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Il pontefice

I primi cento giorni di Papa Francesco: piace all’85% degli italiani

Cento giorni dopo la sua elezione, Papa Francesco ha conquistato la fiducia dell’85% degli italiani grazie a spontaneità, semplicità e vicinanza alla gente: parole, scelte e gesti che ci racconta don Pier Giuseppe Accornero.

di Pier Giuseppe Accornero

Aveva ragione il presidente della Repubblica a dire l’8 giugno, nella prima visita a Papa Francesco: “La sentiamo, Santità, profondamente vicino. Lei è divenuto figura familiare e cara agli italiani”, dipingendo i due Colli, Quirinale e Vaticano, molto vicini, che si guardano con simpatia.

Cento giorni dopo l’elezione, la sera del 13 marzo, il Papa ha conquistato la fiducia dell’85 per cento degli italiani. È uno dei dati più significativi dell’indagine condotta dall’Istituto Demopolis che conferma lo straordinario impatto sull’opinione pubblica del Pontefice argentino. L’apprezzamento cresce al 96 per cento tra i cattolici, all’87% tra le donne e raggiunge un corposo 65% tra i non cattolici e i non credenti, che ha un precedente solo negli anni più intensi del pontificato di Giovanni Paolo II. Spiega Pietro Vento, direttore di Demopolis: “L’impatto di Papa Bergoglio sull’opinione pubblica risulta straordinario: a colpire maggiormente sono la spontaneità e il linguaggio, evidenziati dal 75% degli intervistati; ma anche la semplicità e la vicinanza alla gente, citate da quasi 7 intervistati su 10. Incide sul 63%, anche l’attenzione mostrata nei primi mesi verso i più deboli”.

Più di 8 italiani su 10 apprezzano la scelta, per la prima volta nella storia, del nome Francesco. La conferma viene anche dalle parole che finora hanno maggiormente colpito l’opinione pubblica, quelle dette il 16 marzo a migliaia di giornalisti di tutto il mondo ricevuti dopo l’elezione: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Parole molto apprezzate, presumibilmente anche perché stiamo vivendo il periodo più doloroso e nero della crisi economica.

Due, in particolare, i gesti che hanno colpito maggiormente gli italiani in questi primi 100 giorni: l’incontro storico del 23 marzo tra i due Papi, Francesco e l’emerito Benedetto, a Castel Gandolfo (76 per cento) e la lavanda dei piedi il Venerdì Santo, 28 marzo, ai giovani detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo (57 per cento). Tutto questo – secondo Demopolis – incide sul rapporto tra opinione pubblica e Chiesa: dopo un periodo di profonda crisi, torna a crescere la fiducia degli italiani nella Chiesa che si attesta al 63%, più di 15 punti sopra il dato rilevato in gennaio.

Crescono anche le aspettative: se il 26% è comunque scettico, la maggioranza assoluta degli italiani è convinta che Papa Francesco spingerà per un profondo rinnovamento della Chiesa.

Rinnovamento che avverrà in chiave di semplicità e austerità, di povertà e autenticità, in una parola una Chiesa che vive e annuncia il Vangelo, quindi povera per i poveri, sobria, essenziale, materna e fraterna. Le novità in questi tre mesi – nelle parole e soprattutto nelle scelte e nei gesti – sono state molte. Pochi giorni fa ha annunciato che porterà a termine l’enciclica che stava preparando Papa Benedetto sul tema della fede, perché il 2012-2013 è l’Anno della fede. C’è chi classifica il Vescovo di Roma come “progressista” o come “conservatore”, ma sono categorie che non reggono. C’è chi spinge perché faccia in fretta le nomine in Curia e le riforme.

Le prime nomine, soprattutto quella del Segretario di Stato – perché il cardinale Tarcisio Bertone il prossimo 2 dicembre compirà 79 anni – non arriveranno prima dell’autunno. Perché dal 1° al 3 ottobre si riuniranno a Roma sotto la sua presidenza gli 8 cardinali che il 13 aprile ha nominato “per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica ‘Pastor bonus’ sulla Curia Romana”.

Gli 8 cardinali sono: Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato della Città del Vaticano, ente formalmente al di fuori della Curia, unico italiano e candidato alla Segreteria di Stato; Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo emerito di Santiago (Cile), che è stato vicepresidente dell’episcopato latinoamericano; Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay (India), segretario dell’episcopato dell’Asia; Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco (Germania), dal 29 marzo 2013 presidente degli episcopati della Comunità europea (Comece); Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo), che fu presidente del Sinodo dell’ottobre 2012; il cappuccino Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston (Stati Uniti d’America); George Pell, arcivescovo di Sydney (Australia); il salesiano Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras), membro della Segreteria generale del Sinodo e coordinatore del gruppo. Segretario è mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, che fu segretario speciale del Sinodo 2001.

