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L'intervista

Rientro dei capitali Sanga: “Non è un condono e spingerà la ripresa”

La Camera ha approvato la Legge sul rientro dei capitali dall'estero di cui il deputato bergamasco Giovanni Sanga (Pd) è relatore. La premessa della nuova norma sta nel nuovo rapporto tra Italia e Svizzera: la Svizzera non garantisce più l'anonimato ai suoi correntisti e lo scambio di informazioni con le banche italiane sta per diventare la prassi. Quindi diventa utile e, anzi, necessario per chi ha portato capitali Oltralpe regolarizzarsi prima di essere scoperto.

È una delle Leggi attese da tempo e che potrebbe immettere finanziamenti per far ripartire il Paese. È il progetto di Legge sul rientro dei capitali sulla qualle giovedì 16 ottobre la Camera dei Deputati ha dato il via libera. Il testo, composto da quattro articoli, passa ora al Senato. Relatore del provvedimenti in Commissione Finanze e in Aula è Giovanni Sanga, parlamentare bergamasco del Pd. La premessa di tutto questo sta nel nuovo rapporto tra Italia e Svizzera in particolare: la Svizzera non garantisce più l’anonimato ai suoi correntisti e lo scambio di informazioni con le banche italiane sta per diventare la prassi. Quindi diventa utile e, anzi, necessario per chi ha portato capitali Oltralpe regolarizzarsi prima di essere scoperto.  

Come nasce questa proposta di Legge?

“Dobbiamo partire da un contesto internazionale, dove si combatte per far emergere capitali nascosti in paradisi fiscali, spesso sottratti ai Paesi che hanno generato queste ricchezze. Nel nuovo scenario mondiale di globalizzazione che ha portato ad intensificare lo scambio di merci, capitali, risorse umane e informazioni, si sta rendendo sempre più necessaria una collaborazione internazionale per iniziative volte alla lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.Nel 2017 gran parte dei Paesi si scambieranno informazioni proprio per superare il segreto bancario. Si apre così una fase di grande pulizia e trasparenza”.

E così avete pensato di anticipare i tempi per far rientrare i capitali detenuti all’estero.

“Il provvedimento passato ora alla Camera e che ora giunge in Senato trae origine da un altro decreto-legge del 28 gennaio scorso emanato dal Governo Letta ma poi ha raccolto nel suo iter altre indicazioni. Il lavoro in Commissione è stato costruttivo e il dibattito articolato e serrato”.

Un testo però che è stato duramente contestato dal Movimento 5 Stelle che aveva presentato un’ottantina di ordini del giorno per ritardare l’approvazione della Legge.

“In Aula è arrivato un testo, poi approvato, che è equilibrato e che ben raccoglie le sollecitazioni emerse in Commissione, tra queste anche l’invito che proviene da larghi strati della società italiana e dalle istituzioni del nostro Paese rispetto al perseguimento di alcuni reati. Questa iniziativa legislativa ben definisce l’istituto della collaborazione volontaria, la cosiddetta voluntary disclosure, al fine di regolarizzare la posizione di chi detiene illecitamente capitali all’estero”.

Qualcuno ha voluto attaccare questa Legge definendola un condono. Che cosa risponde?

“È bene specificare che non si tratta di un condono, non è una versione aggiornata degli scudi fiscali del passato ma è una procedura che sta dentro le migliori pratiche internazionali, raccomandata dall’Ocse e già adottata in altri importanti Paesi europei come la Germania, la Francia e la Gran Bretagna. Non è riconducibile alle esperienze passate perché a differenza di allora, non c’è anonimato e non si paga con una percentuale a forfait. In questa proposta di legge il contribuente è tenuto comunque ad autodenunciarsi all’Agenzia delle entrate e, quindi, a pagare le imposte evase, gli interessi e le sanzioni, anche se queste ultime in forma ridotta”.

Entriamo nel merito della proposta di Legge. A chi è rivolta?

“I soggetti interessati alla collaborazione volontaria indicati dalla presente proposta di legge sono i soggetti fiscalmente residenti in Italia che detengono patrimoni all’estero non dichiarati al fisco. Può trattarsi – facendo alcuni esempi – di conti correnti, di polizze assicurative, di trust, fondi comuni, depositi di metalli preziosi, partecipazioni, immobili; con riferimento non solo alle persone fisiche ma anche alle società. L’istituto della collaborazione volontaria è applicabile anche per coloro che detengono in Italia patrimoni non dichiarati”.

