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The beautiful ones

Gabbani, Calcutta, Cosmo: la rivincita dell’indie-pop italiano

Da Cosmo agli Ex-Otago, da I cani a Calcutta, da Francesco Gabbani a Ermal Meta, da Patrick Benifei e The Giornalisti a Leo Pari, mai come in questo periodo l’attenzione per il genere pop-elettronico italiano – definito più semplicemente “indie” o “indie-pop” – da parte dei media, tutti, aveva raggiunto un così alto livello.

Che qualcosa stava però cambiando nel panorama musicale italiano lo si era già capito con l’esplosione (meritata) di Levante, grazie soprattutto alla hit “Alfonso”, diventata un tormentone nell’estate del 2014.

Più recente invece la vittoria di Francesco Gabbani al Festival di Sanremo nella categoria “Giovani” (incetta di premi per lui e la sua “Amen”, tra cui Premio della Critica “Mia Martini” e il Premio Sergio Bardotti per il miglior testo, scritto a quattro mani con Fabio Ilacqua, di tutto il Festival).

“Un visionario mistico all’università
mi disse l’utopia ci salverà”
Amen di Francesco Gabbani

Festival che ha visto la partecipazione anche del cantautore albanese (naturalizzato italiano) Ermal Metal con il brano “Odio le favole”. Pur essendo i due interpreti più “commerciali” tra quelli dinnanzi citati, sono stati loro (e i relativi brani) a ridare spazio a livello mediatico al nuovo cantautorato italiano, sempre più contaminato dalla musica elettronica e dalle ritmiche pseudo dance, con testi spesso impegnati e dalla scrittura non proprio convenzionale.

“Odio le favole e il gran finale perché
quello che conta è qualcosa per cui una fine non c’è”.
Odio le favole di Ermal Meta

Cosmo (Marco Jacopo Bianchi), con “L’ultima festa” (si racconta il Carnevale di Ivrea) non ha avuto paura di rischiare: la sua musica “parla” un linguaggio nuovo, impreziosito dalle esperienze personali e dalla sperimentazione, strizzando l’occhio (in questo caso dovremmo dire l’orecchio) alla più classica musica da club.

La scrittura è spiccatamente pop e guarda in direzioni e mondi apparentemente lontanissimi ma nel contempo così vicini. Nei passaggi “Se c’è un limite lo posso spostare, più in la, più giù” e “bevo la notte, sfido la morte, rido perché il cuore mi scoppia” ci si può leggere di tutto: dall’inno generazionale alla fastidiosa verità di un malessere celato dietro all’uso (o abuso) di alcol e droghe, dalla insicurezza e fragilità di un uomo alla sua irrefrenabile spavalderia.

Il suo nuovo album dal titolo omonimo (“L’ultima festa”), uscito ad aprile, sarà supportato da un tour (già partito lo scorso 9 aprile da Napoli) che vedrà Cosmo sul palco con due musicisti che cercheranno di proporre in chiave live le sonorità molto elettroniche dell’album, in uno spettacolo del tutto inedito.

Nel 2010 con il nome I cani, il cantautore capitolino Niccolò Contessa carica due brani su SoundCloud e su YouTube, raggiungendo in brevissimo molti ascolti e visualizzazioni, diventando presto un fenomeno virale ancor prima di aver pubblicato alcunché.

Contessa preferisce mantenere l’anonimato e, anziché diffondere in rete foto in cui è ritratto, promuove la sua musica con polaroid di varie razze di cani arrivando a dichiarare “Vediamo ogni giorno troppe band, troppi nomi, troppi servizi fotografici, troppe facce. Credo che il pubblico sia desensibilizzato all’immagine di band e alla rappresentazione classica di band, quindi conviene puntare su altro, ad esempio foto di cagnolini”.

Dopo i singoli “Baby soldato” e “Il posto più freddo”, il progetto musicale ideato dal cantautore capitolino, grazie a “Non finirà”, ultimo singolo de I Cani estratto da “Aurora” (terzo album in studio della pop-rock band romana), prende il volo e ottiene ottimi consensi dalla critica e dal pubblico, oltre a discreti passaggi radiofonici. Interessante anche il videoclip realizzato a supporto.

