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Assemblea ubi

Resti: “Non ho bacchette magiche, ma idee chiare sulle cose da fare”

Pubblichiamo l'intervento di Andrea Resti, candidato per la lista "Ubi Banca Popolare!". Su Resti sono convenuti anche i voti della lista di Giorgio Jannone.

Buongiorno, sono Andrea Resti, capolista di “UBI, banca popolare!”. Insegno alla Bocconi, private banking e gestione dei rischi (quindi mi occupo di capire i pericoli su cui una banca può “saltare”), ma non sono un topo di biblioteca. Ho lavorato sette anni nella direzione della Comit. Ho collaborato ai piani strategici e al controllo dei rischi di molte grandi banche. Ho accettato di candidarmi in continuità con altri momenti della mia storia personale, come fare il consulente dei magistrati che indagavano su Antonveneta (i cosiddetti “furbetti del quartierino”) o Mariella Burani, o accettare un incarico all’autorità bancaria europea senza ricevere compenso.

Sono anche papà di due bambini. Vi chiederete cosa c’entra. C’entra moltissimo con ogni cosa che faccio. Perché cerco di guardare il mondo con i loro occhi, di credere nelle regole e nelle persone e di fare qualcosa di cui, un giorno, possano essere fieri.

  In queste settimane ho parlato poco e ascoltato molto. Ho registrato preoccupazione per una banca che ha tradito il proprio DNA di banca del territorio per fare utili con la finanza, dove quest’anno ti va bene e il prossimo va male (perché i profitti di oggi sono la contropartita di rischi nascosti nel tuo bilancio). Che presta tanto alle grandi imprese, anche quelle a rischio, sottraendo risorse ai piccoli imprenditori. Che immobilizza denaro in partecipazioni ricavandone forti perdite. Che manda via centinaia di dipendenti senza tutelare e motivare chi resta.

Non ho bacchette magiche, ma ho le idee chiare su due cose da fare.

La prima è dare l’esempio con un forte taglio delle poltrone e dei benefit. Un consiglio di sorveglianza a 23 costa l’ira di dio e funziona male, perché non consente il contraddittorio. Il duale va benissimo, purché vi sia una netta distinzione tra chi gestisce e chi sorveglia, senza ascensori che portano dal piano di sotto al piano di sopra (col risultato che qualcuno si trova a sorvegliare le conseguenze delle scelte gestionali che lui stesso ha compiuto in passato). Il modello federale è prezioso, ma non sia il pretesto per moltiplicare gli incarichi. Il top management deve legare la sua retribuzione a quella dei colleghi più giovani, con un multiplo massimo oltre il quale non si va. Perché o si cresce tutti insieme o non si cresce. Chi taglia ha il dovere morale di tagliare ovunque, anche sui consulenti che sfornano piani strategici con lo stampino, senza tenere conto delle preziose peculiarità delle grandi banche locali che hanno dato origine a questo gruppo. Per rimettere in moto le energie si ricominci dal rispetto verso chi tutti i giorni alza la serranda e presta la sua faccia alla banca. Per esempio privilegiando le carriere interne e non il calciomercato dei dirigenti. Perché vorrei una banca dove è possibile entrare cassiere e fare il direttore generale.

La seconda cosa è liberarsi dei pesi morti imposti dai centri di potere. Sono un lusso che non possiamo più permetterci. Dobbiamo guardare l’elenco dei grandi debitori e cancellare, senza timori reverenziali, quelli che non creano profitti ma solo rischi.

  Certo, ora tutti fanno discorsi simili, anche i vecchi amministratori. A loro io chiedo: se ci credete e siete liberi di farlo, perché non l’avete già fatto? Perché per farlo occorre rompere con il passato, perché solo la discontinuità e l’indipendenza possono garantire che ogni decisione venga presa nell’interesse di tutti, e non per riconoscenza a questo o quel grande elettore. Rimuovendo rendite di posizione e oneri impropri.

Noi abbiamo investito in tutto 300 euro a testa per il fondo cassa e questo è tutto ciò che abbiamo speso in previsione di questa assemblea. Abbiamo le capacità, l’indipendenza, la sobrietà per cambiare. Siamo liberi perché tra tre anni abbiamo un mestiere a cui tornare. Questo ci ha permesso di cercarci i voti a uno a uno, e non raccogliendo “pacchetti” che portano con sé debiti e vincoli per la gestione.

Crediamo nella discontinuità e nella necessità di un ricambio. Consentitemi di partire da un piccolo esempio. Questa è la lettera ai soci, un fascicolo patinato stampato, credo, in circa 100 mila copie. Imbustato, affrancato, spedito, il tutto a spese della banca, cioè dei soci, di tutti voi, anche mie. Questo fascicolo, dopo aver presentato il lavoro degli attuali amministratori in termini ovviamente lusinghieri, dedica le ultime due pagine a un comunicato a sostegno della lista numero uno. Io mi sarei aspettato che venisse dato uguale spazio a tutte e tre le liste e sono rimasto fortemente meravigliato da questa iniziativa.

Intendiamoci: non ho nulla in contrario al fatto che i manager della banca dichiarino la propria preferenza per una lista. Mi sembra, anzi, un gesto positivo che denota attaccamento al bene comune. Per conto mio, il dottor Masnaga, come chiunque altro, lunedì mattina dovrebbe presentarsi nel suo vecchio ufficio con le maniche già rimboccate.

Quello che mi turba è la confusione tra la banca, che è di tutti, e i suoi amministratori pro tempore. L’utilizzo di un bene della banca, come la lettera ai soci, a favore di qualcuno rispetto ad altri. Credo che questa confusione sia stata commessa in buona fede, ed è proprio questo che mi preoccupa. Se posso esprimermi con un’immagine scherzosa, mi pare che si fatichi a distinguere dove finisce il fondoschiena e dove comincia la poltrona. Questo è un segnale preoccupante, che mi rafforza nella convinzione che oggi serve un forte segnale di cambiamento.

Vengo a un ultimo, importante messaggio.

Oggi potete scegliere perché il voto sarà davvero segreto: lo garantisce la Consob e chi provasse a barare commetterebbe reati puniti con il carcere. Non votatemi se pensate che io sia incapace o disonesto, ma non perché avete paura di cambiare. E’ un’occasione unica per riprendere in mano la nostra banca. Non abbiate paura.

La persona meno realista del mondo è il cinico, non il sognatore. Specialmente se sogna con i piedi per terra, guardando ai fatti con intelligenza e con coraggio.

Grazie, Andrea Resti

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