di una organizzazione che non ha ancora piena soggettività internazionale.

Ma queste sono cose che si conquistano sul campo, non con le carte bollate, come l’onore, il rispetto, il prestigio, il carisma. Finora l’Organizzazione viennese l’abbiamo vista all’opera nella gestione e nel controllo delle elezioni; ma c’è un dato funzionale dell’OSCE estremamente importante, quello riguardante, da statuto, la risoluzione delle controversie legali internazionali. È qui che bisogna giocare bene le nostre carte. Senza però dimenticare l’ufficio, con sede a Varsavia, che si occupa dei controlli elettorali.

In una fase in cui ci saranno elezioni importanti, dalla Somalia il prossimo agosto alla Federazione Russa il 18 settembre prossimo, a quella in Giordania il 20, sempre di Agosto, al Marocco, il 18, sempre il prossimo mese, poi nella West Bank palestinese, fino a quella in Montenegro, nell’Ottobre prossimo venturo, la sola e tradizionale attività di monitoraggio dell’OSCE proietta l’organizzazione viennese ai vertici del sistema attuale delle relazioni internazionali. Sempre che si passi dall’osservazione delle urne elettorali al progetto strategico, che non è una semplice “democratizazione”, ma il ridisegno degli equilibri e delle alleanze internazionali.

E qui, con la Presidenza italiana, si spera, il tema non sarà solo quello di monitorare la formale correttezza delle procedure di voto, ma di impostare una nuova modalità delle relazioni politiche e strategiche internazionali nel nuovo contesto strategico globale. Che ha cambiato tutti i sogni sognati dai decisori successivi alla fine della guerra fredda. Monitorare le elezioni certo e, soprattutto, utilizzare appieno il sistema di gestione degli affari legali internazionali vuol dire, oggi, avere in mano un strumento duttile, ampio, potente, universalmente riconosciuto e di vasta influenza.
Il tutto al fine di iniziare a dirimere alcune delle tensioni globali oggi presenti e, in particolare, ridisegnare la mappa degli equilibri di potenza, di influenza e di stabilità.

Osce

Oggi, utilizzare l’OSCE significa poter disegnare una nuova mappa degli equilibri internazionali fuori dalla rete delle vecchie e ormai morte alleanze: quella Atlantica è sempre più una rete à la carte, con la Turchia che fa il suo gioco autonomo in Medio Oriente, gli USA che utilizzano i Paesi del vecchio Patto di Varsavia per circondare Mosca, o per non parlare delle ormai infinite ONG che si occupano di migrazione, aiuto umanitario, peacekeeping o salute che sono o emanazione di governi (ne abbiamo contate più di 54) o organizzazioni di tipo strettamente regionale, e in questo settore ce ne sono almeno 32.
Troppo piccole per essere strategiche, troppo deboli per imporre un nuovo sistema di relazioni internazionali, troppo settoriali per risolvere perfino i problemi che intenderebbero risolvere.
Tutte regionali quindi, molte poco attive, moltissime legate ai governi maggiori delle varie alleanze regionali, altre ancora troppo specifiche, nel loro oggetto, per assumere funzioni di tipo strategico e geopolitico.

L’OSCE ha quindi la dimensione, la storia, il ruolo per iniziare a dirimere, con la Presidenza italiana, una serie di nodi che né la NATO, struttura che sta sperimentando oggi una debolezza preconizzata fin dall’inizio della fine della guerra fredda, l’ONU, troppo grande e inibita dai veti incrociati, l’UE, ormai germanocentrica e priva, da sempre di progetto geopolitico, od altre organizzazioni paritarie, può invece impostare in modo nuovo ed efficace.

Vediamo i punti di rottura dell’equilibrio tra l’Europa e le grandi aree geopolitiche mondiali che confinano con essa o sono in storica relazione con l’Europa. E come l’OSCE potrebbe aiutarci a risolverli. Intanto, c’è ancora da pensare ai Balcani. Frazionati eccessivamente, nelle more della fine della guerra fredda, per evitare la slavizzazione dell’area in relazione alla Russia, l’egemonia serba e infine per creare staterelli indipendenti ma non autonomi, che sarebbero stati o membri della UE o piccoli potentati.