Il 4 ottobre il Papa porterà con sé questi 8 cardinali ad Assisi nella festa di San Francesco il Poverello. La chiave di lettura e di interpretazione di questo Papa sta nelle prime parole che ha detto presentandosi la sera del 13 marzo dalla loggia centrale esterna di San Pietro. Dopo il saluto diretto e spontaneo “Fratelli e sorelle, buonasera”, ha aggiunto: “Adesso incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese”. Il Vescovo di Roma e il popolo. Non è una scelta populista, ma radicalmente evangelica. Gesù qualifica i suoi rapporti con la gente come quelli del “Buon Pastore e il suo gregge”.

Sui progetti di riforma, giornali e media continuano a fare fantasiose illazioni e attribuiscono a Papa Francesco intenzioni che assolutamente non ha, o non ha manifestato. Tanto che l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, il terzo della gerarchia vaticana dopo il Papa e il Segretario di Stato, ha dovuto intervenire con un’intervista a “L’Osservatore Romano”. Illazioni che si sono moltiplicate dopo la nomina degli 8 cardinali. I giornali hanno parlato di “bilanciamento di poteri, moderatori, coordinatori, superministeri dell’economia, rivoluzioni”. Spiega Becciu: “Il Papa non ha ancora incontrato il gruppo di consiglieri e già i consigli piovono: dopo avere parlato con il Papa, posso dire che è assolutamente prematura qualsiasi ipotesi sul futuro assetto della Curia. Papa Francesco ascolta tutti, e in primo luogo chi ha scelto come consiglieri, poi imposterà un progetto di riforma”.

Qualche spirito più fantasioso ha previsto la soppressione dello Ior, Istituto opere di religione, soppressione della quale il Papa non ha mai parlato. Spiega mons. Becciu: “Il Papa è rimasto sorpreso nel vedersi attribuite frasi che non ha mai pronunciato e che travisano il suo pensiero. L’unico cenno è stato in un’omelia a braccio, ricordando che l’essenza della Chiesa è la storia di amore tra Dio e gli uomini, ha detto come le strutture umane, tra cui lo Ior, sono meno importanti. Il riferimento era motivato dalla presenza alla Messa di alcuni dipendenti dell’Istituto”.

È anche molto significativo quello che Papa Francesco due giorni fa ha detto ai 150 nunzi apostolici di tutto il mondo, riuniti a Roma per l’Anno della fede: nel vagliare i sacerdoti candidati all’episcopato, i nunzi devono segnalare “pastori vicini alla gente”, che “non siano ambiziosi” e non aspirino all’incarico e che non cerchino in continuazione, una volta nominati, di essere promossi a una sede più importante. Papa Bergoglio traccia un identikit del vescovo ideale e stronca il carrierismo ecclesiastico. Ha detto ai nunzi: “Voi conoscete la celebre espressione che indica un criterio fondamentale nella scelta di chi deve governare: Si sanctus est oret pro nobis; si doctus est doceat nos; si prudens est regat nos. Se è santo preghi per noi, se è dotto ci insegni, se è prudente ci governi. Siate attenti che i candidati siano pastori vicini alla gente, padri e fratelli, miti, pazienti e misericordiosi”. I candidati all’episcopato devono amare “la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, non devono avere una psicologia da ‘prìncipi’. Non siano ambiziosi, non ricerchino l’episcopato e siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra”.

Inoltre i candidati all’episcopato “siano capaci di ‘sorvegliare’ il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto ciò che lo mantiene unito; di ‘vigilare’ su di esso, di avere attenzione per i pericoli che lo minacciano; ma soprattutto siano capaci di ‘vegliare’ per il gregge, di fare la veglia, di curare la speranza, che ci sia sole e luce nei cuori, di sostenere con amore e con pazienza i disegni che Dio attua nel suo popolo”. Il modello del vescovo è San Giuseppe, “che veglia su Maria e Gesù, alla sua cura per la famiglia che Dio gli ha affidato, e allo sguardo attento con cui la guida nell’evitare i pericoli. Per questo i pastori sappiano essere davanti al gregge per indicare la strada, in mezzo al gregge per mantenerlo unito, dietro al gregge per evitare che qualcuno rimanga indietro e perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto nel trovare la strada”. Anche in questo discorso Papa Francesco ha tratteggiato i rapporti che devono intercorrere tra il vescovo e il suo popolo, il vescovo in cammino con il suo popolo.

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