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Esteri

Coppia di cristiani arsi vivi in Pakistan Il dolore della Chiesa

Una coppia di cristiani, lui il 26enne Shahzad e lei, la 24enne Shama, sono stati gettati vivi in un forno per mattoni da una folla di musulmani, provenienti da cinque villaggi a sud di Lahore (provincia del Punjab), che li accusavano di aver commesso blasfemia, per aver bruciato delle pagine del Corano.

di Pier Giuseppe Accornero

«Je suis choqué, on reste sans paroles devant des actes d’une telle barbarie. Sono scioccato, si rimane senza parole di fronte a un atto di tale barbarie. È ancora più grave che sia stata invocata la religione. Nessuna religione può giustificare un crimine così orrendo».

Il cardinale francese Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, è indignato per la terribile vicenda dei due giovani sposi cristiani, genitori di 4 figli, arsi vivi in Pakistan da una folla inferocita che li ha gettati nella fornace.

La coppia, il 26enne Shahzad e la 24enne Shama, è stata falsamente accusata di blasfemia, cioè di aver bruciato alcune pagine del Corano. Accusa lanciata da un capo islamico che ha incitato una folla di musulmani nella provincia del Punjab.

In Pakistan c’è una dittatura islamica e i pochi cristiani vivono nel terrore per l’assurda legge della blasfemia, che li lascia in preda ai fanatici e agli estremisti per cui basta una sola parola o un gesto banale per condannarli a morte.

I politici sono conniventi, la polizia guarda da un’altra parte, la magistratura agisce come vogliono i fanatici. L’orrendo crimine è stato denunciato con molto coraggio dall’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, difensore dei diritti umani, che è stato chiamato da altri cristiani e si è recato al villaggio «Chak 59».

I due giovani sposi, che lavoravano in una fabbrica di argilla, sono stati sequestrati il 2 novembre, tenuti in ostaggio e picchiati per due giorni nella fabbrica e il 5 novembre alle 7 sono stati buttati nelle fiamme della fornace dove si cuociono i mattoni. La ragione di tanta brutalità è ancora una volta un pretesto. Ripulendo l’abitazione, dopo la morte del padre di Shahzad, la signora Shama ha preso alcuni oggetti, carte e fogli del suocero – tutte cose rotte e inservibili – e ne ha fatto un piccolo rogo. Un capo musulmano ha assistito alla scena e ha accusato la signora di aver bruciate il Corano. Ha subito fatto la spia nei villaggi circostanti e una folla di oltre cento persone inferocite ha punito i due giovani.

Per l’avvocato Gill «è una tragedia, un atto barbarico e disumano; l’episodio dimostra come Pakistan ci sia una vera e propria persecuzione dei cristiani. Basta un’accusa infondata per scatenare le esecuzioni extragiudiziali». Intanto da Parigi è stata diffusa la 12ª edizione del «Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo», presentato da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), fondazione di diritto pontificio, istituita nel 1947 da padre Werenfried van Straaten (1913-2003), monaco premostratense olandese, diventata ora una «multinazionale della carità» che aiuta la Chiesa cattolica dovunque soffra nella miseria, per mancanza di mezzi, sotto le persecuzioni. Il rispetto della libertà religiosa è in drastico declino nel mondo e i cristiani sono il gruppo religioso maggiormente perseguitato.

In Iraq, Libia, Nigeria, Pakistan, Siria, Sudan, Cina, Corea del Nord, Arabia Saudita c’è stato «un significativo peggioramento». L’avanzata del sedicente Stato islamico provoca crescenti migrazioni di massa dall’Iraq. Nel luglio 2014 le nere bandiere sono entrate a Mosul e ai 30 mila cristiani i terroristi hanno detto: «Potete convertirvi all’Islam o andarvene. Ma se rimanete e non vi convertirete, sarete uccisi».

Ai cristiani non è restata altra scelta che andarsene. Anche i musulmani subiscono forti persecuzioni o per mano di altri musulmani o per mano degli Stati dittatoriali come in Tagikistan e Azerbaigian.

Nella Repubblica Centrafricana e in Nigeria operano gruppi islamici molto violenti, come Boko Haram, che hanno rapito le 200 studentesse. In Venezuela alcuni gruppi religiosi subiscono il controllo dello Stato, ma in generale i cattolici, gli evangelici e i protestanti convivono serenamente. Centoventi imam hanno scritto una lettera aperta al capo del sedicente Stato islamico in Iraq dicendo che l’operato dei jihadisti è assolutamente inaccettabile. I cristiani e i yazidi, un’altra religione antica e minoritaria, sono i maggiormente colpiti, mentre nella Piana di Ninive i cristiani sono stati abbandonati alle aggressioni degli estremisti.

A Mosul la chiesa siro-ortodossa dedicata a Sant’Efrem è stata svuotata dei banchi e degli arredi e suppellettili, che ora sono in vendita, e il Califfato vuole trasformarla in moschea e come sede del Consiglio di Stato dei mujahidin. In Pakistan il problema principale è la legge sulla blasfemia, per cui l’accusatore non ha l’onere di provare le sue accuse e può agire per vendetta o dispetto.

La legge è stata introdotta dal presidente-dittatore Zia ed è entrata in vigore nel 1986. La prima donna condannata a morte è stata contro la signora Asia Bibi che dal 2010 marcisce in prigione nel «braccio della morte», una condanna recentemente confermata dai giudici che si sono presi paura perché nell’aula del tribunale sono comparsi gli estremisti islamici. Quasi certamente la signora è vittima di una vendetta delle compagne di fabbrica. Per il cardinale Tauran colpevole è il governo che non reagisce, colpevole è la polizia per la sua complicità, colpevoli sono i giudici per la loro connivenza: «Questi misfatti danno dell’Islam un’immagine terribile».

Le famiglie dei coniugi cristiani bruciati vivi hanno chiesto giustizia al primo ministro del Punjab, Shahbaz Sharif. Solo per la risonanza internazionale del caso la polizia si sta muovendo alla ricerca dei colpevoli del linciaggio: sono partite le denunce contro 60 uomini e contro 500 ignoti mentre 54 sono stati arrestati. Un’altra uccisione ha turbato il Pakistan: un uomo musulmano, accusato di blasfemia, è stato ucciso in prigione da un poliziotto nel Punjab.

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