S’intitola “Cosa mi manchi a fare”, ed è il singolo che anticipa l’uscita di “Mainstream”, il nuovo album di Calcutta (all’anagrafe Edoardo d’Erme), considerato da tutti come il vero nuovo fenomeno dell’indie italiano. Il brano è un’anticipazione semantica dell’intero album, tutto giocato sull’amore e sui problemi di coppia, temi descritti con la spontaneità delle parole semplici: la fine di un amore raccontata attraverso la tenerezza di Alim Hemanto, un paffuto bambino cingalese, protagonista del video, che si aggira senza meta, triste e sconsolato, nel quartiere romano di Torpignattara. “Vederlo cantare la mia canzone ha un effetto molto poetico. Mi è sembrato un po’ strano solo all’inizio, perché è un bambino cingalese che vedo spesso nel ristorante del papà, lì alla fermata Pigneto. Avevo scritto la canzone tempo fa con una tastiera. Ho ritrovato un filmato dove la cantavo sbronzo a Spinaceto, alla casa dello studente, quando studiavo portoghese, perché un mio amico mi aveva chiesto di registrarla”, racconta Edoardo.

A generica

Hemanto, tragicomicamente, racconta la sua delusione amorosa a ogni persona che incontra, fingendo di aver superato la tristezza dell’abbandono. Dal barbiere pakistano al lavamacchine egiziano, tutti lo osservano ma nessuno sembra prestargli davvero attenzione.

“E non m’importa se non mi ami più
e non m’importa se non mi vuoi bene
dovrò soltanto reimparare a camminare se non ci sei tu”

Il dolore, quello individuale, per sua intrinseca natura, ci rende soli, completamente soli. Anche chi finge di ascoltarci offrendoci un’alternativa al dolore, alla mancanza o reale perdita, in verità non fa altro che gettare sale sulle sanguinanti ferite del cuore, quella morsa allo stomaco (che si stringe sempre di più), quel incolmabile vuoto che si crea quando si va a scavare nei ricordi. Il dolore è nostro è purtroppo nessun altro può realmente prendersene una parte, per cui quello che possiamo condividere di questo brano è il testo; la sua cruda e fredda analisi del dolore (che poi sarà vissuto diversamente da ciascuno di noi); lo spaccato della realtà di oggi dove relazioni, famiglia e amore sono vittime della cultura “digitale”; l’accattivante melodia.

Il vero senso è racchiuso in un semplice concetto, cioè che spesso basta un semplice gesto a salvarci dalla quotidiana tristezza della realtà.

“E non mi importa se non mi ami più, e non mi importa se non mi vuoi bene
Dovrò soltanto reimparare a camminare, dovrò soltanto reimparare a camminare
Se non ci sei tu…”
Cosa mi manchi a fare di Calcutta

“Otago è il nome di una squadra di rugby della Nuova Zelanda che ogni anno vince il campionato contro ogni pronostico. Fantastico! Suona bene e ci piace pure il concetto! Bene… dopo 5 minuti non ci piaceva più. Ci siamo sciolti e riformati come Ex-Otago. Tutto questo in 10 minuti. Il trattino? Ci piaceva!”.

Gli Ex-Otago si formano a Genova nel 2002 come trio acustico inizialmente composto da Maurizio Carucci, Alberto Argentesi e Simone Bertuccini. Nel 2004 si unisce al gruppo anche un batterista, Simone Fallani. In dieci anni (2002-2012) pubblicano tre album, di cui uno con il supporto di Davide Bertolini (produttore dei Kings Of Convenience). Nel 2012 Alberto “Pernazza” Argentesi lascia la band che vivrà anni di cambiamenti, anche artistici: pubblicherà altri album, un libro fino ad arrivare (con una nuova formazione Carucci, Bertuccini, Martellacci) alla pubblicazione – nei primi mesi di quest’anno – del singolo “Cinghiali incazzati”, primo estratto dal loro quinto album, dal titolo “Marassi”, in uscita dopo l’estate.

A generica

“Cinghiali incazzati” parte benissimo in radio, conquistando anche platee d’ascolto atipiche per la band ligure. Elettronica essenziale, synth dal malinconico “colore” di fine anni 80, chitarre dai giri melodici semplici ma efficaci, tutto ciò che serve a un brano indie-pop per diventare un “crossover” (definizione che piace tanto ai programmatori musicali delle emittenti radiofoniche italiane).

“Siamo filosofi operai, facendieri disperati, cinghiali incazzati… ed io non sono un uomo, almeno non ne sono sicuro!”

Vent’anni di musica ad altissimo livello partecipando ad alcuni dei progetti italiani più importanti per Patrick Benifei che ha da poco pubblicato il suo singolo d’esordio come solista: Sono qui. Un vero talento, un artista soul dalla voce calda, vellutata e allo stesso tempo riconoscibile.

A generica

Se per il pubblico dei grandi numeri può essere considerato un “emergente” ma Patrick ha un background e uno storico di tutto rispetto: ha prestato la sua voce per tantissimi progetti musicali, tra cui la hit dance “After the rain” di Fedo Mora & Camurri, oltre alle collaborazioni con esponenti della scena hip-hop e urban italiana come Ensi, Zibba e Mecna. Oltre ad essere un ottimo cantate è anche un affermatissimo musicista. Negli anni ha collaborato con Neffa, Ghemon, Coez, ha accompagnato, nel 2014, Ron sul palco di Sanremo e ha anche sonorizzato diversi spot tra cui uno per la Ferrari 488 Spider Unveil 2015.

