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L'intervista

Caniggia: “Che spasso le gare in auto con Doni…”

Pubblichiamo la bella intervista rilasciata da Claudio Paul Caniggia al giornalista di Libero Alessandro Dell'Orto. L'ex atalantino racconta aneddoti curiosi della sua esperenza a Bergamo.

Pubblichiamo la bella intervista rilasciata da Claudio Paul Caniggia al giornalista di Libero Alessandro Dell’Orto. L’ex atalantino racconta aneddoti curiosi della sua esperenza a Bergamo.

Claudio Paul Caniggia, complimenti. Il fisico è ancora da atleta.
«Visto che pettorali? Sono in forma, mi tengo bene: palestra e qualche partita con gli amici».

Gioca ancora?
«Claro que sì. In Spagna, dove vivo, mi diverto con il calcio a 7. Qui invece faccio parte del Berghem Soccerteam, squadra ideata e costruita da Serse Pedretti: riunisce personaggi famosi legati alla città e all’Atalanta, si scende in campo per beneficenza».

Anche la capigliatura regge. Sempre biondo, ma sotto…?
«No, nessun capello grigio. Li tingo ogni tanto, come ho sempre fatto. Ma non ce ne sono di bianchi. Per fortuna e mi tocco le palle».

Perché?
«Un mese fa, in Argentina per una rimpatriata con le vecchie glorie della nazionale, mi trovo di fronte Goicoechea, il portiere. E mi viene un colpo: completamente grigio! Se succedesse a me che farei?».

Che farebbe?
«Non so. Li terrei lunghi e grigi, forse. Ma a 60 anni, non ora».

Caniggia, diceva che vive in Spagna.
«A Marbella con Mariana, mia moglie, e i tre figli. Alexander e Charlotta sono gemelli e hanno 16 anni. Axel ne ha 19. Non mi guardi male: sì, si chiama proprio come il profumo: idea di mia moglie».

E che ci fa a Bergamo?
«Ci passo spesso perché questa è la mia città e ho molto amici. E perché porto mio figlio in Italia per correre. Gareggia con i go-kart».

Vince?
«È bravo. Ora dovrebbe diventare pilota della Formula Renault, il suo sogno è la Formula Uno».

Anche a lei sono sempre piaciute le auto potenti, vero? Perché ride?
«Atalanta, quella con Mondonico allenatore. Il mister ogni lunedì mattina fa un allenamento leggero, poi lascia il martedì di riposo. E ne approfitto».

Cioè?
«Due giorni a Montecarlo. Il mercoledì mattina, poi, sveglia alle 6.30 e partenza: Principato-Bergamo in due ore e mezza, in Porsche, a 240 km all’ora».

Urca, mai fermato?
«Spesso. A volte con multa, a volte no: “Sei Caniggia? Vai pure, ma prima fammi l’autografo”».

Mondonico se ne è mai accorto?
«No. Con il mio fisico mi allenavo bene anche se avevo dormito poco e le volte che arrivavo in ritardo dicevo di aver trovato traffico a Colognola, in periferia di Bergamo…».

Claudio, torniamo a oggi. Che fa? Vero che c’è un progetto per aprire una scuola di calcio con Maradona?
«La proposta viene da Arnold Milchan, produttore di Hollywood. Vorrebbe mettere insieme me e Diego per insegnare ai ragazzini. Il progetto è in stand-by, vedremo. Nel frattempo faccio da tramite tra Argentina e Inghilterra per cercare giocatori. Ma non chiamatemi procuratore, non mi piace quel ruolo».

Scusi la sfacciataggine, ma con che soldi vive?
«Quelli guadagnati giocando. Ho investito bene. Ho 5 case in Argentina, due negli Stati Uniti, 3 suite a Miami. Gli affitti rendono bene».

Lei ha smesso nel 2004: finora cosa ha fatto?
«Il marito e il papà. Mi sono riposato, ma ora inizio ad annoiarmi».

Il calcio lo segue? Le piace?
«Mi diverte anche se è cambiato, è più fisico. Non tutti i miei compagni di un tempo ora giocherebbero».