Ecco perchè vi attaccano dicendo che può apparire un condono?

“Ma non è un condono. La collaborazione volontaria non è ammessa se la richiesta è presentata dopo che l’autore della violazione ha avuto conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche e avvio di attività di accertamento”.

Come funziona quindi il meccanismo che avete previsto?

“Secondo la nuova procedura, che deve essere attivata entro il 30 settembre 2015 per fatti commessi fino al 30 settembre 2014, il soggetto che si trova nelle condizioni di avere capitali all’estero, richiede all’Agenzia delle entrate, in maniera non anonima, di aderire alla voluntary disclosure in una formula che si configurerebbe come una sorta di autodenuncia. Il contribuente sarà quindi tenuto a pagare le imposte, gli interessi e le sanzioni, anche se queste ultime in misura ridotta. L’amministrazione finanziaria procede dunque ad accertare il quantum dovuto, emettendo un avviso di accertamento ovvero invitando il contribuente all’adesione spontanea. Per aderire alla procedura, si dovranno versare in un’unica soluzione o in tre rate mensili le somme dovute. Il contribuente non può avvalersi del diritto alla compensazione delle somme così dovute con eventuali crediti fiscali”.

Quali sono le sanzioni per chi aderisce?

“È prevista la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. La violazione relativa alla detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. Le sanzioni saranno in particolare pari all’1,5 per cento degli importi non dichiarati se le attività vengono trasferite in Italia o in Stati membri dell’Unione europea e in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni con l’Italia. Nel caso in cui le attività vengano detenute in un Paese black list, dove non esista un effettivo scambio di informazioni con l’Italia, la sanzione è determinata nella misura del minimo edittale, ridotto di un quarto (pari al 3 per cento degli importi non dichiarati). Sono accertabili le somme sottratte al fisco a partire dall’anno 2008. Se tuttavia le somme sono detenute in Paesi black list che, entro 60 giorni, non abbiano stipulato accordi per lo scambio di informazioni, risulteranno accertabili anche le somme detenute a partire dal 2003”.

Si paga solamente sui capitali evasi al fisco?

“No. C’è anche il recupero delle imposte evase, oltre alle imposte dovute sui redditi. Si tiene conto anche delle imposte addizionali, dell’Irap, delle imposte sostitutive, dell’Iva, salvo per quest’ultimo caso l’applicazione dell’istituto della rivalsa. Inoltre, vi sono da considerare i frutti maturati su quei capitali: gli interessi sui depositi, ad esempio. Potranno essere tassati secondo il metodo ordinario, attraverso la ricostruzione anno per anno, oppure in modo semplificato, per ammontare meno consistenti”.

Ci sono anche aspetti penali?

“Certo, ci sono degli aspetti penali da esaminare, ovvero i benefici per coloro che ricorreranno alla voluntary disclosure e l’introduzione nell’ordinamento italiano del reato di autoriciclaggio. Per ritrovare l’equilibrio complessivo di questo provvedimento, occorre tener conto di questi tre elementi: da un lato, gli aspetti fiscali e delle imposte da saldare sulle somme evase, dall’altro, dei bonus sui reati fiscali, dall’altro ancora, l’autoriciclaggio con le sue conseguenze”.

È possibile azzardare una stima su quanti capitali siano stati sottratti al fisco e nascosti all’estero?

“Analizzando la situazione sul piano domestico, secondo i dati pubblicati dal servizio studi della Banca d’Italia nel dossier intitolato: “alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all’estero non dichiarate dagli italiani”, si fa riferimento a valori compresi tra 124 e i 194 miliardi di euro alla fine del 2008, ma analisi più recenti sembrano stimare l’evasione in circa 220 miliardi di euro, di cui l’80 per cento detenuti su conti in Svizzera. Alla luce di queste analisi ci sono quindi tutte le condizioni per dibattere di questo fenomeno e per approvare in fretta la voluntary disclosure”.

Proprio con la Svizzera si sta lavorando per intese su questo fronte?

“Sono in corso trattative tra il nostro Governo e la Confederazione elvetica che potrebbero portare ad intese tra i due Paesi senza aspettare il 2017, cioè la fine del segreto bancario. Si aggiunga che grazie alle iniziative internazionali anche le banche elvetiche hanno modificato o stanno modificando profondamente i propri comportamenti raccomandano ai loro clienti di regolarizzare le posizioni dal punto di vista erariale nel paese di appartenenza”.

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