La svolta artista di Patrick arriva proprio grazie a Ron, che colpito dal suo straordinario talento a tutto tondo, lo sprona a lavorare su un progetto solista che vede la luce in questa primavera 2016: “Sono qui” è una canzone estiva, orecchiabilissima, dal sound internazionale (furbi i richiami all’elettronica melodica di Kygo) che dimostra tutta la potenzialità di questo artista: una sicura hit!

Ermal Meta, eccentrico cantautore e compositore albanese naturalizzato italiano, conquista la notorietà grazie al gruppo “La Fame di Camilla” (fondato nel 2007), con il quale realizza tre album partecipando a una serie di importanti eventi come il Festival di Sanremo (2010), presentando in gara nella sezione giovani il brano “Buio e luce”, e l’Heineken Jammin’ Festival, suonando insieme ad artisti del calibro di Stereophonics, The Cranberries e Aerosmith.

A generica

In seguito allo scioglimento del gruppo, Ermal intraprende l’attività di autore, che lo porta – negli anni – a scrivere brani per molti interpreti italiani come Marco Mengoni, Emma, Francesco Renga, Patty Pravo, Chiara, Francesca Michielin, Giusy Ferreri, Francesco Sarcina, Annalisa e Lorenzo Fragola.

Agli inizi del 2014 realizza il brano “Tutto si muove”, inserito nella colonna sonora della fortunata serie televisiva “Braccialetti rossi”, mentre a ottobre dello stesso anno pubblica “Lettera a mio padre”.

Sul finire del 2015 arriva il singolo “Odio le favole”, protagonista (nella categoria giovani) al Festival di Sanremo 2016. A febbraio di quest’anno il primo album in studio da solista: “Umano”.

La critica li osanna e i fan cantano i loro brani come se fossero degli inni generazionali, i “Thegiornalisti” (reduci dal concerto del Primo Maggio) si formano a Roma nel 2009.

Si autoproducono i primi due dischi nati e scritti nel salotto di casa, così che a settembre 2011 esce prima “Vol.1” e qualche mese più tardi “Vecchio”. Nel 2014 esce “Fuoricampo” (interamente prodotto da Matteo Cantaluppi), album che riscuote un discreto successo di critica e di pubblico.

A generica

Sono stati ospiti a #Staiserena, il programma di Serena Dandini su Radio2, a Quelli che il calcio da Nicola Savino su RAI2, a Webnotte su RepubblicaTV con Antonello Venditti e in altre emittenti radiotelevisive. Dall’album “Fuoricampo” viene estratto il brano “Fine dell’estate”.

“Davanti a questo gin tonic vi dico che sono completamente devastato dall’amore e tra qualche giorno uscirà una canzone che si chiama Tra la strada e le stelle”. Confessa Tommaso.

Thegiornalisti sono: Tommaso Paradiso, Marco Antonio Musella, Marco Primavera e dal vivo sono accompagnati da Gabriele Blandamura al basso.

“Spazio è il suono della mia infanzia”. Il cantautore romano Leonardo “Leo” Pari torna con un nuovo album dal titolo “Spazio”, un progetto pop di qualità che richiama Lucio Battisti, le sonorità tipiche degli anni ‘80 (specialmente per i synch) sapientemente miscelate ai suoni attuali più cool.

“Bacia Brucia Ama Usa” è il brano che cattura l’attenzione e fotografa perfettamente il concetto pop di Leo. I testi dei brani dell’album ti s’incollano in testa e creano dipendenza. Spazio è un progetto completamente diverso rispetto ai precedenti due album (“Rèsina” e “Sirèna”) molto più folk: “Volevo cambiare, semplicemente avevo voglia di fare qualcosa di diverso. L’utilizzo dei sintetizzatori è solo legato al fatto che c’era intenzione di fare un disco che fosse autobiografico, che parlasse della mia infanzia, ma che parlasse di quel periodo attraverso i suoni più che i testi, in questo caso molto pop, generali, universali. Il sound del disco è molto legato, invece, a quello che sentivo da ragazzino: le colonne sonore di film di fantascienza, cartoni giapponesi, ad esempio mi vengono in mente La Storia Infinita, Labyrinth, Star Trek o Star Wars. Il ritorno all’infanzia c’è un po’ in tutti i cantautori, penso a Venditti, a Baglioni, a un pezzo come Mesopotamia di Battiato, è un tòpos abbastanza diffuso. Quello dell’infanzia è un periodo particolare, in cui ci si forma, e in quanto lontano ha sempre qualcosa di romantico, quindi prima o poi ci si arriva, anche se nell’album, in verità, non c’è nemmeno un testo che parli realmente dell’argomento, forse solo Ave Maria che ricorda quando andavo a scuola dalle suore e dai preti”. Racconta Leo.

