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L'intervista

Fabi ancora a Bergamo: “Amo il Lazzaretto, ogni mio tour passa da qui”

Il cantautore romano torna sotto le Mura venete con "Ecco", il suo ultimo lavoro: "Dopo anni di musica ho cercato di non essere scontato e prevedibile con canzoni che sono piccoli sfoghi di vita e di quotidianità".

di Luca Bassi

Diresti che Niccolò Fabi ha fatto un viaggio di conoscenza, ascoltando il suo ultimo album che è bello come un arcobaleno nato dal nulla dopo il temporale, come le Mura venete di Città Alta quando compaiono all’improvviso. Diresti che ha conosciuto, lì dove è stato, una persona che gli ha spiegato tutto quello che c’è da sapere, quelle cose che tutti, ogni giorno, cerchiamo di scoprire. Nella vita, nell’amore, nel lavoro. Ma anche nel desiderio, nel ricordo, nella mancanza.

Nulla è dato per scontato in quel disco uscito nell’ottobre scorso che il cantautore romano porterà a Bergamo al Summer Sound Festival organizzato da Promoberg il 18 giugno, sul prato del Lazzaretto. Lì, dentro quelle dodici canzoni non c’è nessuna presunzione, nessuna arroganza, nessuna retorica ma tanta luminosa indulgenza. Quella stessa indulgenza che Fabi ha voluto riassumere con il titolo del suo settimo splendido album: "Ecco".

Il cantautore romano tornerà a Bergamo come ogni anno, innamorato di quel Lazzaretto che lui stesso definisce "un posto straordinario, perfetto per fare musica. Un posto che amo e in cui cerco sempre di tornare con i miei tour".

Perché le piace così tanto?

"Non è una ruffianata, sia chiaro. Il Lazzaretto di Bergamo è davvero una location splendida: aperto ma raccolto, cordiale ma intimo. Insomma, è perfetto per chi suona".

Tornerà a Bergamo con "Ecco", la sua grande novità che sta avendo un successo straripante. Se l’aspettava?

"Sto ricevendo dei riscontri importanti, è vero. Devo ammettere che appena ho inciso ‘Ecco’ ho capito di aver fatto un disco molto sensato, un lavoro sentito. E vi posso assicurare che dopo anni di carriera questa non è più una cosa ovvia: quando si fa un mestiere per tanto tempo si rischia di diventare scontati e noiosi, sempre meno spontanei. Io ho cercato di difendermi da queste cose e penso di esserci riuscito".

Quanto c’è della sua vita privata e di quel grande dolore che l’ha investita nel luglio del 2010 in quest’ultimo album?

"Le mie canzoni hanno sempre una piccola dose di quotidianità nella loro base perché credo che ogni brano debba essere un piccolo sfogo per aiutarci a capire la realtà, un piccolo spiraglio per darci equilibrio tra i problemi di tutti i giorni".

Il titolo di una canzone è "Indipendente": cos’è per lei l’indipendenza a 45 anni?

"E’ una sicurezza nelle aspettative, nei desideri. L’ho scritta pensando e cercando di essere indipendente da tutte le pressioni alle quali ogni giorno siamo sottoposti. Ma attenzione: essere indipendenti non significa fare ciò che si vuole, quando si vuole e come si vuole, significa anche saper ascoltare i segnali che ci arrivano dall’esterno. Quella di cui ho parlato è un’indipendenza che dev’essere condivisa, altrimenti serve a poco".

Con "Lontano da me", invece, parla di un viaggio come una rinascita. Ma lei, tra lavoro, famiglia e impegni vari, quando riesce ad essere lontano da se stesso?

"E’ difficile, sempre più difficile. Ma per me è fondamentale trovare dei momenti in cui raggiungo quell’isola di solitudine che mi permette di staccare la spina per valutare quello che ho, quello che ho fatto e, soprattutto, per capire dove voglio andare ogni volta. E anche in quei momenti resto comunque aggrappato alle mie responsabilità".

Con "Ecco" cerca di riavvolgere un nastro per tornare verso un punto di partenza. Potesse tornare indietro, cosa cambierebbe della sua carriera?

"Sarebbe un’operazione piuttosto complicata perché se si cambiano degli elementi dal passato si condiziona inevitabilmente il presente. Spesso mi dico: perché sono andato al Festival di Sanremo con una canzone tanto stupida? Ma se tornassi indietro e cancellassi ‘Capelli’ forse oggi non sarei qua. Gli avvenimenti importanti del nostro passato non vanno mai toccati perché sono quelli che ci hanno forgiato, che ci rendono quello che siamo oggi".

Ma 17 anni dopo "Capelli" quant’è cambiato Niccolò Fabi?

"Tanto, tantissimo, ma alla fine sono sempre io, il Niccolò Fabi di sempre. Ogni volta che ascolto quella canzone è come se guardassi una vecchia foto dove sono immortalato con un maglione imbarazzante: rido per quell’indumento, mi chiedo come ho fatto a comprarlo e a indossarlo ma poi, se guardo gli occhi e cerco l’espressione di quel viso, capisco che sono io".

Cantautore, poeta, intimista: lei come si definirebbe?

"Semplicemente musicista, anche se pure le altre tre definizioni mi piacciono: cantautore è una parola vetusta, forse anche un po’ noiosa ma che alla fine spiega la fortuna che hanno quelli che fanno il mio mestiere: mettere a disposizione del pubblico la sensibilità, le emozioni, gli stati d’animo. Poeta è un po’ troppo, meglio dire che provo sempre ad essere poetico".

E intimista?

"Tutti quelli che scrivono sono intimisti perché affrontano il grande miracolo della musica. Vi spiego cos’è questo miracolo: uno scrive da solo, dà sfogo a quello che prova in un determinato momento, senza palco, senza pubblico, e poi si trova a cantare davanti a migliaia di persone, rendendo accessibile a tutti quello che poco tempo prima era stato un momento tutto suo. E’ stupenda questa cosa".

Lei ha aderito al progetto "Riparte il futuro" firmando la petizione che chiede ai politici di revisionare la legge anticorruzione in tempi brevi. La situazione del nostro Paese la preoccupa?

"Certo che mi preoccupa. Io prima di essere un musicista sono un cittadino, un consumatore, un elettore, un padre, e in questo momento non posso far finta di non vedere. Il mondo e il nostro Paese sono sempre più ostaggi dei desideri capitalistici di chi ci governa. E a tutta questa gente dico: cosa lasceremo ai nostri figli? Serve un’inversione di rotta al più presto, un Governo che riesca a guardare avanti, oltre agli interessi dei singoli".

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