Togliere l’aggravante della crudeltà e riconoscere l’attenuante della provocazione. Sono le richieste di Roberta Barbieri, avvocato di Amine El Gahazzali, 26enne marocchino reo confesso del delitto della moglie disabile di 19 anni.
Sara El Omri, questo il nome della giovane vittima, era stata uccisa il 2 giugno dello scorso anno sulla pista ciclabile di Albino, lungo il fiume Serio.
A ferirla mortalmente con 24 coltellate il marito, secondo gli inquirenti con la complicità di una 16enne sua amante, J.S., di origine kosovare, residente in Svizzera e che dormiva con lui in una tenda lungo il fiume.
Nella seconda udienza del processo con rito abbreviato, al tribunale di via Borfuro a Bergamo, il marocchino ha provato a difendersi spiegando, attraverso il suo legale, di essere stato provocato dalla moglie quella sera. La stessa versione che aveva fornito ai carabinieri dopo il rocambolesco arresto, e ritenuta poco credibile.
La 19enne, che lavorava come barista in un locale della zona, mentre era a terra esanime, era riuscita a riferire ad alcuni testimoni che a colpirla era stato proprio lui.
Il giovane aveva quindi cercato di fuggire, nascondendosi sopra un furgone parcheggiato all’interno di una villetta poco lontana, ma era stato intercettato dai carabinieri, intervenuti con 60 uomini e un elicottero per le ricerche dell’assassino.
L’accusa nei confronti di El Gahazzali è di omicidio aggravato dalla crudeltà. Il pubblico ministero Raffaella Latorraca nel corso della prima udienza aveva chiesto la condanna a 30 anni di carcere per El Gahazzali. La sentenza è attesa per il 31 maggio.
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