Bellissima anche “I cantautori”. In questo brano Leo li definisce “depuratori della società”, dando di loro un’immagine di purezza.

“Ultimamente credo che nell’arte stia succedendo che, per essere riconoscibili, gli artisti stiano cercando di diventare delle caricature di se stessi, portando allo stremo una loro caratteristica per essere riconoscibili all’interno del marasma. Non credo che tutti siano ‘one way’ nella vita, credo che ogni artista abbia diverse velleità di vario tipo, di conseguenza il cantautore, secondo me, dovrebbe farsi un po’ carico di percepire nell’aria alcune intuizioni, alcune emozioni, come un’antenna, elaborarle e scrivere restituendo quella sensazione ormai microfiltrata e depurata. I cantautori prendono a volte quello che c’è di più sporco, di più triste, di più mesto, e lo rendono una canzone che piace, che fa sognare o commuovere”.

In passato Leo ha collaborato, come autore, con Simone Cristicchi per il quale scrisse “Vorrei cantare come Biago Antonacci”.

“Spazio” è diventato anche un tour ma il sogno del suo interprete è quello di portare “Battisti” in teatro…

Francesco Gabbani è un cantautore e polistrumentista toscano. A 9 anni incomincia a studiare la chitarra e trascorre poi l’adolescenza in un vortice emozionale che gli fa capire che esprimersi con la musica è la sua ragione di vita.

A generica

A 18 anni firma il suo primo contratto discografico che lo porta, con il progetto “Trikobalto”, a registrare un album prodotto da Alex Neri e Marco Baroni dei Planet Funk.

I Trikobalto suonano in importanti festival italiani tra i quali l’Heineken Jammin Festival, partecipano alle serate targate RockTV e aprono, al BlueNote di Milano, una data italiana degli Oasis.

Nella primavera del 2010, Francesco decide di lasciare la band per intraprendere la carriera da solista. Nel 2013, esce per l’etichetta indipendente DIY Italia, il suo primo album ufficiale Greitist Iz, dal quale vengono estratti i singoli “I dischi non si suonano” e “Clandestino”.

Nel 2016 si presenta, con “Amen”, alle selezioni di Sanremo Giovani. Scelto e votato dalla giuria, Francesco supera le selezioni e approda all’Ariston.

Amen, brano scritto a quattro mani con Fabio Ilacqua, rappresenta appieno il mondo musicale di Gabbani. Dietro ad una semplice freschezza melodica si cela infatti una sarcastica intenzione a sollecitare riflessioni sul modo di vivere dei nostri tempi.

Amen vince il Festival di Sanremo – categoria Giovani, oltre al Premio della Critica (Categoria Giovani) e il Premio Sergio Bardotti come miglior testo di tutto il Festival (giovani e big). Amen oltre al successo conquista in breve tempo anche il disco d’oro.

“Eternamente ora” è il suo nuovo album solista, è composto da otto tracce inedite, tra cui (oltre naturalmente ad “Amen”) “Software”, “In equilibrio”, “Il vento si alzerà” e (l’omonima) “Eternamente ora”. Un disco importante, ricco di elettronica, che segna una svolta nella carriera artistica di Francesco e che rappresenta appieno il nuovo viaggio “sonoro” che ha intrapreso e che l’ha portato a essere accostato (ed in alcuni casi paragonato) dai media a leggende del calibro di Franco Battiato, Lucio battisti e Adriano Celentano.

“Eternamente ora dà nome all’album e parla dell’importanza del sentimento che viviamo, perché il rapporto sentimentale, che non deve essere per forza uomo-donna, uomo-uomo, donna-donna amoroso, ma anche un rapporto d’amicizia o dove c’è una condivisione, deve essere considerato nel presente, nel momento in cui lo si vive, senza avere troppe paure che vengono dal passato o preoccupazioni cervellotiche su quel che sarà il futuro. Bisogna viversi il presente. Vivere il presente ha anche un sapore più duraturo se vogliamo” spiega Francesco.

Dopo tanta gavetta per tutti – Gabbani (Trikobalto), Ermal Meta (Ameba 4, La Fame di Camilla), Niccolò Contessa (ex leader del gruppo elettronico Tavrvs e bassista di La Routine), Patrick Benifei (ex tastierista dei Casino Royale), Leo Pari (Collettivo Dal Pane) – è giunta l’ora di godersi il meritato successo nella speranza che “ora” rimanga “eternamente ora”!

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