L’area è quindi ancora instabile, pericolosa, critica sul piano economico e come fallito antemurale rispetto alle pressioni dell’Islam politico, radicale o meno. Il wahabismo, importato dall’Arabia Saudita, si diffonde ancora a macchia d’olio tra le vastissime popolazioni musulmane dei Balcani, in Bosnia le due diverse popolazioni non hanno mai abbandonato il progetto della separazione, consensuale o meno, la Republika Srpska, la parte serba della Bosnia, minaccia un referendum per l’indipendenza da tenersi nel 2018.

Il Kosovo, poi, è in profondissima crisi economica, ma i serbi locali hanno recentemente raggiunto il diritto all’autonomia territoriale, il che ha prodotto dure manifestazioni da parte della popolazione albanese che gli USA avevano eretto, con qualche ingenuità, a egemone nella zona. Si pensi che il Kosovo è il “capolavoro” delle due guerre balcaniche tra il 1991 (la Slovenia) il 1991-1995 (la guerra d’indipendenza croata) poi quella bosniaca, iniziata nel 1992 e terminata apparentemente nel 1995, la vera e propria guerra in Kosovo, iniziata nel 1991 e cessata nel 1999, poi ancora la rivolta della valle del Presevo, dal 1999 al 2001, infine la rivolta in Macedonia nel 2001.

Le date e il numero delle guerre ci indicano che la soluzione attuale è stata peggiore delle stesse tensioni che hanno dato origine al frazionamento dei Balcani, il più grande pericolo, da sempre, per la pace e la stabilità dell’Europa (e dei suoi alleati, peraltro). Qui, un grande progetto della Presidenza italiana dell’OSCE potrebbe essere quello di riprendere una grande idea di un grandissimo ministro degli Esteri italiano, Gianni De Michelis. Avendo già prefigurato lo sciocco frazionamento sine die delle etnie e delle micronazioni balcaniche, il leader veneziano propose nel 1991 la Pentagonale, con l’aggiunta tardiva della Polonia, che serviva a stabilizzare l’Europa Centrale, permettergli uno sviluppo integrato, a sostenere l’idea di una Serbia “unita e democratica”, infine a gestire i grandi aiuti infrastrutturali che, peraltro, la “Pentagonale” non poteva finanziare autonomamente ma solo tramite la BERD.

Inoltre, per Gianni De Michelis il problema era quello di eliminare il pericolo di un innesco di autonomismi più o meno storicamente giustificati che avrebbe messo in pericolo, come oggi peraltro accade, la stessa Europa continentale. La questione è ancora lì, irrisolta, e l’OSCE, dotandosi di una serie di bracci finanziari e operativi sul campo, possibili data la sua autonomia e specializzazione legale, potrebbe risolverlo, almeno iniziando dall’anno di Presidenza italiano.

La Macedonia, poi, è oggi priva di un governo centrale stabile e la numerosa minoranza albanese si sta organizzando, dopo alcune manifestazioni pubbliche. La soluzione tipo OSCE potrebbe essere quella di una nuova alleanza, una nuova “Pentagonale” più ampia; che sostiene una rete di alleanze tra i risultati della folle geopolitica del frazionamento balcanico. Il problema è ancora quello di collegare gli aiuti economici e gli investimenti ad una solida stabilità interna, ad azioni di mutua consultazione militare, strategica, commerciale tra gli Stati dell’area e, infine, ad un nuovo patto di stabilità strategica tra la UE e tutto il sistema dei microstati prodottisi dalle guerre balcaniche degli anni ’90-2002.

Qui la questione non è quella solita del semplice controllo della regolarità delle elezioni, come è spesso accaduto anche nella pur brillante storia dell’OSCE. Via il gatto, i topi ballano, finite le regolari elezioni il Paese si destabilizza esattamente come se queste non fossero avvenute. Il “referendum giornaliero”, come Renan chiamava il processo elettorale, funziona solo se le classi politiche e le èlites hanno rilevanti tratti di omogeneità.