Lei invece sarebbe un campione anche adesso: la sua velocità farebbe la differenza.
«Sono sempre stato rapidissimo, fin da piccolo».

Allora facciamo insieme una veloce corsa indietro.
«Nasco ad Henderson il 9 gennaio ’67. Bambino introverso».

Idolo?
«Garrincha, gambe storte e grandi dribbling».

Il baby Caniggia va a mille all’ora, e la chiamano “Figlio del vento”.
«Seguro, sicuro. Velocissimo e amo l’atletica. Gareggio e vinco a livello regionale nei 100, 200 e 400 metri e in salto in lungo. Ma gioco anche a calcio e a 15 anni esordisco nelle giovanili del River Plate».

A 18 anni la prima volta in serie A. E a 19 l’esordio in Nazionale.
«A Zurigo, Italia-Argentina 3-1. Negli spogliatoi mi trovo di fronte Maradona, che ha appena vinto il Mondiale in Messico, è il miglior giocatore del mondo e fino a quel momento l’avevo visto solo in tv. Mi osserva: “Claudio, mio fratello mi ha parlato molto bene di te”. Si immagini l’emozione. Da quel momento diventiamo grandi amici».

Poi racconteremo del Pibe. Scusi, una curiosità: lei come conosceva Hugo Maradona?
«Con Hugito avevo giocato i Mondiali Under 19 in Cile».

Torniamo alla sua carriera. Titolare nel River fino al 1988 (53 gare e 8 reti), poi il trasferimento in Italia. Verona. Primo impatto?
«Bagnoli è bravo, gran lavoratore. Ma lo spogliatoio non è compatto, ci sono troppi gruppetti».

Lei si mette in evidenza, velocità e tecnica. Ma si frattura una gamba.
«Stop di quattro mesi».

E qualcuno maligna per le sue amicizie e per le frequentazioni con Lele Mora.
«Fa il parrucchiere. Lo conosco perché, come altri compagni, vado a tagliare i capelli da lui».

Stagione 1989-90, trasferimento all’Atalanta. Guardi qui le figurine. Questo è Evair.
«Non sembrava nemmeno un brasiliano. Silenzioso, tranquillo e un po’ permaloso, sempre sulle sue».

Questo invece è un giovane Glenn Stromberg.
«Ragazzo serio, un leader capace di stare zitto e parlare nei momenti giusti. Un esempio per tutti».

Il più stravagante, quello più simile a lei?
«Careca Bianchezi. Simpatico, folle».

Vi sfidavate in auto, dal campo di allenamento a Bergamo e viceversa. Ricorda? Perché quello sguardo?
«La gara più divertente è quella con Doni nel 2000, durante la mia seconda esperienza a Bergamo».

Pronti, via. Raccontiamo.
«Una mattina sto andando al campo e a due km dal centro sportivo Cristiano mi sorpassa. Suono il clacson: “Dove vai? Se accelero te caghi sotto”. E scatta la sfida».

Auto?
«Io una Mercedes 290, lui non ricordo. Supero, mi risupera, freno, si avvicina, finché arriviamo a Zingonia, lo sorpasso definitivamente ed entro al campo d’allenamento per primo, a tutta velocità che tanto non c’è nessuno. Parcheggio di fianco a Vavassori, che è appena arrivato con la sua Panda e il tagliaerba nel baule. Apro la portiera, il mister urla come un matto: “Noooooo!!!”. Mi volto, c’è Doni rosso, quasi viola per l’imbarazzo. “Scusi mister, scusi, scusi, non l’avevo visto”».

Non rida, finisca.
«Cristiano, arrivando dopo di me, ha investito il cane da caccia di Vavassori! Niente di grave, gli ha solo toccato la zampa e il muso con la carrozzeria. Ma il mister è furibondo. Incazzato. E saluta tutti. “L’allenamento fatevelo da soli, vado dal veterinario”. E sparisce fino al giorno dopo».

Buona questa. Caniggia, ancora qualche ricordo della sua prima esperienza a Bergamo. Il primo allenatore è Mondonico.
«Simpatico, un personaggio. Con lui avevo un buon rapporto».

