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L'intervista

Galdini, con l’Onu per la Siria: “Non chiamatela Primavera araba”

Ha conosciuto da vicino il mondo arabo e ha da poco concluso il suo incarico all’interno della Commissione d’Inchiesta Onu Siria come analista politico e dei media: Franco Galdini ha 37 anni, è bergamasco, e sta dedicando la sua vita a progetti umanitari in Paesi e contesti difficili.

Ha conosciuto da vicino il mondo arabo e ha da poco concluso il suo incarico all’interno della Commissione d’Inchiesta Onu Siria come analista politico e dei media: Franco Galdini ha 37 anni, è bergamasco, e sta dedicando la sua vita a progetti umanitari in Paesi e contesti difficili. Abbiamo chiesto a lui cosa sta succedendo e quale è la reale situazione nel paese governato da Bashar al-Asad.

Quando è stato in Siria la prima volta?

Mi sono recato la prima volta in Siria nel gennaio del 2001 e ci sono rimasto per più di sei mesi. Il soggiorno faceva parte del mio programma di laurea e a Damasco seguivo corsi di lingua e letteratura araba, storia, filosofia ed altre materie. Durante questo periodo sono venuto a contatto con intellettuali ed attivisti che, grazie alla cauta apertura politica iniziata dall’allora nuovo presidente, Bashar al-Asad, succeduto al padre, cominciavano ad organizzare simposi e discussioni sul futuro del paese. Questo periodo è stato successivamente battezzato la primavera di Damasco, durata invero ben poco, visto che poi il regime decise di fare marcia indietro e ristabilire lo status quo. 

E’ poi ritornato là??

Sì, da allora sono ritornato molte volte nel Paese, anche in veste di consulente per l’organizzazione Medici senza Frontiere (MSF), che manteneva un progetto medico-umanitario nella capitale a beneficio di immigrati irregolari. L’ultima volta che ho visto Damasco è stata nel febbraio del 2011, quando sono partito con un volo per il Cairo.

Si può considerare la rivolta in Siria ancora una delle manifestazioni della primavera araba?

L’espressione ‘primavera araba’ e’ problematica a mio avviso. ‘Primavera’ sottintende una scossa tellurica che rivoluziona i rapporti di potere all’interno di un Paese in uno spazio di tempo brevissimo, come potrebbero esserlo i tre mesi di una stagione. I momenti/movimenti storici di tale portata, invece, devono essere analizzati su di un arco di tempo ben più ampio. Alla rivoluzione francese seguirono il Terrore e la dittatura napoleonica: prima dell’ascesa al trono di un monarca costituzionale passarono decenni. Anche su ‘araba’ ho dei dubbi.

Che dubbi?

L’aggettivo, ‘araba,’ omette altre parti costituenti nella regione, per esempio il popolo curdo. 

Però ha capito cosa intendevo…

Sì, certo. Le ragioni della rivolta in Siria rimangono valide: il popolo siriano aspira a dignità e giustizia troppo a lungo negategli dal regime. La degenerazione di proteste in gran parte pacifiche in un disorganizzato movimento di guerriglia, e, successivamente, in una devastante guerra civile, ha avuto come risultato un cambio radicale delle dinamiche all’interno del Paese. Ora sono gli elementi armati che dettano il ritmo e la direzione della rivolta, mentre il fuoco delle armi soffoca le voci del dialogo e della moderazione. Dall’altra parte, il regime cerca ad ogni modo di ripristinare lo status quo, o di sopravvivere a qualunque prezzo in sangue. Presa tra due fuochi, la popolazione civile soffre e muore: un siriano ogni tre ha dovuto abbandonare la propria casa, o il Paese, a conseguenza della guerra.

In questo momento dal punto di vista umanitario quale è la prima emergenza da risolvere in Siria?

La Siria e’ un paese in ginocchio: 6 milioni di siriani sono sfollati o profughi nei paesi limitrofi; le infrastrutture sono distrutte o severamente danneggiate; l’accesso ai servizi, come la sanità, e’ ridotto o inesistente; da due anni centinaia di migliaia di bambini e giovani non hanno la possibilità di studiare; la lira siriana si e’ svalutata del 300% in pochi mesi ed i prezzi sono saliti alle stelle. Da questi pochi esempi, e’ evidente che siamo di fronte ad una catastrofe di dimensioni bibliche.

Quanto è importante il ruolo delle organizzazioni umanitarie non governative In Siria in questo preciso momento storico?

Le organizzazioni umanitarie stanno facendo un lavoro fantastico, vista la complessità della situazione e l’enormità dei bisogni. Ma il lavoro umanitario non può sostituire quello diplomatico. La sua funzione è  quella di rispondere a un’emergenza e alleviare il più possibile la sofferenza della popolazione civile. La diplomazia invece ha il compito di mediare un cessate al fuoco e facilitare negoziati politici che possano portare a un processo di pace: questa è l’unica soluzione duratura al conflitto.