Osce

Il problema vero, che la Presidenza italiana dovrà risolvere, è quindi quello della “legittimità sostanziale” delle azioni dei microstati, evitando poi una loro coalescenza verso i Paesi esportatori di jihad e la porosità strategica di tutto il sistema balcanico, la peggiore minaccia, lo ripetiamo ancora, alla stabilità europea. Per questo, sarebbe utile un Patto, tra tutti i 57 membri dell’Organizzazione, che veda la possibilità di un intervento di interposizione e di stabilizzazione, anche militare, fuori dal contesto NATO e con l’accordo, inevitabile, con l’altro grande Stato interessato vitalmente ai Balcani: la Federazione Russa. 

Che è membro dell’OSCE dal lontano giugno 1973. Altro punto di tensione che l’Organizzazione potrebbe iniziare a risolvere è quello del Grande Medio Oriente. Il Vicino Oriente che abbiamo conosciuto è un vecchio disegno sulla carta britannica tra Londra e le Indie: oggi è il grande generatore di instabilità globale e il punto in cui arrivano tutti i fili della geopolitica, da Est come da Ovest. Molti dei paesi islamici minori di quell’area sono membri OSCE: il Turkmenistan (dal 1992) l’Azerbaigian (sempre dal 1992) l’Uzbekistan ( ancora dal 1992) e, di maggiore importanza, la Turchia, che appartiene all’OSCE fin dal 1973.

Bene: a questo punto la questione è quella di inglobare Israele, che non ha parte nell’organizzazione, insieme ad alcuni altri Paesi dell’area. Lo stato ebraico è addirittura la chiave della nuova OSCE che dovrebbe iniziare con la Presidenza italiana: esso sarebbe in primo luogo il pivot del nesso tra l’Organizzazione e la Sea and Belt initiative cinese, la nuova “Via della Seta” tra Oriente e Occidente prefigurata dal leader cinese Xi Jinping.
Ma anche la Cina non è membro dell’OSCE, ecco qui il ruolo, rapido e antiburocratico, dei “membri osservatori” dell’Organizzazione.
Inoltre, Israele potrebbe portare in dote all’OSCE il suo grande potenziale economico e tecnologico, essenziale per la politica estera di nuovo tipo che si sta prefigurando all’orizzonte.
E Gerusalemme potrebbe inoltre ricollegare in questo modo la sua politica estera ad una vasta rete di alleanze e di mutui equilibri che, oggi, mancano ad Israele nel nuovo Medio Oriente devastato dal jihad.

Niente vieta, peraltro, che l’entrata di Paesi nuovo nell’area permetta l’applicazione di normative meno war directed di quelle attuali, in un contesto di rilassamento delle tensioni nell’area dove, peraltro, Israele potrebbe evitare sia il rapporto biunivoco con la Federazione Russa, che ha altri interessi nella zona, che con alcuni Paesi islamisti nemici dell’Iran, con i quali le relazioni dello Stato Ebraico non possono non essere scritte sulla sabbia. Fare uscire Israele quindi dall’attuale cul de sac strategico, imporre ad almeno una parte del mondo arabo una nuova trattativa, fuori dai miti della guerra fredda e qui si veda per esempio l’ipotesi, mai abbandonata dai sauditi, di uno scambio tra territori e riconoscimento panarabo (sunnita).

Roba vecchia, che potrebbe essere superata di slancio se l’OSCE si proponesse non solo come una organizzazione capace di gestire elezioni, ma come un organo attivo nella risoluzione dei conflitti in un contesto nuovo, chiamando alle trattative vecchi e nuovi attori regionali e globali. Mi riferisco alla Russia, alla Cina, a molte delle Repubbliche dell’Asia Centrale, perfino agli USA, che sentirebbero in questo caso meno il peso della loro leadership della NATO.

