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La riflessione

Lussana, quel gesto estremo di uno studente che interroga ognuno di noi fotogallery

Una professoressa del liceo scientifico Lussana, dopo il tentativo di suicidio di uno studente 15enne, scrive a Bergamonews: "Questi ragazzi devono tornare a vivere la vita in carne ed ossa, devono tornare a parlare non attraverso la dimensione virtuale della Rete ma nelle piazze, nelle strade, nei cortili delle case e della scuola. Devono uscire dal vuoto cosmico della loro solitudine esistenziale e sentire la vera amicizia, la solidarietà degli adulti, l’essenza stessa della loro umanità".

Una professoressa del liceo scientifico Lussana, dopo il tentativo di suicidio di uno studente 15enne, scrive a Bergamonews.

 

Spettabile Direttore,

Sono un’insegnante del Liceo Scientifico Statale “Filippo Lussana” di Bergamo, oggi tristemente noto per il tentato suicidio di uno studente di 15 anni. Ci si interroga inevitabilmente su quanto accaduto, proprio nel primo giorno di scuola, alla prima ora, quando a prevalere dovrebbero essere i sorrisi e gli abbracci, e le pacche sulle spalle, dopo mesi di assenza e di vuoto fra compagni di classe. Eppure è successo.

Uno studente brillante, dicono i colleghi, all’inizio del triennio, con tutta la vita davanti e il ricordo dell’estate alle spalle. Eppure, contro ogni logica e contro ogni istinto di sopravvivenza questo ragazzo ha salutato i suoi compagni di classe con grandi sorrisi, ha lasciato ordinatamente in aula il suo zaino, ha atteso il suono della campanella che siglava l’inizio ufficiale del nuovo anno scolastico e si è gettato nel vuoto, su una lastra di cemento deserta, mentre nella voragine infernale del cortile della scuola gli operai stavano lavorando nella struttura ipogea, che diventerà la nuova palestra, non potendo né sentire né vedere nulla, inghiottiti dalla terra.

Nulla di più funesto e di più calcolato di questo assurdo gesto, che lascia aperti interrogativi disperati ed irrisolti: perché proprio nel primo giorno di scuola, e proprio nel cuore pulsante della scuola? Perché aspettare il suono della campanella della 1ª ora per lanciarsi da quelle orrende scale del 4^ piano, a cortile vuoto ma con un cantiere aperto in piena attività? E poi l’urlo dell’ambulanza, le voci che corrono fra gli studenti e quella terribile macchia di sangue, che neppure la segatura riesce a nascondere.

Le lezioni non vengono sospese, i camion continuano ad entrare ed uscire dal cancello della scuola, calpestando il selciato ancora macchiato di rosso. Non un fiore, non un segno di umana pietà, non un gesto per bloccare la marea di giornalisti e fotografi, che come avvoltoi invadono la scena, mentre lo sgomento del dirigente scolastico (appena insediato nella scuola), dei ragazzi, degli insegnanti e dei collaboratori scolastici si legge sui volti e nelle parole. E così trascorrono le cinque ore della mattinata scolastica.

Bisogna interrogarsi: perché questa vita spezzata? Perché questo gesto estremo? Perché nessuno si è accorto di nulla?

Questi ragazzi devono tornare a vivere la vita in carne ed ossa, devono tornare a parlare non attraverso la dimensione virtuale della Rete ma nelle piazze, nelle strade, nei cortili delle case e della scuola.

Devono uscire dal vuoto cosmico della loro solitudine esistenziale e sentire la vera amicizia, la solidarietà degli adulti, l’essenza stessa della loro umanità, che passa anche attraverso la disperazione e la crisi adolescenziale dei 15 anni, ma viene colmata dalla carezza della vita, di un abbraccio forte o di una parola forte, capace di consolare e di far crescere. La colpa è anche nostra: adulti spesso assenti, incorporei, insegnanti trasformati in funzionari, in misuratori di voti. Forse è davvero tempo di riforme, ma non solo di natura burocratica ed istituzionale.

Una Docente del Liceo “Lussana” di Bergamo

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