Il secondo tecnico è Frosio, che dura poco. Lo sostituisce Bruno Giorgi.
«Giorgi è uno dei migliori allenatori che ho avuto. Brava persona, corretta».

A Bergamo, lei, diventa immediatamente un idolo. Senza rivali. Corre, segna, fa segnare e sognare con l’Atalanta in Europa. E sembra immarcabile. A proposito, c’è qualche difensore che soffriva particolarmente?
«Vierchowod era molto rapido. E poi Ferrara: fingeva di intervenire e invece ti faceva fare la prima mossa per poi fregarti».

I più cattivi?
«Che picchiatore Contratto! Ora siamo amici e l’ultima volta l’ho preso in giro: “Certo che eri proprio un ********”. Pasquale Bruno invece ti minacciava dal primo all’ultimo minuto. Ma a me non fregava nulla, nessuna paura».

Lei era veloce, ma anche molto corretto. Mai una simulazione.
«Questione di rispetto. Anzi, cercavo di saltare per restare in piedi: ricordate la famosa azione ai Mondiali contro il Camerun?».

Corretto in campo, vivace fuori. Si è sempre detto che Caniggia fosse mezzo matto. Feste in casa, vizi, muri delle pareti rotti per far passare il trenino dei figli, camere d’albergo demolite dai cani…
«Falsità. Mi hanno etichettato come matto per i capelli lunghi: mai fatto una festa a casa mia, sono un solitario».

L’invenzione su di lei che l’ha più infastidita? «Le allusioni ai miei vizi, soprattutto quando ero infortunato e non potevo giocare».

Estate 1990. Mondiali in Italia. Tra sei mesi sono passati 20 anni.
«E tutti si ricordano ancora di me. L’altro giorno mi ferma un tizio: “Casso, Caniggia, non dovevi fare quel gol”. È il bello di voi italiani, passionali che non dimenticate. In Francia se ne fregherebbero».

Italia-Argentina, testa di Caniggia, unoauno e poi azzurri eliminati ai rigori. Bravo lei o scarso Zenga?
«Bravo io, Walter è incolpevole. Anche restando in porta avrebbe preso gol, probabilmente. Ma il calcio è così: una settimana sei un eroe, quella dopo un cojone».

Caniggia fa fuori la nazionale di Vicini e i tifosi dell’Atalanta si inventano un coro che l’accompagnerà per sempre: “Vola, Caniggia vola, elimina l’Italia, e portaci in Europa, col sachelì de coca (sacchetto di coca)…”.
«Questa città è sempre stata con me, credo che i bergamaschi siano stati gli unici, con i napoletani, a festeggiare anche se l’Italia era stata cacciata».

Napoli uguale Diego. Diego Maradona. Suo compagno e amico.
«Un esempio per tutti. Leader correttissimo, non ha mai influenzato le scelte del ct. E poi ragazzo dal cuore d’oro, pronto ad aiutare i compagni».

Fuori dal campo, però…
«Facile parlare senza conoscere, bisognerebbe mettersi nei suoi panni. Non ha mai potuto vivere una vita normale, sempre sotto pressione. E comunque come persona è molto meglio di tanti che giudicano».

Beh, però l’ultimo sfogo da ct della nazionale…
«Guardi, per quello che gli tocca sopportare poteva fare anche molto peggio».

Compagno serio e generoso in campo, ma anche compagnone fuori. Vi siete divertiti molto insieme?
«Claro que sì, ma non immaginatevi chissà quali cose. Come tutti. Però sono affari nostri, rispetto la sua privacy e non racconterò mai nulla».

La carriera di Maradona è stata stroncata definitivamente a Usa ’94.
«Si sono serviti di lui e l’hanno usato».

Ops. Cioè? Spieghi meglio.
«Quattro mesi prima dei Mondiali gli organizzatori chiamano Diego: “Devi venire a Usa 94’, abbiamo bisogno di te”. Capito? L’obiettivo è avere un fuoriclasse come lui per far decollare la manifestazione e lanciare il soccer negli Stati Uniti. Diego è perplesso. Risponde che non è pronto e non vuole fare figuracce, che manca troppo poco tempo per allenarsi. Insistono: “Fai tutto quello che vuoi e che ti serve pur di andare in for ma”. E fanno capire che, una volta là, lo lasceranno in pace, niente controlli, non lo toccheranno». Diego accetta. «Lavora duramente, ma in soli 4 mesi è impossibile allenarsi e tornare in condizione. Si aiuta con qualche sostanza, probabilmente integratori».

