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De Bortoli: la lezione del referendum in Grecia tutti sono stati sconfitti

Ferruccio de Bortoli, già direttore de Il Corriere della Sera, in un editoriale sul Corriere del Ticino fa un'analisi sul referendum in Grecia e le ripercussioni che questo avrà sul futuro dell'Europa e sui populismi di casa nostra.

di Ferruccio de Bortoli 

Ha vinto il no, hanno perso tutti. La Grecia chiude la porta all’Unione europea e all’euro ma subito si dice disponibile a fare un accordo in poche ore. Quelle che la separano da un baratro di cui nessuno conosce la profondità.

La terra incognita di cui aveva parlato il presidente della BCE Draghi. Solo gli irresponsabili e i falchi, accecati dalle ideologie, possono festeggiare.

Che errore rivolgersi direttamente agli elettori greci come hanno fatto, con durezza, sia il presidente della Commissione europea Juncker sia quello del Parlamento europeo Schulz. Troppi appelli paternalistici. Controproducenti.

È stato il trionfo dell’irrazionalità economica e dell’avventurismo politico.

Alle banche, già da domani, dovrebbe venire meno la liquidità, esteso il controllo dei capitali. Inimmaginabili le reazioni psicologiche. Oggi Hollande vedrà la Merkel. Sono i due principali creditori. E forse il dialogo con Atene potrebbe ripartire da questo vertice improvviso voluto dai francesi. Ma non potrà essere la prosecuzione di quello interrotto la scorsa settimana.

Se Bruxelles cedesse al ricatto di Tsipras sospingerebbe l’intera costruzione europea sulla china del populismo, alimentando le varie forze di opposizione, come Podemos in Spagna o la Lega in Italia. Ed è anche difficile per Atene sperare in un taglio del debito, nemmeno dopo le timide aperture del Fondo monetario.

Non è detto che la Grecia esca subito dall’euro. Può continuare ad usarlo (per quanto?) senza farne parte, come fa peraltro il Montenegro. In ogni caso la moneta unica da oggi, in mancanza di un nuovo accordo, non appare più irreversibile come fu pensata sul finire del secolo scorso.

È diversa.

E fa un certo effetto, dopo il clamoroso no di ieri sera, leggere le scritte in greco sulle banconote firmate da Draghi. Ieri sera è finita, drammaticamente, una fase storica del processo d’integrazione europeo.

Ne comincia un’altra. Imprevista.

Alla quale tutti sono impreparati. Un cigno nero ha attraversato l’incerto cammino di governanti divisi e miopi, troppo ripiegati sugli interessi nazionali, e li ha costretti a cambiare percorso. Con una sola settimana di preavviso, un referendum, il trentanovesimo nell’Unione, ne ha mutato i destini.

Di tutti, non solo dei greci.

Ma era un referendum diverso perché disperato e confuso.

Nulla a che vedere con quelli precedenti, su Maastricht o sulla Costituzione europea. In quei casi si sceglieva tra opzioni chiare. E non in uno stato di necessità. Il voto popolare sulle questioni europee non sarà più lo stesso. Non se ne potrà più negare facilmente il ricorso. Anche su materie finora rimaste escluse, come le più delicate, su aspetti finanziari e fiscali. Quello che è accaduto in questi giorni ad Atene ci consegna due grandi insegnamenti. Si può avere una democrazia federale europea senza moneta unica.

Ma non si può avere una moneta unica senza democrazia. La moneta è il primo fondamentale segno di fiducia di una comunità. Se i cittadini europei credono nell’Europa, la moneta unica ha un futuro. In caso contrario si riduce a un modesto accordo di cambio. Dunque, regole certe, riforme condivise, un rilancio delle istituzioni comunitarie a discapito dei Governi, troppo preoccupati del consenso a breve. Altre strade non ve ne sono.

Ma se l’Europa non crea lavoro e reddito a che cosa serve una moneta unica?

La seconda lezione riguarda l’avventurismo contagioso di Tsipras e il germe populista delle soluzioni drastiche e impossibili, il fascino delle scorciatoie ideologiche che fanno a pugni con il più elementare principio di realtà.

Chi è indebitato è meno libero, spesso non meno colpevole di chi gli presta spensieratamente soldi, ma non può salire in cattedra e dare lezioni di moralità e di democrazia a destra e manca.

Eppure, nel caso greco, assurge a modello anche per chi ideologicamente dovrebbe essere agli antipodi. E, di fronte agli ostacoli, si gioca tutto, cerca l’ordalia, incurante del risultato e forse più preoccupato di mantenere la purezza rivoluzionaria della propria immagine (vero Varoufakis?). È il falò delle vanità cui abbiamo assistito, sgomenti, in questi giorni. Ora i leader europei più avveduti e saggi accantonino malumori e ripicche, e riprendano il cammino interrotto, così bruscamente, con intelligenza e cuore.

L’intelligenza di Ulisse che seppe far tesoro dei propri errori.

Il cuore di Antigone che non cedette alla cecità di Creonte.

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