Che idea lei si è fatto sulle armi chimiche?

Non sono un esperto di armi chimiche e quindi non posso commentare sul loro utilizzo. I fatti però parlano chiaro: in Siria la stragrande maggioranza dei civili morti sono vittime di armi convenzionali. In Ruanda, 800.000 civili furono uccisi a colpi di machete. Rimane dunque la questione politica legata alle armi chimiche: da una parte, il peso dato dal presidente americano Obama all’eventuale uso di tali armi. Dall’altra, l’equilibrio di forze nella regione: il regime siriano considera il suo arsenale chimico come il migliore deterrente per un attacco israeliano. Come ha detto recentemente lo storico Muhammad Hasanein Heikal, le armi chimiche sono le armi nucleari dei poveri.

Qual è l’obiettivo mondiale in questo senso?

Un Medio Oriente senza armi di distruzione di massa è un obiettivo che vale la pena perseguire, ma uno dei problemi fondamentali per la mancanza di progresso in questo settore è l’arsenale israeliano. Israele non ha aderito al Trattato di Non Proliferazione (TNP) e, quindi, non ha mai permesso agli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) di avere accesso alle sue testate nucleari. Un processo di disarmo sostenibile nella regione non può avere successo senza la partecipazione d’Israele, che continua a beneficiare di un trattamento speciale da parte degli Stati Uniti nei vari fori internazionali.

Si può fare un parallelo tra al-Asad e Gheddafi, Mubarak o altri leader deposti da rivolte popolari? O ci sono condizioni sociali e politiche diverse?

Ritengo che si possa fare un parallelo tra i vari presidenti a vita e leader arabi riguardo la mancanza di democrazia e di opportunità durante i loro mandati ad infinitum, dove corruzione e nepotismo erano all’ordine del giorno. 

Ma…

Detto questo, i vari Paesi arabi contengono al loro interno condizioni politico-economiche e dinamiche sociali diverse che devono essere analizzate nel loro contesto specifico, e poi relazionate con la situazione regionale. Spesso queste differenze non vengono rispecchiate nei media. Uno degli esempi più eclatanti, a mio avviso, fu la quasi ossessione dei media con la rapida caduta del regime siriano a causa della rivolta popolare, come era avvenuto in Tunisia ed in Egitto.

La situazione in Siria non è degenerata da un giorno all’altro. Perché a suo parere l’Occidente se ne occupa solo ora?

Se per Occidente intendiamo gli Stati Uniti ed i loro alleati, in primis i Paesi dell’Unione Europea, è evidente che tali stati sono coinvolti nella crisi siriana dall’inizio. La reazione occidentale fu dettata dalla mancanza di una chiara politica nei riguardi della Siria, che occupava una zona grigia nelle politiche dell’Occidente: stato laico e tacito alleato nella guerra contro il terrorismo, ma parte del cosiddetto ‘Asse del Male’ dell’allora presidente americano George W. Bush. Negoziando fino al 2011 un accordo di cooperazione commerciale ed economica con l’Unione Europea, ma con una lista infinita di violazioni dei diritti umani nei confronti dei propri cittadini.

Un mix complicato per decidere un’azione chiara.

Già, la prima reazione dell’Occidente fu di mettere pressione sul regime di Bashar al-Asad per realizzare riforme necessarie a calmare gli animi dei manifestanti. Ma questa pressione non andò mai al di là di dichiarazioni fini a sé stesse da parte di Washington e delle varie capitali europee. Quando le manifestazioni si trasformarono in operazioni di guerriglia, gli stati occidentali diedero appoggio logistico e di intelligence ai loro alleati regionali per armare i ribelli. Questo creò le condizioni per una futura guerra civile, rendendo vacua l’iniziativa di Kofi Annan, allora inviato speciale per la Siria del Segretario Generale dell’ONU, che stava trattando con tutte le parti del conflitto per creare i presupposti di un cessate il fuoco.

A Ginevra ha avuto l’opportunità di lavorare per la Commissione d’Inchiesta ONU sulla Siria. Ci può raccontare qualcosa di quella esperienza?

La Commissione d’inchiesta internazionale indipendente sulla Repubblica araba siriana è stata creata il 22 agosto 2011 dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU, con sede a Ginevra, con il compito di indagare su tutte le violazioni del diritto internazionale dei diritti umani in Siria a partire dall’11 marzo 2011. La Commissione è stata inoltre incaricata di stabilire i fatti e le circostanze dei crimini perpetrati e, ove possibile, di individuarne i responsabili, al fine di garantire che gli autori delle violazioni, comprese quelle che possono costituire crimini contro l’umanità, debbano renderne conto in futuro in una corte di giustizia. Il mio ruolo all’interno della commissione era quello di analista politico e dei media.

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