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La recensione

Il figlio di Saul e la mostruosa “perfetta” organizzazione dell’Olocausto

Un film che scuote e colpisce le corde dell'animo umano, per la storia in sé (il riconoscere nel cadavere di un ragazzo la morte del proprio futuro e dell'umanità) e per la corretta ricostruzione del macabro inferno che è stato Auschwitz e con esso tutti i campi di concentramento. Per non dimenticare ciò di cui l'umanità si è macchiata.

Titolo: Il figlio di Saul
Genere: Drammatico
Anno: 2015
Regia: Laszlo Nemes
Attori: Géza Röhing, Levente Molnár, Urs Rechn
In programmazione al Lab 80 – Auditorium di Piazza della Libertà Bergamo

La trama del film si concentra principalmente sul protagonista, Saul Ausländer interpretato da Géza Röhrig, che è membro dei Sonderkommando di Auschwitz, i gruppi di ebrei costretti dai nazisti ad assisterli nello sterminio degli altri deportati.

In una delle camere a gas, tra i molti cadaveri, scopre un adolescente che è ancora vivo. I medici nazisti lo sopprimono, ma per Saul che crede di riconoscere in quel ragazzo suo figlio. Inizia così una sfida impossibile e paradossale: salvare le spoglie del giovane dall’autopsia e trovare un rabbino per seppellirlo. Una missione che diventa ossessione e per realizzarla volterà le spalle ai propri compagni e ai loro piani di ribellione e di fuga, perdendo persino del prezioso esplosivo.
Il film è un vero e proprio capolavoro per primi piani che sono l’espressione del deserto umano di fronte alla folle violenza nazista dello sterminio degli ebrei; per la forza delle luci che risaltano gli stati d’animo dei protagonisti e per il contrasto dei colori che evidenziano il contrasto tra l’equilibrio della natura e l’estrema violenza dei carnefici.
Il regista Laszlo Nemes è riuscito con una sapiente bravura a giocare sui primi piani della storia (la loro follia davanti all’orrore e l’istinto di sopravvivenza) e gli sfondi sfuocati dove si narra la perfetta e mostruosa organizzazione, quasi “industriale”, dell’annientamento dei deportati ad Auschwitz.
Un film che scuote e colpisce le corde dell’animo umano, per la storia in sé (il riconoscere nel cadavere di un ragazzo la morte del proprio futuro e dell’umanità) e per la corretta ricostruzione del macabro inferno che è stato Auschwitz e con esso tutti i campi di concentramento. Per non dimenticare ciò di cui l’umanità si è macchiata, il regista immerge tutto il film in quelle immagini sfuocate che cercano di non impressionare lo spettatore, ma che riescono perfettamente a mettere a fuoco e a narrare la mostruosa e “perfetta” organizzazione dell’Olocausto.

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