La domanda sorge spontanea: per chi è andata a teatro la gente? Per Sgarbi o per Caravaggio? La via di mezzo, ovvero per Sgarbi che racconta Caravaggio, non convince totalmente. In tre ore di spettacolo – minuto più minuto meno – Sgarbi dà voce al Caravaggio: ne racconta le gesta, non solo quelle artistiche, proponendo al pubblico un ideale paragone con Pier Paolo Pasolini: sorta di medium attraverso il quale poter accedere alla vita e alle opere di Michelangelo Merisi. Una vita fatta di chiaroscuri: gli stessi che attraversano e rendono inimitabili – e dunque imitatissime – le opere del pittore lombardo. Ragion per cui Sgarbi non si limita a illustrare Caravaggio, ma anche tutta quella folta schiera di artisti che dalla sua arte e dal suo modo di vedere la realtà hanno tratto ispirazione: perchè dopo Caravaggio – spiega Sgarbi – niente sarà più com’era prima.
Caravaggio come Pasolini, dunque. O Pasolini come Caravaggio: artista di giorno, cane sciolto la notte. Un artista rivoluzionario. Un “fuorilegge nell’arte”, come lo definì il critico Gilles Lambert. Rivoluzionario poiché diverso, fuori dagli schemi. Diverso nel raffigurare la realtà così com’è, e non come dovrebbe essere; nel preferire il reale all’ideale. Con Caravaggio la realtà non è più un qualcosa da abbellire, migliorare o elevare a tutti i costi. Anzi: diventa il punto di riferimento dalla quale partire. Caravaggio come Copernico.
In un certo senso – spiega Sgarbi – lo si potrebbe considerare l’inventore della fotografia, proprio per la sua capacità di immortalare la realtà. Di cogliere l’attimo, citando Cartier-Bresson. Per accorgersene, basta gettare uno sguardo ai suoi dipinti: vedi il ‘Ragazzo morso da un ramarro’ o la ‘Maddalena penitente’. E’ l’arte che imita la vita, e non più l’inverso.
Il pittore del popolo, degli ultimi, degli emarginati: testimone di un mondo che oggi definiremmo “borderline” e che esercitava su Caravaggio una forte fascinazione. Temi e soggetti fortemente provocatori, lontani da quella sublimazione del sacro che dominava le opere dei suoi predecessori, Michelangelo e Raffaello su tutti.
E poi? E poi c’è Sgarbi, nella sue versione double-face: quella formato accademico e quella mainstream, formato televisivo. Lo Sgarbi che predica, divaga, improvvisa e calamita l’attenzione, offrendo spunti e connessioni con l’attualità. Lo Sgarbi che fa riflettere e che intrattiene, con il suo linguaggio ora raffinato ora irriverente.
E il copione? Mera formalità. Del resto, per portare la storia dell’arte a teatro, Vittorio Sgarbi non ha certo bisogno di recitare.
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