Dopo le partite vinte con Grecia e Nigeria lo fermano per doping: efedrina, sostanza stimolante.
«L’hanno ingannato, Claro que sì».

Torniamo a lei. Nel 1992 Caniggia saluta Bergamo e va a Roma, 15 presenze e 4 gol. A proposito, si e’ giocato Atalanta-Roma. Per chi ha tifato?
«Troppo facile scegliere. Bergamo è la mia seconda casa».

La sua esperienza a Roma inizia bene, ma finisce male. Il 21 marzo 1993 viene trovato positivo alla cocaina.
«Un errore mio».

Quindi ammette? «Ho sbagliato. E ho pagato».

Squalifica di 13 mesi.
«Esagerata. La regola è ridicola, perché la cocaina non permette di giocare meglio. È solo un vizio privato, come può esserlo l’alcol».

Caniggia, secondo lei esiste il doping nel calcio?
«Il nostro è uno degli sport più puliti. Avete idea di cosa si assume nel ciclismo, nell’atletica o nel nuoto?».

Dopo la squalifica lei va al Benefica (23 partite e 8 gol). Poi due anni al Boca Juniors con Maradona (46 gare, 17 reti), finché litiga con i dirigenti. E sta fermo due stagioni. Nel 1999 torna a Bergamo, serie B, ma è una delusione: 17 partite e un solo gol. Perché?
«Non sono un giocatore da serie B. Ci sono calciatori bravissimi nel torneo cadetto e irriconoscibili in serie A. Io, al contrario, non sono adatto alle categorie minori. Giocavo e mi chiedevo: “Ma che casso ci faccio qui?”».

Rapporto con Vavassori?
«Poco feeling. Ma rispetto. Mi sono allenato pensando alla stagione successiva».

Già, al Dundee. Scozia: 21 gare e 7 gol. E poi Rangers, 50 partite, 13 reti e una clamorosa convocazione in nazionale per i Mondiali di Giappone. Infine, ultimo anno in Qatar.
«Io, Batistuta, Guardiola ed Effenberg. E divento lo Stromberg della squadra».

Cioè?
«Arrivo per primo ad allenarmi, sono sempre puntuale, corro da solo mentre i ragazzini della squadra si presentano mezz’ora dopo. Che rabbia…».

Caniggia, ultime domande veloci.

1) Miglior giocatore di sempre?
«Maradona».

2) Di adesso?
«Messi».

3) C’è un nuovo Caniggia?
«Non ne vedo».

4) Il migliore allenatore avuto?
«Bilardo, un pazzo scatenato. Ossessivo».

5) Rapporto con la religione?
«Normale».

6) Paura della morte?
«No, non ci penso».

7) Rapporto con il sesso?
«È una cosa bella, fisiologica».

Ricorda la prima volta?
«A 16 anni, la conoscevo da dieci. Non è stato un granché».

Ma Caniggia è così veloce anche nel sesso?
«Ahahah. Non come nel calcio, per fortuna».

8) Una cazzata che non rifarebbe?
«Ne ho fatte molte, ma non le racconterò mai».

9) Potesse scegliere una squadra italiana in cui giocare adesso?
«Il Milan per organizzazione societaria. L’Inter perché in Italia è la formazione più forte».

Ultimissima. Scelga gli undici migliori suoi compagni della carriera e faccia la nazionale di Caniggia.
«In porta Pumpido o Goicoechea. In difesa Caceres, Ruggeri, Gamboa e Chamot. A centrocampo Redondo, Stromberg e Doni. Davanti io, Maradona e Batistuta. Bella squadra. eh? Anzi, saremmo così forti che in mezzo potrei permettermi di far giocare Serse, l’organizzatore della Beghem Soccerteam!».

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