Mina Welby: “Oggi questa battaglia sul fine vita non è più una cosa pubblica. Ma noi lavoriamo silenziosamente perché c’è molta attenzione su questo tema che prima o poi coinvolge tutti, se non personalmente, interessa i propri cari. Il fine vita è per certi versi un tema tabù, ma che non si può negare o sfuggire per sempre. C’è una Legge in Parlamento, quasi dimenticata, forse perché considerata troppo pericolosa. Il tema del fine vita è come le ortiche che ti bruciano le mani. Eppure credo, e lo tocco con mano, oggi i cittadini chiedono queste informazioni. Vogliono sapere. E’ la politica che è sorda”.
Beppino Englaro: “Per molti è ancora un tema tabù. Quando ho chiesto per Eluana che si sospendessero le cure, come aveva chiesto espressamente a me e a sua madre, eravamo in un clima culturale completamente sordo, che non riusciva nemmeno a comprendere quella richiesta. Eppure Eluana quella richiesta l’aveva avanzata a noi genitori perché un anno prima un suo amico. Alessandro, era stato vittima di un incidente e non si è più risvegliato. Vedendolo il quelle condizioni accese un cero perché quella violenza terapeutica su quel giovane trovasse fine. Questa era mia figlia che aveva ben chiaro che cosa voleva e che cosa non voleva per la sua vita”.
Eppure in Parlamento è depositata una proposta di Legge di iniziativa popolare sul testamento biologico.
Mina Welby: “Le proposte di iniziativa popolare sono sempre messe da parte. Oggi purtroppo il nostro Parlamento legifera poco. È difficile trovare qualche senatore che si prenda carico di questa Legge e la adotti. Nelle commissioni non ne vogliono parlare. C’è un malato di Senigallia che si è inventato di tutto per vedere riconosciuti i suoi diritti. È andato ad Ancona, si è incatenato davanti al Tribunale. Ma non si muove nulla. Oggi ci sono terapie per mantenere in vita persone che sono davvero inutili, terapie che non vengono spiegate ai pazienti perché c’è anche un’ipocrisia sociale. Persino l’ordine dei medici nazionale preferisce che si lascino le cose così. Eppure sappiamo di quanto sia necessario che il rapporto medico-paziente sia veramente totale, sincero, aperto. Le cure palliative non devono arrivare all’ultimo termine. Ci sono persone che alla fine, stremate, ci chiedono di portarle in Svizzera”.
Beppino Englaro: “In Friuli Venezia sono state raccolte 5.300 firme attraverso una petizione popolare, perché le disposizioni dei cittadini siano legate alla carta sanitaria. In questo modo qualsiasi medico può risalire alle disposizione del paziente sul fine vita. La Regione ha accolto questa richiesta. Eppure tre giorni fa il Governo si è pronunciato proprio su questa Legge regionale definendola incostituzionale, Eppure queste disposizioni esistono. Sono disposizioni semplici, chiare ed inequivocabili che hanno un valore”.
Perché fa così paura parlare di morte?
“Perché è un tema tabù. Un tema che non tutti sono disposti ad affrontare. Quando nel gennaio del 1992 ho detto ai medici che cosa avrebbe voluto Eluana, mi sono trovato di fronte dei muri. Il clima culturale era davvero ostile, non si capiva un concetto semplice: lascia che la morte accada. Eppure non occorre essere costituzionalisti. Il medico può tutto, la persona non esiste. Mi risposero che loro dovevano offrire le migliori cure, come la rianimazione ad oltranza che crea delle condizioni estranee a come uno considera la vita. Ho atteso 15 anni e 9 mesi per veder riconosciuto un diritto semplice. Oggi la gente si è evoluta, sono i politici che non vogliono. Ma oramai, questa sentenza del Consiglio di Stato ha messo fine allo strapotere medico”.
Quanto è costata questa battaglia?
Beppino Englaro: “E’ costata moltissimo. Ma io vengo da una terra che ci ha abituato alle condizioni avverse e a combatterle. Oggi il testamento biologico fa ancora paura, si teme si possa scivolare nell’eutanasia. Ma non è così. Si chiede solamente che i cittadini, le persone, possano scegliere le proprie disposizioni di fine vita”.
E se qualcuno fosse per la medicina fino all’ultimo respiro di vita?
Beppino Englaro: “Io sono per il rispetto di tutte le posizioni. Anche la più distante dalla mia. Non entro nemmeno nel merito del giudizio. Ma esigo che il mio diritto di poter decidere come e fino a quando curarmi e come lasciarmi morire sia rispettato. Sono diritti e libertà fondamentali che non vanno disattesi. Anche quando io non sono più capace di intendere di intendere e volere, se io lascio delle disposizione semplici e chiare che debbano essere rispettato. Se non lo capisce il medico mi rivolgo al magistrato, ma questo diritto deve essere rispettato.
Mina Welby: “Con questa sentenza la magistratura ha dimostrato che non è serva di nessuno. Ecco da allora noi facciamo informazione. I cambiamenti culturali hanno i loro tempi, manca l’approfondimento e questo costa fatica. Noi con la nostra testimonianza facciamo quello che possiamo. C’è la Convenzione di Oviedo, in materia di bioetica, che l’Italia ha recepito nel 2001, ma non ha mai predisposto gli strumenti per adattare l’ordinamento giuridico italiano ai principî e alle norme della Convenzione e dei Protocolli. E questo fa comprendere quanto alla politica questo tema dia un prurito. Ma non dimentichiamo che ogni anno ci sono 1.550 persone che finisco in stato vegetativo. Per queste stesse persone dobbiamo continuare a batterci perché la medicina non sia fine a sé stessa ma sia per il bene della persona”.
Beppino Englaro: “La vicenda di Eluana è cristallina: non è mai stata contro nessuno. Avevamo le idee chiare e siamo stati determinati nel darle voce. Non siamo mai stati contro la Chiesa, la politica, la medicina, la magistratura: abbiamo solamente voluto che ci fosse riconosciuto il primato della coscienza personale, della libertà, di un diritto”.
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