Altro argomento da non dimenticare, nella nuova configurazione dell’OSCE che qui proponiamo, è quello della nuova integrazione, economica e strategica, della Gran Bretagna dopo la sua Brexit.
Londra è ormai un Paese autonomo, ma non può utilizzare appieno il suo Commonwealth, in cui molti Paesi hanno dimensioni e interessi ormai ben diversificati da quelli britannici; ed è ormai fuori dal contesto politico della UE, qualunque sia il tempo dell’uscita formale di Londra dalla Comunità Europea. Londra fa parte dell’OSCE dal Giugno 1973, e la rete che stiamo progettando per la nuova organizzazione è tale da sostituire, in gran parte, il sistema di alleanze che la Gran Bretagna aveva realizzato con la UE durante tutto il suo lungo periodo di permanenza nell’Unione.
Un sostegno paritario e non egemonizzato dal concerto europeo per la nuova globalizzazione di Londra, quindi.

Sapendo bene che, se il Regno Unito non può fare a meno del sistema strategico europeo, suo antemurale naturale di protezione geopolitica, nemmeno l’UE può fare a meno della Gran Bretagna, membro del club nucleare militare, Paese di gran peso nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, piazza finanziaria forte e autonoma a livello globale.
L’UE senza Londra è cieca, la Gran Bretagna senza una rete che unisca tutta l’UE ed oltre, come l’OSCE, potrebbe divenire sorda. L’Organizzazione potrebbe quindi essere, con il suo sistema integrato di relazioni internazionali e la sua expertise legale, che potrebbe valere sia nelle trattative commerciali che in quelle più propriamente strategiche, un buon modo di recuperare Londra, che non può lasciare nuda e sola l’UE.

Penso, quindi, in primo luogo, ad una grande conferenza dell’OSCE sul Grande Medio Oriente, in cui si stabilirebbero alcuni punti essenziali: a) il riconoscimento universale di Israele e l’ equipollente diritto alla sua autonoma difesa, 2) un sistema di relazioni dello Stato Ebraico, via OSCE, con tutti i players regionali e globali, senza il peso pericoloso delle interazioni con l’ONU e la NATO, 3) il ridisegno, che non imiti le follie balcaniche, delle aree arabe nella regione, con una tutela intermedia dell’Organizzazione per i piccoli Paesi e con una protezione dei confini tale da impedire, finalmente, la globalizzazione islamica, ovvero il jihad.

Una “Pentagonale” per il Medio Oriente, per dirla in sintesi. Nel quadrante balcanico, da sempre, lo sappiamo, punto di attacco della instabilità europea, si tratterà di riprendere il nesso lasciato proprio da Gianni De Michelis: stabilizzazione dell’area, l’evitare poi il folle virus frazionistico ed etnicista, la rete degli aiuti infrastatuali che potrebbero, in questo nuovo caso, essere integrati con quelli cinesi della Sea and Belt initiative.

Per Londra, la grande conferenza OSCE dovrebbe farla rientrare in gioco nel sistema internazionale, proprio tramite l’organizzazione, per recuperarla ad una Grand Strategy priva di troppi debiti con gli USA ed adatta a quella che continua ad essere una grande potenza mondiale.
Israele, lo ripetiamo, potrebbe impostare, tramite l’OSCE, la sua nuova rete di relazioni internazionali, sedando molti dei Paesi arabi che, pur non partecipando all’Organizzazione, sono troppo esperti per trascurarla. Ecco, si tratta di passare, acquisendo anche personalità internazionale autonoma, da una OSCE che sta a guardare distrattamente i seggi elettorali ad una Organizzazione che, nelle more della crisi strutturale delle altre, progetta una nuova geopolitica laddove ci sono i punti di tensione più importanti: i Balcani, l’Europa del Nord e dell’Est e, soprattutto, il Grande Medio Oriente. Una grande sfida che la Presidenza italiana dell’OSCE dovrebbe essere capace di immaginare e di impostare.

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